di Massimo Novelli
Piero Gobetti scriveva in un articolo su Giovanni Amendola, pubblicato nella rivista La Rivoluzione Liberale il 31 maggio 1925 : “La maggioranza degli italiani è fascista solo in questo senso: che ha una assoluta incompatibilità di carattere coi partiti moderni, coi regimi di autonomia democratica, con la lotta politica. Messi di fronte al bivio tra il governo attuale e un’ipotesi di governo futuro in cui i cittadini abbiano le loro responsabilità nella libera lotta politica, votano per Mussolini”. È uno degli scritti compresi nella nuova edizione di L’autobiografia della nazione (Aras Edizioni), raccolta di testi gobettiani sul fascismo a cura di Cesare Panizza e con una prefazione di Paolo Di Paolo.
Gobetti affermava che il “fascismo in Italia è un’indicazione di infanzia perché sogna il trionfo della facilità, della fiducia, dell’entusiasmo. Si può ragionare del Ministero Mussolini come di un fatto d’ordinaria amministrazione. Ma il fascismo è stato qualcosa di più; è stato l’autobiografia della nazione”. Il “campo concettuale in cui inscrivere la tesi del fascismo autobiografia della nazione”, sostiene Panizza nell’introduzione, “rivelazione al tempo stesso del fallimento dello stato unitario e delle classi dirigenti liberali e delle manchevolezze del costume politico e civile degli italiani, si era delineato” da tempo negli scritti di Gobetti. Al di là “del gusto di Gobetti per la polemica e al suo indubbio talento pubblicistico, e al di là anche di una scrittura la cui cifra stilistica era spesso la ricerca del paradosso, dell’ossimoro, e talvolta della provocazione irriverente, tutti fattori che vanno certo tenuti nel debito conto, l’autobiografìa della nazione’ aveva infatti alle sue spalle una analisi approfondita e non convenzionale che abbracciava assieme la qualità del liberalismo italiano, il ‘carattere nazionale’ e la storia, recente e remota, del paese”.
Era un antifascismo etico, culturale. “L’autorità della mia risposta”, asseriva in Lettera a Parigi, uscito nella Rivoluzione Liberale del 18 ottobre 1925, “viene soltanto dalla mia posizione di antifascista intransigente, antifascista dal 1919 ad oggi e finché vivrò, antifascista che non ha creduto si potesse liquidare il movimento del Mussolini come un problema di polizia, ma l’ha giudicato sin da principio il segno decisivo di una crisi secolare dello spirito italiano, antifascista, come antigiolittiano, quando gli uomini dei ministeri Giolitti, Bonomi, Facta, scherzavano col fascismo per corromperlo e corrompersi, lo armavano, cercavano di utilizzarlo ai loro fini persino nel settembre 1922 con pubblici discorsi”.
Un antifascismo rigoroso, razionale, di stile, quello di Piero Gobetti: “La nostra opposizione al fascismo non è un agitarsi inquieto di spiriti nevrastenici o femminilmente emozionati. Possiamo considerare le cose con serenità, possiamo maturare anche un problema di tattica. La nostra è un’antitesi di stile, che non sente neppure il bisogno di discutere il discorso di Mussolini”. Queste cose le diceva in un articolo intitolato Questioni di tattica, pubblicato con firma redazionale sul numero del 23 novembre 1922 di La Rivoluzione Liberale. Il fascismo era già al potere.
Il Fatto Quotidiano, 19 giugno 2023