Trump affonda l’economia americana con la scusa dell’emergenza
Le tariffe di Trump, giustificate da un’emergenza fittizia, danneggiano economia, consumatori e democrazia, isolando gli USA nel commercio globale.
Le tariffe di Trump, giustificate da un’emergenza fittizia, danneggiano economia, consumatori e democrazia, isolando gli USA nel commercio globale.
La libertà si difende riconoscendo l’autoritarismo anche quando parla la nostra lingua. Il potere non ha etichette, solo istinto di conservazione.
La bozza di documento, pubblicata dal Sole 24 Ore, parla chiaro: si tratta di “liberare le potenzialità economiche” dei capitali privati, facilitando il loro spostamento dai conti correnti ai mercati finanziari.
Sarebbe interessante sapere chi ha redatto un simile manifesto dell’arroganza eurocentrica e soprattutto con quale obiettivo.
Avete presente quei film in cui la mafia controlla il casinò e, alla fine, vince sempre la casa? Bene, ora sostituite la mafia con l’Unione Europea e il casinò con le elezioni romene, e il quadro è completo.
L’Europa si disgrega mentre NATO vacilla e l’UE, priva di strategia, si aggrappa alla guerra per giustificare il riarmo. Trump tratta con Mosca, l’Europa resta irrilevante.
È la balcanizzazione della società, un processo in cui una comunità viene spezzettata in fazioni contrapposte, esattamente come è accaduto nei Balcani, dove l’impero ottomano prima e le potenze occidentali poi hanno giocato per secoli sulla divisione etnica e religiosa per impedire la nascita di un’identità nazionale unitaria.
L’UE corre al riarmo senza strategia, spinta dalla paura di Trump e Putin. Più armi, più debito, più affari per l’industria bellica, meno autonomia vera.
Karl Popper ci aveva avvertiti. E non ieri, ma quasi ottant’anni fa. Ne La società aperta e i suoi nemici spiegava che le democrazie muoiono non tanto per l’assalto dei barbari, ma per la manipolazione interna della verità.
Tutti si stracciano le vesti perché Trump sta avvicinando la pace in Ucraina più di quanto abbiano fatto i santoni dell’atlantismo progressista in tre anni di carneficina.
La credibilità si misura nelle scelte, e finora l’unica scelta fatta è stata quella di restare sempre un passo indietro rispetto a chi comanda davvero. Perché chi comanda parla poco, decide molto e non ha bisogno di spiegare ogni giorno a se stesso che esiste.
Com’era prevedibile, Donald Trump torna a giocare la carta dell’isolazionismo strategico, sventolando la minaccia di un ritiro degli Stati Uniti dalla NATO.
Volodymyr Zelensky, ha deciso di cambiare copione. Fino a ieri, il presidente ucraino era il fiero guerriero della resistenza, quello che “mai e poi mai” avrebbe trattato con Mosca senza condizioni favorevoli a Kiev. Oggi, invece, scopriamo che è pronto a sedersi al tavolo delle trattative sotto la regia di Donald Trump.
Se ci fosse ancora bisogno di una prova che l’Unione Europea non è altro che un burattino nelle mani delle élite finanziarie e dell’industria bellica, Ursula Von der Leyen ce l’ha servita su un piatto d’argento.
Il teatrino del bene contro il male non regge più. Gli USA scaricano Zelensky perché la guerra non conviene più. L’Europa, servile con Washington, ora finge autonomia.
Il futuro è adesso, e fa schifo. Nel 2006, quando uscì Idiocracy, la satira sembrava eccessiva. Troppo grottesca, troppo estrema. Sembrava una parodia. Oggi è un documentario.
Se il cinema è lo specchio della società, gli Oscar di quest’anno hanno riflesso un’immagine piuttosto chiara: il trionfo del cinema indipendente, la progressiva disfatta delle major e l’immancabile dose di ipocrisia politica condita da discorsi edificanti e retorica da salotto progressista.
Hollywood si è presa il lusso di dire la verità. Il che, di questi tempi, è già una notizia. No Other Land, il documentario che racconta la lotta dei palestinesi contro la demolizione delle loro case da parte dell’esercito israeliano, ha vinto l’Oscar.
Alla fine, è andata esattamente come prevedibile: Volodymyr Zelensky si è rimesso in riga, ha accettato la svendita delle risorse minerarie ucraine agli Stati Uniti e ha persino annunciato che potrebbe dimettersi. Ma solo a una condizione: l’ingresso dell’Ucraina nella NATO.
Buttare miliardi su miliardi di dollari su Kiev si è rivelata una truffa così colossale che nessuno sembra nemmeno conoscere l’importo esatto.
La storia americana è piena di presidenti che, anziché dare spettacolo in mondovisione, hanno preferito regolare i conti con mezzi più discreti e letali.
Zelensky è stato scaricato, l’America tratta con Mosca, l’Europa resta intrappolata nella guerra. Il suo tempo è finito, ma sarà l’Ucraina a pagare il conto.
Il film di Walter Salles, basato sulla vicenda reale di Rubens Paiva, fa qualcosa che il sistema politico brasiliano ha accuratamente evitato per decenni: riporta alla luce i fantasmi, costringe il Paese a guardarsi allo specchio, a riconoscere le macerie morali su cui ha costruito la sua fragile democrazia.
L’UE condanna Israele a parole, ma rinnova accordi e chiude gli occhi su genocidio e pulizia etnica. I diritti umani valgono solo quando fa comodo.
Una madre è costretta a reinventarsi quando la vita della sua famiglia viene sconvolta da un atto di violenza arbitraria, mentre la morsa della dittatura militare in Brasile si stringe sempre di più nel 1971.
Mauro Pili e L’Unione Sarda gonfiano falsamente i dati sul Tyrrhenian Link, gridando al 56% di perdite energetiche. La realtà? Appena il 2,82%.
Charlie (Goorjian) è un armeno della diaspora, cresciuto negli Stati Uniti, che nel 1948 torna nella madrepatria, ammaliato dall’illusione di una nuova Armenia sotto l’ala sovietica.
Meloni indagata per il caso Almasri piange complotti e accusa fantomatici nemici di sinistra. Intanto, un criminale vola a Tripoli a spese nostre.
Una startup cinese, DeepSeek, ha stravolto il mercato globale dell’intelligenza artificiale, mandando nel panico i giganti della Silicon Valley e provocando ripercussioni economiche su scala mondiale.
Franciscu Sedda analizza gli scritti di Camillo Bellieni tra il 1919 e il 1925, evidenziandone il ruolo cruciale nella costruzione dell’identità politica sarda e proponendo una rilettura che collega il passato alla possibilità di un futuro indipendente e consapevole per la Sardegna.