Chiamiamola, se vuoi, democrazia
La politica odierna è una recita di menzogne e contraddizioni; senza autorevolezza, il potere perde legittimità e si esercita solo in forme oppressive.
La politica odierna è una recita di menzogne e contraddizioni; senza autorevolezza, il potere perde legittimità e si esercita solo in forme oppressive.
Il Parlamento Europeo approva l’uso di missili contro la Russia e chiede l’arresto di Maduro, confermando la crescente dipendenza dell’UE dagli USA.
Israele colpisce il Libano con cercapersone esplosivi, causando vittime civili. L’attacco evidenzia l’uso della globalizzazione come arma di guerra.
La recente discussione sull’uso dei missili ATACAMS da parte dell’Ucraina, con il presunto “permesso” degli Stati Uniti, è stata spesso fraintesa. Non si tratta tanto del permesso di colpire il territorio russo, già sotto attacco da tempo, ma del coinvolgimento diretto della NATO, dato che per usare tali missili è necessaria la loro tecnologia GPS e il personale sul campo. Putin ha ribadito che questa è una linea rossa che segnerebbe la partecipazione diretta della NATO al conflitto. Le continue provocazioni mirano a indebolire il regime russo, ma finora non hanno portato ai risultati sperati dall’Occidente, e la situazione sul fronte sembra volgere a favore della Russia. * * * di Andrea Zhok In questi giorni si è molto discusso del “permesso” fornito dal segretario di Stato americano Antony Blinken di utilizzare i missili ATACAMS sul territorio russo. La notizia però spesso è riportata in modo scorretto, come se la questione fosse il permesso di colpire il territorio russo. Ovviamente se la questione fosse questa, sarebbe una non-notizia, visto che il territorio russo viene colpito regolarmente da più di un anno, soprattutto con droni. Per capire la portata della notizia bisogna andare a vedere il recente commento di Putin, che ha ricordato come, diversamente dai droni, per utilizzare i missili ad alta precisione ATACAMS (1320 kg, fino a 300 km di portata) c’è bisogno dei sistemi di puntamento GPS della NATO e di personale a terra, sempre della NATO. Per l’ennesima volta Putin ha affermato che questa è una linea rossa, che definisce la partecipazione diretta della NATO alla guerra. Ora, è opportuno riflettere un momento sulla questione delle “linee rosse”. Molti strateghi da salotto romano hanno deriso nell’ultimo anno le minacce di Putin e il fatto di non aver mai risposto all’altezza del proprio pieno potenziale al continuo superamento delle “linee rosse”. Questa mancata risposta è presentata come un segno di debolezza da parte di Putin. È opportuno ricordare che il tema delle “linee rosse” da non superare è precisamente all’origine della cosiddetta “Operazione Speciale”, cioè della guerra in corso, che dipende dalla reiterata sfida da parte della Nato rispetto alle “linee rosse” relative prima alla non espansione ad est della Nato e poi alla non neutralità ucraina. Di fatto il modo migliore per comprendere il confronto in corso è vederlo all’insegna di una sfida nei confronti della Russia, una provocazione permanente il cui senso principale è quello di ribadire la subordinazione degli anni di Eltsin, indebolendo ogni pretesa della Russia di ritornare ad essere un giocatore globale. Ogni linea rossa violata senza reazione viene vissuta, e presentata, come debolezza del regime, che sarebbe effettivamente una tigre di carta. E questo gioco produce i suoi effetti reali all’interno della Russia, la cui questione originaria è la capacità di esistere unitariamente come l’enorme paese multietnico che è. Ogni segno di debolezza del potere centrale (questo sin dai tempi dell’impero zarista) apre la strada a possibili movimenti centrifughi all’interno del paese. Dal colpo di stato del 2014, all’oppressione delle minoranze russofone del Donbass, al rifiuto di mantenere la neutralità ucraina, alla sequela di “linee rosse” militari violate durante la guerra, l’intero processo può essere letto unitariamente nell’ottica della provocazione. Ma qual è il senso di queste provocazioni? Si tratta, come dicevamo, di azioni volte a segnalare una debolezza del regime, invitando con ciò sfide interne al potere centrale (quella di Prigozhin ne è stata un esempio). In una prima fase questo processo non ha condotto per l’Occidente (cioè per gli USA) agli esiti sperati. L’idea era chiara: una volta che Putin abbocca alla sfida, e invade l’Ucraina, noi, avendo preparato con standard Nato l’esercito ucraino per 8 anni, dimostreremo che si tratta di una tigre di carta; le sanzioni economiche occidentali strangoleranno l’economia russa; la forbice tra la debacle militare e quella economica metterà alle corde il regime, producendo rivolte interne e un crollo sistemico. Come noto questo scenario non si è verificato. Sul piano militare l’operazione si è incistata in una guerra di posizione, una guerra d’attrito. Sul piano economico, grazie soprattutto al sostegno della Cina, la Russia è riuscita ad assorbire l’urto iniziale, ritrovando un nuovo assetto di esportazioni delle materie prime. Una volta superata quella prima difficile fase, la Russia è entrata in una fase nuova, svincolata dai vecchi patti con l’Europa e riorientata verso il bacino asiatico. Ora la situazione militare in Ucraina è critica per le forze occidentali. L’avventura di Kursk, con l’invasione del territorio russo, è stata l’ennesima linea rossa violata, con il solo significato di produrre un danno d’immagine al regime, essendo sul piano militare strategicamente insensata. Nella zona centrale del fronte l’esercito russo è oramai arrivato alla terza e ultima linea difensiva, superata la quale non esistono più linee fortificate. Il tracollo ucraino sembra questione di pochi mesi, probabilmente destinato ad avvenire nella prossima primavera. Di fronte a questo scenario l’intera classe dirigente occidentale, cioè il complesso militare-industriale americano e i suoi garzoni di bottega europei, non conoscono piani B. Questo sembra paradossale, perché la politica internazionale, da che mondo è mondo, è fatta di piani B e C e D, è fatta di alternative tattiche e strategiche. Ma questa situazione è diversa, perché qui chi comanda e chi rischia sono soggetti diversi. Chi comanda, gli USA, possono permettersi di violare qualsiasi linea rossa in sostanziale impunità: sanno che Putin non è affatto un pazzo che vuole la distruzione planetaria e dunque non lancerà un attacco diretto su suolo americano. Chi obbedisce, l’Europa, ha già devastato il proprio sistema produttivo ed è in prima linea per subire attacchi mirati, anche nucleari (ricordiamo che, nella dottrina bellica attuale, l’utilizzo di atomiche tattiche conta come guerra ordinaria, e non come avvio di una guerra nucleare.) In sostanza, gli USA spingono alla violazione di tutte le linee rosse, perché dispongono di due potenti “buffer zone” sacrificabili: prima l’Ucraina, già spacciata, e poi l’Europa. Nel momento in cui Putin decidesse di rispondere finalmente all’altezza delle minacce alla violazione dell’ennesima linea rossa, mettendo in campo la propria
Il massacro quotidiano in Palestina prosegue impunito, con Israele protetto dagli USA. Morti, distruzione e indifferenza globale sono ormai la norma.
Perché le idee dell’area rossobruna non trovano rappresentanza politica nelle istituzioni italiane
Viviamo in un’epoca di degrado della vita pubblica, in cui il sistema occidentale, ormai in declino, è caratterizzato da oligarchia, plutocrazia e nichilismo. Non possiamo cambiare la nostra posizione storica, ma possiamo prepararci per il “dopo”, quando il sistema collasserà. Questo richiede uno sforzo sia collettivo che individuale. Sul piano personale, un’azione fondamentale è la documentazione delle menzogne e delle contraddizioni perpetrate dalle attuali classi dirigenti, creando “archivi del male” che preservino la memoria storica di tali falsità. Conservare queste testimonianze è essenziale per mantenere l’equilibrio e la direzione in un mondo sempre più caotico. * * * di Andrea Zhok Uno dei problemi fondamentali che si pongono in un’epoca di degrado della vita pubblica, e di generale decadenza, come la nostra è “che fare?” Ciò che non possiamo modificare è la nostra sfortunata collocazione in Occidente, in una fase storica in cui la spinta propulsiva della modernità occidentale è esaurita e gli squilibri costitutivi del sistema (oligarchismo, plutocrazia, tecnocrazia, nichilismo, ecc.) stanno dilagando, senza più alcuna compensazione. Ciò che possiamo fare è preparare l’inevitabile “dopo”, di un sistema al collasso, caotico e privo di ogni direzione. Molte cose sono necessarie per preparare il “dopo”. Alcune sono complesse, perché richiedono di remare fortemente contro corrente: in un’epoca che coltiva frammentazione e individualismo, per costituirsi in organizzazioni politiche funzionali è necessario remare controcorrente a lungo. La spinta umorale cui la nostra epoca naturalmente ci dispone è quella verso la diffidenza, il rancore, la permalosità, la ricerca più del contingente che divide che dell’essenziale che unisce. Sconfiggere questa tendenza e creare le condizioni per un’”amicizia politica” (in senso aristotelico) è necessario, ma naturalmente anche molto difficile. Alcune operazioni sono però più semplici, e possono essere gestite a livello individuale. Un’operazione fondamentale è la documentazione e la costruzione di “archivi del male”. Mi spiego. La scommessa delle nostre classi dirigenti, degli oligarchi che detengono il potere reale e dei politici che lo implementano, recitando sul palcoscenico pubblico, è di riuscire a imporre la loro rappresentazione del mondo nonostante la sua insostenibilità, nonostante la sua conclamata contraddittorietà e falsità. Lo fanno mentendo sistematicamente, rinforzandosi a vicenda con menzogne convergenti, ripetendole ossessivamente, tacendo strategicamente tutto ciò che le contraddirebbe e delegittimando tutte le voci dissenzienti o dissonanti. L’imposizione della menzogna è il loro trionfo e non credo che nessuna epoca storica sia stata più esplicita e sfacciata della presente nel portare a compimento tale progetto. La potenza di fuoco dei costruttori di menzogne è straordinaria, rinforzata dall’odierna capacità tecnologica. Ma più ancora della grande potenza di fuoco, a sostegno di questa tendenza sta un fattore culturale di fondo: la cultura di cui le odierne classi dirigenti occidentali sono latrici è una cultura radicalmente relativista e nichilista, dove si dà per scontata l’inesistenza di valori obiettivi e di forme naturali essenziali. Essi si muovono con perfetto agio nella menzogna perché da tempo non credono al valore della verità né all’autonomia della realtà. Alla domanda nietzscheana “Perché la verità e non piuttosto la menzogna*?” si sono risposti in modo netto: “Purché la menzogna mi serva, vita eterna alla menzogna.” Essi possono mentire e contraddirsi, possono utilizzare doppi e tripli standard, possono modificare le proprie narrazioni in corsa più e più volte, cancellando le incongruenze senza batter ciglio, perché fondamentalmente non credono in partenza né al valore della verità, né all’autonomia della realtà (che si riduce a percezione corrente della realtà). Nel lungo periodo l’autonomia della realtà finirà comunque per imporre le proprie ragioni e il valore della verità verrà reistituito, ma questo può accadere in molte forme, alcune assai sgradevoli per noi. Una di queste, a mio avviso oggi la più probabile, è che l’intera millenaria cultura europea venga coinvolta nel tracollo della modernità occidentale, venga travolta nell’irrilevanza e sepolta. E non bisogna pensare che la caduta in discredito di una grande cultura storica sia un evento “meramente culturale”. Con il perdere di rilievo e peso di questa cultura perderanno di peso e rilievo anche i relativi luoghi, le forme di vita, i territori, le persone che vi abitano. Tra le poche cose che sul piano personale possono essere fatte, una importante forma di resistenza è rappresentata dalla costruzione di archivi che conservino nel tempo la memoria delle contraddizioni, contorsioni e cancellazioni che l’apparato oggi dominante mette in campo a ciclo continuo. È importante conservare e ordinare in maniera consultabile e reperibile la memoria delle menzogne, perché le menzogne hanno la fondamentale caratteristica di cadere in contraddizione nel tempo. Chi governa la narrazione dominante e gli apparati mediatici conta sulla propria potenza di fuoco, capace di far sprofondare nell’oblio ogni menzogna passata coprendola con una nuova menzogna più sfacciata della precedente. Per non essere travolti, niente è più importante che la conservazione dell’equilibrio e della direzione attraverso la memoria delle scosse prodotte per farci perdere equilibrio e orientamento. Questo oggi può essere fatto anche a livello individuale, ed è importante che sia fatto. * * * NOTE * La domanda nietzscheana “Perché la verità e non piuttosto la menzogna?” riflette una delle questioni più profonde e provocatorie sollevate da Friedrich Nietzsche nella sua filosofia. Nietzsche mette in discussione il valore tradizionale della verità, che per secoli è stata considerata un fine ultimo e un valore assoluto. Egli invita a considerare se la verità sia davvero superiore alla menzogna o se, al contrario, la menzogna possa avere un valore pratico maggiore, specialmente in termini di potere, sopravvivenza e influenza. Per Nietzsche, la verità non è qualcosa di assoluto o oggettivo, ma piuttosto una costruzione umana, legata ai contesti storici, culturali e sociali. La sua domanda sfida l’idea che la verità abbia un valore intrinseco e pone l’accento sul fatto che spesso la menzogna può essere più utile o più potente, specialmente quando serve i nostri bisogni e desideri. Questa provocazione non implica necessariamente un rifiuto della verità, ma piuttosto un invito a riflettere criticamente su perché e come attribuiamo valore a certi concetti rispetto ad altri. Nietzsche esplora l’idea che la verità possa essere un costrutto culturale
Meta accusata di censura su Trump e Hamas; Malesia e Turchia reagiscono contro Instagram; X cambia autenticazione presidenziale venezuelana. Manipolazione USA sui social.
Le provocazioni della cerimonia olimpica di Parigi sono state inappropriate, evidenziando il declino culturale dell’Occidente rispetto alla maestosità della cerimonia di Pechino 2008.
L’ex presidente americano, e candidato presidenziale, Donald Trump è stato oggetto ieri di un attentato ad un raduno a Butler, in Pennsylvania. Un proiettile di fucile lo ha ferito all’orecchio destro, senza ulteriori conseguenze. Il cecchino, che in una ripresa pochi istanti prima del colpo si vede in bella vista, è il ventenne Thomas Matthew Crooks, ucciso nella successiva sparatoria. Nella medesima sparatoria uno spettatore è stato ucciso e due feriti. Se la dinamica dell’attentato non lo escludesse (un proiettile a due centimetri da un punto vitale non può essere una messinscena) si sarebbe potuto pensare ad un finto attentato a sostegno della candidatura, visto che poche cose sono generalmente più benefiche ad un risultato elettorale che apparire nel ruolo della vittima. Ma siamo tempi singolarmente stupidi e, purtroppo, Trump appare come una “vittima dell’odio” semplicemente perché lo è. Questo non lo rende una bella persona ma è un fatto che merita qualche riflessione. Il processo e la recente condanna di Trump da parte del tribunale di New York per il caso Stormy Daniels andavano precisamente nella stessa direzione. In effetti, neanche 24 ore prima Biden in un discorso pubblico aveva presentato Trump come “minaccia per la nazione”, e questo è il tenore normale del dibattito. La stessa atmosfera serena è quella che ha coinvolto le sorti del più noto sostenitore di Trump in questa campagna elettorale, Ellon Musk, le cui attività economiche (in particolare il social X) sono state oggetto di una serie di attacchi concertati di tipo istituzionale (in USA e UE). Lo stesso Musk – stando a quanto da lui stesso riferito – è stato oggetto di due tentativi di assassinio negli ultimi otto mesi. Ciò che traspare, e che pur non essendo una novità merita di essere soppesato, è che la radicalizzazione della lotta politica in Occidente ha raggiunto livelli inediti, pur in assenza di significative differenze ideologiche. In Occidente, e negli USA in particolare, il mutuo disprezzo, l’assoluta mancanza di riconoscimento di legittimità agli avversari politici, è divenuta parte integrante, ordinaria, della vita pubblica. Ma, diversamente da altri periodi storici, questa delegittimazione radicale NON è dovuta al contrapporsi di visioni del mondo distanti e antitetiche, non al confronto tra ideologie palingenetiche incompatibili. Tutt’altro. Il disprezzo e l’avversione hanno una carattere personale, psicologico, epidermico, e tuttavia assoluto. Questa forma di tribalismo primitivo, prepolitico, è analoga all’avversione e disprezzo che può avvenire, oggi, tra due tifoserie calcistiche: le squadre sono di fatto intercambiabili, spesso gli stessi giocatori cominciano in una squadra e finiscono acquistati dall’altra; non c’è nessuna “sostanza” della squadra che rimane la medesima, e tuttavia la coltivazione dell’odio reciproco è essa stessa un ultimo livello di motivazione, e può portare alla violenza più estrema. Nella cornice del nichilismo occidentale, in mancanza di ideali alternativi, di prospettive positive, l’ultimo orizzonte motivazionale rimasto è quello implicito nella creazione dell’odio, del disgusto per l’avversario, che viene dipinto in forme umanamente deprecabili e di cui l’unico attributo esposto è l’assoluta, inderogabile inaccettabilità. Se non puoi amare niente, se non hai niente da sperare, almeno puoi mantenere in vita una spinta motivazionale minima in forma di un’oscura “difesa dalla minaccia estrema”. Lo scenario politico è costantemente polarizzato (o frammentato se il sistema non è bipartitico), pur in sostanziale assenza di autentiche differenze ideali. Quest’assoluta delegittimazione de L’Altro, percepito letteralmente come Alieno, in un senso naturalistico, quasi biologico, si accompagna alla legittimazione di qualunque cosa sia atta a metterlo fuori gioco. Le regole saltano, il fine giustifica i mezzi, perché (come nei film americani) la scelta viene sempre presentata all’insegna del rischio del Male Assoluto. Nella recente filmografia americana la dinamica morale più frequente è quella in cui vengono presentate delle regole morali (virtù, regole kantiane o religiose) solo per mostrare come esse debbano cedere il posto – a malincuore, si intende – ad una scelta ultima di tipo drasticamente utilitarista: “Sì, non si dovrebbe torturare o uccidere l’innocente, ma se l’alternativa è la Fine Del Mondo?” (Nei film americani si fa regolarmente strame di ogni regola morale ordinaria perché bisogna salvare il mondo e l’umanità almeno due volte prima di cena, e di fronte a simili scelte tragiche, va da sé che il fine giustifica qualunque mezzo.) Il meccanismo di delegittimazione prepolitica dell’Altro è presente, soprattutto nella politica americana, da lungo tempo: qui i candidati si fanno e disfano non sulle idee, ma sulle foto con l’amante, sulle registrazioni a microfoni spenti, sulle accuse a scoppio ritardato di testimoni compiacenti, insomma sulla base di un letamaio da cui ci si difende soltanto con carriole di soldi per avvocati e media. Ma, come sempre accade, il peggio degli USA trasmigra regolarmente in Europa con un paio di decenni di ritardo ed ora queste dinamiche sono ben visibili anche da noi. Più la politica è intercambiabile, più è impermeabile alla volontà popolare, più è vuota di visione, di idealità alternative, e più la lotta si psicologizza, si animalizza, si riduce a disprezzo epidermico di fronte all’Alieno. E quanto più ciò si verifica, tanto più ogni regola morale, ogni equilibrio giuridico, saltano: perché con i rettiliani non si discute, si spara. Andrea Zhok
Il governo Meloni cede le telecomunicazioni agli USA, ignorando la sicurezza nazionale. Intanto, la didattica a distanza si promuove senza considerare i danni psichici post-covid.
Kaja Kallas, neo-responsabile della politica estera UE, propone lo smembramento della Russia e guida con posizioni russofobiche nonostante scarsa legittimazione democratica.
Israele ha bombardato le tende degli sfollati a Rafah, vicino ai magazzini dell’UNRWA. Si stimano centinaia di morti e mutilati. L’orrore, trasmesso in diretta, rischia di essere accettato passivamente.
L’Occidente, incapace di mantenere l’egemonia globale e immaginare alternative, affronta un vicolo cieco storico, alimentando conflitti per sostenere il sistema produttivo.
Ieri, il presidente iraniano Raisi e il ministro degli esteri Amirabdollahian sono morti in un incidente aereo. Le cause sono incerte: maltempo o sabotaggio.