Elena Basile

Il tornaconto degli Usa nella invasione di Kursk

di Elena Basile L’approccio analitico agli eventi porta a sottolinearne la complessità, l’entrata in gioco di fattori molteplici. La sintesi, al contrario, nella ricostruzione storica coglie l’essenziale. Non sono una stratega militare e, più che le logiche autonome e i minimi spazi, mi interessa il nocciolo dei problemi. Mi è difficile quindi dare all’Ucraina una soggettività indipendente dalla volontà della Cia e degli altri attori del Blob statunitense. Kiev è la capitale di un Paese distrutto, che sopravvive economicamente e militarmente grazie agli aiuti occidentali. La sua classe dirigente è asservita agli interessi statunitensi e passerà alla storia per avere venduto il suo popolo, avere massacrato una generazione di giovani, i membri della gloriosa resistenza nazionale (secondo i giornali del mainstream ) che ora fuggono all’estero, si nascondono in casa, si rompono le ossa per poter non andare al macello. La guerra alla Russia non è più nemmeno una guerra per procura: diviene gradualmente uno scontro tra Nato e Mosca. I mesi precedenti le elezioni statunitensi sono i più pericolosi perché i Democratici devono esibire agli elettori qualche scalpo per poter giustificare gli enormi finanziamenti a spese del contribuente riversati in una guerra suicida. L’operazione di Kursk, come sta inevitabilmente emergendo, è stata realizzata con armi e mercenari occidentali e con l’intelligence angloamericana. Lo scopo è sempre lo stesso. Sin dall’inizio gli strateghi del Blob erano consapevoli che la guerra russo-ucraina, se la Nato non avesse scelto la vera competizione con truppe e conquista dei cieli, sarebbe volta a favore di Mosca. L’obiettivo era tuttavia la destabilizzazione del regime, la sua caduta. A Kursk, più che una battaglia militare, si conduce un attacco terroristico contro i civili russi. Portarli in ostaggio in Ucraina o costringere Mosca a sacrificarli per sterminare i soldati ucraini affinché il popolo russo assaggi le ferite della guerra è il fine della strategia occidentale, non solo ucraina. La Russia, al contrario, ha finora scelto la stabilità, è avanzata lentamente nonostante la netta superiorità di uomini, munizioni e armamenti perché tutto proceda all’interno della Russia come se la guerra avvenisse in una dimensione parallela, preoccupandosi persino di non spargere troppo sangue fratello. Come abbiamo ripetuto, la Corte Penale Internazionale (Cpi) ha emesso un mandato di arresto per Putin che conduce battaglie militari contro obiettivi militari più che civili, mentre non ha potuto fare la stessa cosa per il criminale di guerra Netanyahu che massacra ancora oggi donne e bambini a Gaza. Questo è l’“Ordine internazionale basato sulle regole” che le più stimate cariche istituzionali europee raccomandano di difendere nella guerra in Ucraina. Di fatto, come il “resto del mondo” sa, si tratta soltanto di una pax americana basata su doppi standard e normative create e utilizzate a beneficio degli interessi del cosiddetto Occidente collettivo. La tattica prevale sulla strategia, per cui non è rilevante se a Kursk alla fine i russi prevarranno con un massacro di militari ucraini e di civili russi: è invece essenziale che sui giornali più letti si possa parlare di sorpresa di Mosca, di inefficienze russe, del valore ucraino al fine di inorgoglire i bellicisti democratici (in Usa come in Europa) e il loro elettorato. Mi viene da sorridere quando ascolto gli interventi di ex generali, personalmente conosciuti, che si affannano a dimostrare come la difesa dell’Ucraina e l’attacco al territorio russo siano due facce della stessa medaglia. Chissà come mai invece, quando vi era a Mosca un rivale strategico e ideologico, le guerre tra Usa e Urss nei vari teatri del mondo non hanno mai preso in considerazione un attacco militare sui reciproci territori. Dal 2002, con l’uscita unilaterale di George W. Bush dal trattato ABM contro la proliferazione di armi nucleari offensive, il Blob ha perseguito la possibilità del primo attacco nucleare, evitando i danni “maggiori” per gli occidentali. L’obiettivo di una destabilizzazione della Russia potenza nucleare è dato per scontato. Non viene analizzato nelle sue conseguenze disastrose. Smantellare la Federazione che possiede 6000 testate nucleari o sostituire Putin con un falco? Domande inutili. Gli strateghi del Blob hanno interessi a breve termine da servire, altrimenti non sarebbero stati gli artefici dei disastri in Afghanistan, Iraq e Libia. I benefici immediati sono molteplici, in termini di campagna elettorale, di iniezioni di liquidità e guadagni delle oligarchie delle armi e dell’energia. La destabilizzazione delle aree del mondo, confine orientale dell’Europa o Medio Oriente, è una finalità in sé. Non prevede approfondimenti di lungo termine. Kursk va bene così, indipendentemente dall’esito finale. Le vittime, si sa, hanno sempre avuto nella storia una loro utilità. Il Fatto Quotidiano, 21 agosto 2024

Bellicisti a reti unificate e censura per il dissenso

di Elena Basile Giacomo Gabellini, ricercatore e stimato autore di numerosi libri di geopolitica, ha intervistato l’ex colonnello dell’intelligence svizzera Jacques Baud sul suo canale Youtube ed è stato censurato. Baud è un politologo e scrittore che da anni pubblica saggi di successo sui conflitti in corso alla frontiera orientale dell’Europa e in Medio Oriente. Appare raramente sui media più ascoltati e letti dal largo pubblico in quanto porta avanti una critica documentata della politica statunitense e Nato. Smaschera con prove raramente attaccabili le menzogne della propaganda. Se il libero pensiero scompare anche dai social l’obiettivo della disinformazione totale dei cittadini occidentali sarà interamente raggiunto. Nelle società cosiddette autocratiche si ha contezza che i media e la stampa siano uno strumento del potere. Un russo, un cinese, un turco leggono con beneficio di inventario la stampa nazionale. L’operazione riuscita in Occidente, che fa comprendere come il sogno distopico di Orwell si realizzi con velocità sorprendente, è data dalla fiducia inculcata nella maggioranza della società civile di vivere in Paesi liberi, governati dallo Stato di diritto, in uno spazio mediatico che rispecchia la libera espressione. Vorrei riassumere gli argomenti oggettivi che da tempo illustro per confutare questa falsa sicurezza nostrana. L’ex rappresentante della Politica estera dell’Ue, Borrell, ha stabilito che in Europa non vi sia libero accesso ai media russi. La censura è stata giustificata con l’intento di voler proteggere i cittadini europei dalla disinformazione del nemico. Sappiamo bene che questo è stato ed è l’alibi delle dittature. A esso le nostre più alte cariche istituzionali si sono adeguate, biasimando in numerose occasioni la società civile italiana di farsi plagiare dai cosiddetti filo putiniani. L’epiteto è stato riservato a tutti gli analisti che nell’esame del conflitto russo-ucraino hanno illustrato le dinamiche risalenti agli anni Novanta in grado di provare l’espansionismo strategico e offensivo della Nato nei confronti di Mosca. La maggior parte di questi analisti non ha avuto accesso alle testate e reti che hanno gli indici di ascolto più elevati. Alcuni sono stati diffamati, querelati e linciati pubblicamente con menzogne evidenti. Su Corriere e Repubblica la sottoscritta è stata definita “pseudo ex ambasciatrice”. Basta una semplice ricerca in Internet per verificare come questo insulto diffamante sia una oggettiva menzogna. Con riferimento al conflitto israelo-palestinese si è fatto di peggio. Gli analisti non inclini a giustificare l’occupazione e lo sterminio di innocenti a Gaza quale operazione della civiltà contro la barbarie e come conseguenza del diritto di Israele a difendersi sono stati considerati antisemiti, in alcuni casi querelati per istigazione all’odio. È vero, negli spettacoli televisivi (non li chiamerò programmi come qualcuno vorrebbe) dedicati alla politica vengono ammessi in netta minoranza due, tre, quattro voci del dissenso, molto caratterizzate che servono soltanto a infondere negli spettatori (non sono ascoltatori) l’illusione che tutte le opinioni siano rappresentate. Naturalmente il dissenso ammesso è implicitamente denigrato, deriso. Passa il messaggio subliminale in molti casi che gli analisti fuori dal coro siano cabarettisti, incompetenti, non degni di attenzione da parte dei cittadini perbene e moderati. Le quattro agenzie di stampa internazionali copiano molte volte le veline diffuse dai servizi occidentali e i giornali con copia e incolla diffondono il verbo utilizzando le stesse espressioni. Se confrontate Corriere o Repubblica con La Libre Belgique, Le Monde e persino The Guardian, vedete assonanze inquietanti. Lo stesso accade con poche eccezioni in radio e tv, Rai News, La7 recitano il catechismo caro ai media europei. I pochi consapevoli dello stato abietto dell’informazione occidentale sono costretti a ricercare le notizie in Rete, tv indipendenti, youtuber competenti che intervistano personaggi scomodi da Mearsheimer a Chomsky, a Ilan Pappé, a Moni Ovadia, a Jeffrey Sachs, a Baud, al colonnello Mc Gregor, a ex diplomatici britannici e statunitensi ignoti alle audience dei conduttori di grido europei. Si tratta di una minoranza di autori e utenti consapevoli che non cedono al linguaggio stereotipato e semplificato, alla retorica in base alla quale Biden è un illustre e puro statista mentre Putin o Xi terribili dittatori assetati di sangue, l’Ucraina una democrazia che difende la libertà occidentale e altri luoghi comuni venduti senza vergogna anche da persone colte, istruite, editorialisti stimabili all’opinione pubblica. Ecco perché la notizia della censura a Gabellini mi ha colpito. L’ossigeno si assottiglia.

Un Occidente rinsavito medierebbe con la Cina

La visita di Putin in Cina rappresenta una risposta alla visione occidentale che ha spinto la Russia verso l’Est. Dal 2000, Putin ha cercato di integrare la Russia nell’economia euroatlantica e mantenere la sovranità dello Stato, ma il colpo di piazza Maidan nel 2014 ha cambiato le dinamiche, portando all’annessione della Crimea e al deterioramento dei rapporti con l’Occidente. La Russia ha quindi rafforzato i legami con la Cina, firmando accordi energetici e collaborando economicamente, contrastando le sanzioni occidentali. Oggi, Cina e Russia promuovono una cooperazione strategica, sfidando l’egemonia statunitense e sostenendo la globalizzazione e il multilateralismo. Le critiche occidentali non colgono la crescente influenza dei Brics e la dedollarizzazione promossa da Pechino e Mosca. * * * di Elena Basile La visita di Putin in Cina costituisce un’ulteriore tappa del percorso a cui la visione patologica del mondo dell’Occidente ha costretto la Russia che per decenni aveva bussato alla porta dell’Europa. Putin nel 2000, quando prende il potere, ha due obiettivi strategici: l’inserimento della Russia nelle strutture della governance economica euroatlantica e la ricostruzione della sovranità dello Stato. Fino al 2014 riesce a riconciliare l’indipendenza strategica di Mosca con l’esigenza di stabili rapporti economici con l’Occidente. Il colpo militare di piazza Maidan, ampiamente documentato, del 2014, lascia il Cremlino esterrefatto. La scelta tormentata dell’annessione della Crimea per proteggere la base sul mar Nero di Sebastopoli avrebbe potuto dare inizio a uno sviluppo autarchico e togliere al presidente russo il consenso di quel blocco sociale ed economico che si era arricchito nei commerci e investimenti con l’Europa. La salvaguardia della sovranità russa non sembra più conciliabile con gli interessi dell’economia di Mosca. Del resto nel 2014 anche in Occidente la disintermediazione tra capitale e interessi della politica è avvenuta. L’Occidente rinnega la globalizzazione che aveva portato a una distribuzione del potere economico a vantaggio della Cina e degli emergenti. Si arrocca in una strategia che sarebbe giunta al friendshoring: si commercia e si investe solo con gli amici. Nel 2014 l’annessione russa della Crimea è attuata da una leadership sgomenta ma ponderata. La rivolta alla pax americana che vuole desovranizzare Mosca è possibile perché all’ombra della Cina un nuovo mondo sta nascendo. La nuova Via della Seta, che avrebbe potuto implicare sviluppo e prosperità per l’area euroasiatica con ricadute importanti per i Paesi europei, era stata lanciata nel 2013. Nel 2014 la Russia firma con la Cina un accordo per 400 miliardi di dollari per la fornitura di energia e la costruzione di infrastrutture energetiche. Inizia una cooperazione economica senza precedenti che fortifica l’unione economica eurasiatica. Dal 2008 in poi, il mondo multipolare si delineava all’orizzonte. I Brics nascono nel 2020, si ingrandiscono e hanno nella contestazione dell’egemonia statunitense, che trova conforto solo nella supremazia militare, un cemento importante. È grazie alla Cina e al sud globale che Mosca vince contro la rischiosa scommessa iniziata nel 2014 e sopravvive alle sanzioni occidentali. Oggi è molto più forte di prima. A Pechino, Xi e Putin rafforzano la collaborazione. Aumentano le importazioni russe di automobili elettriche cinesi e di componenti per l’industria della difesa come le esportazioni verso la Cina energetiche e del settore agroalimentare. Le stigmatizzate autarchie in geopolitica dichiarano comuni intenti di pace e di stabilizzazione del mondo. Il cessate il fuoco a Gaza con il rilascio immediato degli ostaggi e una conferenza di pace per pervenire alla soluzione dei due Stati. Putin appoggia la mediazione cinese, i 12 punti che continuano a rappresentare gli unici parametri di una diplomazia razionale e strategica. Con lo strabismo rituale, ex colleghi che ricevono prebende e posti al sole collaborando con think tank finanziati dagli statunitensi, mettono a tacere l’onestà intellettuale (saremmo noi i filoputiniani a tradire i valori della Repubblica?), ci spiegano che la Cina è dominante, che ha bisogno dell’Occidente restando lo scambio commerciale con l’Europa quasi il doppio di quello realizzato con Mosca. Sottolineano la subalternità russa. Non vedono tuttavia quella europea nei confronti di Washington. In realtà, la Russia e i Brics si stanno allineando alla Cina che di fronte alle azioni illegali della finanza occidentale, estromissione di Mosca dallo Swift, sanzioni economiche e sequestro di 300 miliardi di fondi russi in euro), ha accelerato il processo di dedollarizzazione. I Brics crescono in numero, sostengono globalizzazione e riforma del multilateralismo, Onu e Osce, fine dei doppi standard occidentali, applicazione di regole chiare e non à la carte secondo gli interessi Usa, riforma della governance economica Fmi e Bm. Se l’Occidente fosse sano e lo spazio politico mediatico non corrotto, su questi temi si centrerebbe la riflessione. Si dovrebbe mettere a punto una strategia diplomatica di mediazione con Cina, Brics e Sud globale per le riforme richieste e per la stabilizzazione delle aree di crisi. Ma tronfie e arroganti, come i miei ex colleghi che venivano un tempo cooptati per la loro fedeltà nelle stanze dei bottoni e ora sputano il verbo sui giornali più letti, le classi dirigenti occidentali disprezzano l’altro, lo disumanizzano, lasciano alle generazioni future il debito impazzito, il fallimento della transizione verde, il sistema di sorveglianza digitale e i conflitti. Il Fatto Quotidiano, 30 luglio 2024

Missili e armi, che brutta fine l’Europa illuminata

di Elena Basile Sembra impossibile che il cammino dell’ Occidente abbia portato alle macabre farse odierne. Le conquiste progressive verso una società più libera e più giusta dovevano sfociare nel bellicismo nazionalista di un’Europa nichilista? Dalle monarchie assolute a quelle costituzionali, dai diritti ristretti a aristocrazia e clero alla società borghese, dall’oscurantismo delle superstizioni religiose medievali al secolo dei lumi, all’umanesimo cristiano e marxista, fino al suffragio universale esteso alle donne, ai diritti civili e sociali, alla dichiarazione dei diritti dell’uomo e alla nascita di un ordine liberale fondato su organismi internazionali e sul Diritto internazionale. Quel che era apparso anche ai più scettici come il patrimonio di un Occidente, che nonostante le cadute verticali rappresentate dalle dittature naziste e bolsceviche, aveva saputo inseguire la realizzazione degli ideali umanistici, sembra oggi distrutto. Il Parlamento europeo e la Commissione europea approvano una guerra a rischio nucleare contro la Russia. Armi letali all’Ucraina per colpire il territorio russo in profondità, missili ipersonici in Germania guidati, come ben illustra Domenico Gallo, dalla tecnologia che non potrà compensare l’errore umano, sono le ultime tappe di una escalation voluta dall’antica Venere, una potenza civile di cui andavamo fieri. Liberali, democristiani, socialisti e verdi sono compatti. Sostengono con le loro scelte la morte di centinaia di migliaia di giovani ucraini e la distruzione del Paese nonché la strage brutale degli innocenti di Palestina. Le risoluzioni dell’Onu sono ignorate da Israele il cui Parlamento ha appena votato contro lo Stato di Palestina. La classe dirigente e quella di servizio, non hanno esitazioni. La guerra non può finire, altrimenti si sosterrebbe la resa alla Russia. E a Gaza il massacro di innocenti è dovuto in ossequio al diritto di Israele di difendersi da Hamas. Menzogne sottoculturali che fanno inorridire sono proferite da eruditi professori e presidenti di età veneranda per nulla turbati dal sangue che scorre, dal riarmo in corso, dal rischio di estinzione del genere umano. Sui giornali si disquisisce se il non voto della Meloni a favore dell’amica e potente Ursula possa far perdere all’Italia qualche punto nell’ameno club europeo i cui membri sono ormai a una distanza abissale dai popoli, dalle loro fatiche, dai loro interessi. La casa brucia, i valori di pace e prosperità, democrazia, libertà di pensiero, libero commercio sono rinnegati, mentre i giornali operano falsi distinguo tra sovranisti e europeisti. La transizione verde e digitale, l’Europa sociale, gli investimenti in ricerca e sviluppo, la cooperazione allo sviluppo, l’agenda sostenibile 2030 e l’integrazione dei migranti sono obiettivi già falliti per un’Europa che ha rinunciato al debito comune e alza i tassi di interesse a vantaggio del finanziamento del debito Usa. Si prepara a una lunga guerra, inchinandosi ai Sullivan, Blinken, Kirby i cui volti esprimono il vuoto morale dei nostri tempi. Gli emergenti assistono perplessi al nostro lento suicidio. Sanno che la Russia ha già vinto la guerra in Ucraina e che se dovesse perderla ricorrerebbe all’arma nucleare. Non riescono a comprendere la razionalità delle scelte in Medio Oriente, di una politica che fomenta il terrorismo ed esclude la pace per Israele, rischiando un allargamento del conflitto all’Iran. Che il mondo sia multipolare e che l’egemonia statunitense sia rifiutata dal Sud globale è un’evidenza che soltanto lo spazio politico mediatico europeo sembra negare. L’India, che durante la guerra fredda faceva parte dei non allineati, rivendica l’autonomia della propria politica estera. Riceve minacce mafiose dagli Stati Uniti per bocca dell’ambasciatore statunitense Garcetti a New Delhi. È surrealista notare come una classe politica impreparata, hackerata dagli Stati Uniti, giudichi le strategie complesse di potenze come la Russia, la Cina, l’India, il Sud Africa, la Turchia, il Brasile, l’Iran e le loro eccellenti diplomazie, distribuendo voti quasi parlassero da professori ai propri alunni. Pensate all’estone Kallas, Rappresentante della politica estera Ue, in un colloquio con Lavrov e avrete il senso del paradosso occidentale. La classe dirigente europea è facilmente manipolabile e risponde alle indicazioni esogene degli apparati di sicurezza, del complesso industriale militare e delle oligarchie finanziarie. Queste ultime hanno tuttavia messo in conto, un olocausto nucleare ristretto ad alcuni popoli. La continuazione del potere del dollaro e il dominio della nazione “indispensabile” passa attraverso un massacro nucleare parziale? L’incompetenza dei politici europei è funzionale al “triste ma necessario” (Albright docet) annientamento di alcuni popoli, a partire dall’ucraino e dal palestinese. Il Fatto Quotidiano, 26 luglio 2024

G7 e Lucerna: l’illogicità orwelliana d’occidente

G7 e Lucerna: l’illogicità orwelliana d’occidente

Il comunicato del G7 è un esempio perfetto di come parlare a vanvera per 36 pagine, proponendo soluzioni contraddittorie e ipocrite. Nel frattempo, i Brics si divertono a costruire un nuovo ordine mondiale, ridendo delle nostre sanzioni e dei nostri piani di pace.

Putin è forte grazie a noi

Elena Basile offre una riflessione profonda e critica sull’ascesa al potere di Putin e sul ruolo che l’Occidente ha giocato in questa dinamica.

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