Quelle sottili linee rosse
La recente discussione sull’uso dei missili ATACAMS da parte dell’Ucraina, con il presunto “permesso” degli Stati Uniti, è stata spesso fraintesa. Non si tratta tanto del permesso di colpire il territorio russo, già sotto attacco da tempo, ma del coinvolgimento diretto della NATO, dato che per usare tali missili è necessaria la loro tecnologia GPS e il personale sul campo. Putin ha ribadito che questa è una linea rossa che segnerebbe la partecipazione diretta della NATO al conflitto. Le continue provocazioni mirano a indebolire il regime russo, ma finora non hanno portato ai risultati sperati dall’Occidente, e la situazione sul fronte sembra volgere a favore della Russia. * * * di Andrea Zhok In questi giorni si è molto discusso del “permesso” fornito dal segretario di Stato americano Antony Blinken di utilizzare i missili ATACAMS sul territorio russo. La notizia però spesso è riportata in modo scorretto, come se la questione fosse il permesso di colpire il territorio russo. Ovviamente se la questione fosse questa, sarebbe una non-notizia, visto che il territorio russo viene colpito regolarmente da più di un anno, soprattutto con droni. Per capire la portata della notizia bisogna andare a vedere il recente commento di Putin, che ha ricordato come, diversamente dai droni, per utilizzare i missili ad alta precisione ATACAMS (1320 kg, fino a 300 km di portata) c’è bisogno dei sistemi di puntamento GPS della NATO e di personale a terra, sempre della NATO. Per l’ennesima volta Putin ha affermato che questa è una linea rossa, che definisce la partecipazione diretta della NATO alla guerra. Ora, è opportuno riflettere un momento sulla questione delle “linee rosse”. Molti strateghi da salotto romano hanno deriso nell’ultimo anno le minacce di Putin e il fatto di non aver mai risposto all’altezza del proprio pieno potenziale al continuo superamento delle “linee rosse”. Questa mancata risposta è presentata come un segno di debolezza da parte di Putin. È opportuno ricordare che il tema delle “linee rosse” da non superare è precisamente all’origine della cosiddetta “Operazione Speciale”, cioè della guerra in corso, che dipende dalla reiterata sfida da parte della Nato rispetto alle “linee rosse” relative prima alla non espansione ad est della Nato e poi alla non neutralità ucraina. Di fatto il modo migliore per comprendere il confronto in corso è vederlo all’insegna di una sfida nei confronti della Russia, una provocazione permanente il cui senso principale è quello di ribadire la subordinazione degli anni di Eltsin, indebolendo ogni pretesa della Russia di ritornare ad essere un giocatore globale. Ogni linea rossa violata senza reazione viene vissuta, e presentata, come debolezza del regime, che sarebbe effettivamente una tigre di carta. E questo gioco produce i suoi effetti reali all’interno della Russia, la cui questione originaria è la capacità di esistere unitariamente come l’enorme paese multietnico che è. Ogni segno di debolezza del potere centrale (questo sin dai tempi dell’impero zarista) apre la strada a possibili movimenti centrifughi all’interno del paese. Dal colpo di stato del 2014, all’oppressione delle minoranze russofone del Donbass, al rifiuto di mantenere la neutralità ucraina, alla sequela di “linee rosse” militari violate durante la guerra, l’intero processo può essere letto unitariamente nell’ottica della provocazione. Ma qual è il senso di queste provocazioni? Si tratta, come dicevamo, di azioni volte a segnalare una debolezza del regime, invitando con ciò sfide interne al potere centrale (quella di Prigozhin ne è stata un esempio). In una prima fase questo processo non ha condotto per l’Occidente (cioè per gli USA) agli esiti sperati. L’idea era chiara: una volta che Putin abbocca alla sfida, e invade l’Ucraina, noi, avendo preparato con standard Nato l’esercito ucraino per 8 anni, dimostreremo che si tratta di una tigre di carta; le sanzioni economiche occidentali strangoleranno l’economia russa; la forbice tra la debacle militare e quella economica metterà alle corde il regime, producendo rivolte interne e un crollo sistemico. Come noto questo scenario non si è verificato. Sul piano militare l’operazione si è incistata in una guerra di posizione, una guerra d’attrito. Sul piano economico, grazie soprattutto al sostegno della Cina, la Russia è riuscita ad assorbire l’urto iniziale, ritrovando un nuovo assetto di esportazioni delle materie prime. Una volta superata quella prima difficile fase, la Russia è entrata in una fase nuova, svincolata dai vecchi patti con l’Europa e riorientata verso il bacino asiatico. Ora la situazione militare in Ucraina è critica per le forze occidentali. L’avventura di Kursk, con l’invasione del territorio russo, è stata l’ennesima linea rossa violata, con il solo significato di produrre un danno d’immagine al regime, essendo sul piano militare strategicamente insensata. Nella zona centrale del fronte l’esercito russo è oramai arrivato alla terza e ultima linea difensiva, superata la quale non esistono più linee fortificate. Il tracollo ucraino sembra questione di pochi mesi, probabilmente destinato ad avvenire nella prossima primavera. Di fronte a questo scenario l’intera classe dirigente occidentale, cioè il complesso militare-industriale americano e i suoi garzoni di bottega europei, non conoscono piani B. Questo sembra paradossale, perché la politica internazionale, da che mondo è mondo, è fatta di piani B e C e D, è fatta di alternative tattiche e strategiche. Ma questa situazione è diversa, perché qui chi comanda e chi rischia sono soggetti diversi. Chi comanda, gli USA, possono permettersi di violare qualsiasi linea rossa in sostanziale impunità: sanno che Putin non è affatto un pazzo che vuole la distruzione planetaria e dunque non lancerà un attacco diretto su suolo americano. Chi obbedisce, l’Europa, ha già devastato il proprio sistema produttivo ed è in prima linea per subire attacchi mirati, anche nucleari (ricordiamo che, nella dottrina bellica attuale, l’utilizzo di atomiche tattiche conta come guerra ordinaria, e non come avvio di una guerra nucleare.) In sostanza, gli USA spingono alla violazione di tutte le linee rosse, perché dispongono di due potenti “buffer zone” sacrificabili: prima l’Ucraina, già spacciata, e poi l’Europa. Nel momento in cui Putin decidesse di rispondere finalmente all’altezza delle minacce alla violazione dell’ennesima linea rossa, mettendo in campo la propria