Dialoghi della Rappresentazione (Genova, 2/10/24)
L’Occidente, ricco e potente, ha imposto la sua egemonia mondiale con imperialismo, guerre e sfruttamento. Dal Trattato di Tordesillas alla NATO, il dominio si fonda su disuguaglianze e ingiustizie che oggi mettono in discussione il suo modello sociale ed economico, evidenziando disparità globali e responsabilità storiche spesso ignorate.
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di Piergiorgio Odifreddi
Spero che che sappiate di che cosa si parla oggi perché potre, se uno non lo sa, poi magari potrebbe essere da una parte imbarazzante e, dall’altra parte, anche seccante perché è comunque abbastanza evidente dal titolo. Parliamo di quella che potrebbe essere, che forse già è, la caduta dell’Occidente. Naturalmente è difficile definire che cosa vuol dire Occidente.
C’è un bel libro, di Laterza, che è uscito da poco quest’anno, che si intitola L’invenzione dell’Occidente, perché ovviamente quello è un concetto che non c’è sempre stato, o perlomeno non ha sempre avuto lo stesso significato. Occidente, letteralmente, è semplicemente “dove cade il sole”: l’ovest. Ed è contrapposto all’Oriente, dove il sole nasce.
Molti filosofi, per esempio Hegel, notoriamente avevano fatto un parallelo tra il percorso del sole nel cielo e il percorso della civiltà su questa terra. L’idea era che la civiltà nasce a Oriente, e Hegel diceva che poi raggiunge lo zenit a Occidente. Ma uno potrebbe pensare, facendo la metafora più completa, che invece appunto nasce a Oriente e poi tramonta in Occidente.
Come si vede, io su questo ho scritto un libro. Non darò molti dettagli perché, spesso, è una cosa anche un po’ noiosa: uno deve leggersi le fonti o citare molti fatti. Ho pensato di farvi vedere soltanto le figure, no? Come si fa coi bambini. Del libro, però, sono solo delle mappe. Sono una decina di mappe che, in un certo senso, riassumono quello che è il contenuto del discorso e del libro. E quindi direi di andare subito a vederle.
Naturalmente, le mappe sono colorate. Il mondo è sempre quello, non cambia, e i colori, a seconda delle mappe, dicono cose diverse. La prima mappa ci fa vedere la distribuzione delle religioni nel mondo. Ora, è interessante perché, anzitutto, com’è stata fatta questa mappa? Ovviamente ci sono dei criteri: si sono colorati con uno stesso colore gli stati che hanno una maggioranza di cittadini che dichiarano di essere aderenti a una particolare religione.
Salta all’occhio, proprio senza nemmeno bisogno di parlarne molto, che praticamente ci sono solo due colori. Poi vedete che, in Oriente, nell’estremo Oriente, cioè l’India, la Cina, la Mongolia… La Cina è un colore interessante perché questa è una mappa delle religioni, ma è uno dei pochi stati che hanno una maggioranza della popolazione che si dichiara atea. Cioè, questo è il, diciamo così, risultato forse di tanti anni di Repubblica Popolare o di maoismo. Era la stessa cosa, naturalmente, quando c’era l’Unione Sovietica.
Quindi anche la Russia si sarebbe colorata dello stesso colore della Cina. Ma dopo la caduta dell’Unione Sovietica, voi sapete che uno dei tanti risultati di quella caduta, a cui appunto è dedicato questo ciclo, è stato un revanscismo religioso. Le chiese sono state riaperte.
Non so quanti di voi siano stati in Unione Sovietica quando c’era l’Unione Sovietica, cioè prima del 1991. Io ci sono stato due anni: nell’82 e nell’83. Mi ricordo la mia sorpresa: ormai avevo già una trentina d’anni, quindi avevo certe idee ormai formulate e fondate. Ricordo ancora l’impressione che mi aveva fatto andare a Nostra Signora di Kazan, a San Pietroburgo, sulla prospettiva Nievski, che comincia di lì e poi continua per tutta la città. Entrare in questa chiesa, dove fuori si vedono le statue del maresciallo Kutuzov, che molti ricorderanno per aver letto Guerra e Pace, e dentro la chiesa vedere un museo dell’ateismo.
Questa è una cosa, per uno che veniva dall’Italia, ovviamente abbastanza… a seconda di quello che uno ha dentro, esaltante o traumatizzante. Sull’altare, dove c’era l’iconostasi, c’era la statua di Voltaire. Statua che poi è rimasta. Adesso, se voi andate a quella che non si chiama più Leningrado ma si chiama San Leninburgo – dopo, io perlomeno la chiamo così per mantenere un po’ della tradizione – ma loro la chiamano San Pietroburgo, questa statua la ritrovate poi, naturalmente, all’Ermitage. È diventata semplicemente, appunto, un reperto da museo, mentre invece all’epoca era qualcosa che faceva vedere quello che la gente pensava.
Ora, com’è possibile che in tutto il mondo la religione maggioritaria, che copre quasi tre quarti del globo, sia il cristianesimo? Il cristianesimo è una religione mediorientale, nata in Palestina, e però si è diffusa in tutto il mondo. Non solo perché questi erano i desideri del fondatore, “andate e predicate a tutte le genti”, ma perché ovviamente è stata portata. E portata da chi?
Beh, ovviamente da coloro che erano cristiani. Il cristianesimo si è presto trasferito dalla Palestina, è arrivato a Roma – si dice, perlomeno il mito, con San Pietro e San Paolo – e di lì poi ha cominciato: prima ha conquistato l’Europa e poi, insieme all’Europa, ha conquistato l’intero mondo.
L’altro colore che si vede invece maggioritario, o perlomeno di minoranza relativa, è quello verde, che ovviamente rappresenta l’Islam. Anch’esso nato in quella zona del Medio Oriente. Però questo è interessante: guardare queste mappe perché l’impressione che noi abbiamo, quando sentiamo i telegiornali o soprattutto magari la propaganda di certi partiti, è che ormai bisogna stare attenti, perché l’Islam sta conquistando il mondo e un giorno tutti saremo musulmani, eccetera. Però uno poi guarda le mappe e dice: “Sì, è vero, l’Islam una parte del mondo l’ha conquistato. Ma l’ha conquistato quasi subito”.
Voi ricorderete la battaglia di Poitiers (732) dove i musulmani furono fermati vicino ai Pirenei. La Spagna non è più ovviamente musulmana, ma lo è stata per tanto tempo, fino alla caduta dell’ultimo enclave, nel 1492.
Dall’altra parte, ovviamente, c’è il Golfo: vedete l’Arabia Saudita, eccetera. Ci sono le isole del tipo Giava, Sumatra e così via. E però il rapporto, diciamo così, fra le aree coperte dall’Islam e quelle coperte dal cristianesimo è un rapporto senza storia.
Ora, questo secondo me è già qualche cosa che ci fa pensare. Quando noi pensiamo all’Occidente, noi pensiamo a una civiltà che è riuscita a conquistare il resto del mondo. E però non ci chiediamo mai come siamo riusciti a conquistare il resto del mondo. È interessante provare a vedere. Questa è una mappa strana, perché vedete che è stata fatta proprio disegnata a tavolino: c’è un meridiano. Ovviamente questa è la proiezione di Mercatore, no? Quindi i meridiani sono tutti paralleli, ma in realtà convergono nei poli, no? Quindi lì c’è un unico meridiano che gira attorno al mondo.
Questa è la mappa del Trattato di Tordesillas, che è un trattato fondamentale. Perché? È del 1494. La data qualcosa vi ricorda? Perché il 1492 è l’anno della caduta di Granada, cioè l’episodio che ho citato prima: l’ultima enclave musulmana. Quindi la Spagna ormai è libera, può aprirsi al resto del mondo, e infatti lo fa. E questo è successo agli inizi di quell’anno, 1492, e alla fine dell’anno, come sappiamo – siamo a Genova naturalmente, no, non potreste non saperlo – un genovese, ma in realtà al soldo, diciamo così, dei re di Spagna, scopre quello che poi in seguito si scoprirà essere l’America.
Ora, per quale motivo questa mappa? Beh, perché in realtà, come voi sapete, Colombo credeva di essere arrivato alle Indie, e cercava semplicemente una via diversa per arrivare alle Indie. Perché i portoghesi, che come vedete lì sono disegnati in verde, no? O meglio lassù in alto, no, in Europa, no? I portoghesi erano affacciati naturalmente sull’Oceano. La Spagna aveva in qualche modo controllato il Mediterraneo, grazie anche, appunto, ai marinai genovesi. Mentre invece l’Oriente era stato controllato più che altro da Venezia, no? Dalla Repubblica Marinara di Venezia.
Infatti Marco Polo, per esempio, è andato nell’altra direzione. Però i portoghesi, fin dagli inizi del ‘400, quindi un secolo prima, avevano cominciato ad andare o cercare di andare verso le Indie – l’India vera – facendo semplicemente il periplo dell’Africa. La cosa era complicata. Incominciarono, appunto, verso credo il 1416: Enrico il Navigatore, non a caso chiamato così, re di Portogallo, incominciò a seguire le coste del Portogallo, fino ad arrivare a quella insenatura. E lì trovarono un problema.
I problemi spesso sono problemi di natura geografica: ci sono correnti, ci sono venti che impedivano di andare oltre. Poi però, ad un certo punto, i grandi navigatori portoghesi, in particolare Vasco de Gama, capirono che forse si poteva evitare di fare cabotaggio – cioè seguire la costa e arrivare poi alla fine a quello che si chiamerà poi Capo di Buona Speranza – e si poteva semplicemente tagliare diritto. Ma non avevano le mappe, ovviamente, no? Quindi dovevano impararlo a loro spese.
E comunque, questo per farla breve: alla fine i portoghesi, alla fine del secolo, erano riusciti a mettere basi in tutta l’Africa, risalire attraverso lo Stretto di Hormuz e arrivare praticamente fino a quella che oggi è Suez, controllando quel tipo di accesso verso le Indie. Naturalmente, gli spagnoli non erano contenti di questo e cercavano una via alternativa: passare dall’altra parte del globo e arrivare alle Indie. Questo era lo scopo di Colombo.
Però, nel tentativo di fare queste cose, ovviamente si scoprirono molte isole nell’oceano. Si scoprirono, per esempio, le Canarie, poi tante altre. Samoa, poi dall’altra parte, e così via. Nel 1494, due anni dopo la scoperta di quello che si credeva essere una via alternativa alle Indie, Spagna e Portogallo si sedettero di fronte a un tavolino e dissero:
“Facciamo un patto. Siamo le due potenze egemoni. Siamo noi. L’Europa all’epoca così era, no? Spartiamoci il mondo.”
Ora, uno può dire: “Ma scusa, spartirsi il mondo? È occupato da altri, no?” Non importa. Dicono: “Tiriamo un meridiano: la parte che i portoghesi già controllavano, cioè l’Africa, le coste d’Africa, eccetera, quella parte lì è tua. Del Portogallo. E quello che – boh! – non si sa bene che cosa ci sia dall’altra parte, sarà invece della Spagna,” quindi colorato in giallo.
Questo è veramente un momento storico: è la prima volta in cui l’Europa decide che il mondo è suo e che può spartirselo. E lo fa con totale disdegno per ciò che c’è già nella realtà: i popoli che abitano quelle terre, le culture, le società. Notate come lo fecero: a un certo punto, ovviamente, bisognava sceglierlo questo meridiano. Lo scelsero un po’ alla cieca: credo che fosse 2000 miglia oltre le Azzorre.
Col senno di poi, vedete che quel meridiano tagliava l’America del Sud. Se fosse stato spostato un po’ più in là, sarebbe stata tutta spagnola. Ma così, tagliava in una parte che in teoria doveva essere portoghese. E che cosa c’è lì oggi? Il Brasile, dove infatti si parla portoghese. Questo è il motivo per cui il Brasile ha una tradizione coloniale portoghese, mentre il resto dell’America, agli inizi perlomeno, era praticamente colonizzato dagli spagnoli. Semplicemente perché questi due popoli decisero di spartirsi la torta.
Chi fece da notaio? Anche qui, la cosa interessante: i re di Spagna e Portogallo andarono dal Papa a dirgli che avevano fatto un patto e volevano che lui lo benedicesse. Il Papa, infatti, che si considerava l’erede del potere temporale sul mondo (perché, ovviamente, no? il Papa era il vicario di Cristo) avallò questo accordo. E così, le due potenze cattoliche, in particolare la Spagna con Isabella e Ferdinando, ottennero la benedizione.
E comunque, per farla breve, alla fine i portoghesi, verso la fine del secolo, erano riusciti a mettere basi in tutta l’Africa, risalendo attraverso lo stretto di Hormuz e arrivando praticamente fino a quella che oggi è Suez, controllando quel tipo di accesso verso le Indie. Naturalmente, gli spagnoli non erano contenti di questo e cercavano una via alternativa, passando dall’altra parte del globo per arrivare alle Indie. Questo era lo scopo di Colombo.
Nel tentativo di fare queste esplorazioni, si scoprirono molte isole nell’oceano: per esempio le Canarie e tante altre, poi da una parte e dall’altra. Così, nel 1494, due anni dopo la scoperta di quello che si credeva fosse una via alternativa per le Indie, Spagna e Portogallo si sedettero attorno a un tavolino e dissero: “Facciamo un patto. Siamo le due potenze egemoni, siamo noi, l’Europa. Spartiamoci il mondo.”
Uno potrebbe dire: “Ma come? Il mondo è già occupato da altri popoli.” Non importava. Decisero di tracciare un meridiano. La parte che i portoghesi già controllavano – cioè l’Africa, le coste d’Africa, ecc. – venne assegnata al Portogallo. Dall’altra parte, quella che si credeva fosse una zona sconosciuta, fu assegnata alla Spagna, colorata in giallo.
Questo è un momento storico significativo: è la prima volta in cui l’Europa decide di spartirsi il mondo. E lo fa con una certa arroganza, ignorando completamente i popoli che abitavano quelle terre.
A questo punto, ovviamente, bisognava scegliere il meridiano. Lo scelsero un po’ alla cieca, a circa 2000 miglia oltre le Azzorre. Col senno di poi, vediamo che quel meridiano tagliava l’America del Sud. Se fosse stato tracciato un po’ più a ovest, l’intera America Latina sarebbe stata spagnola. Invece, quella linea lasciava una parte – il Brasile – teoricamente portoghese. E infatti, oggi in Brasile si parla portoghese. Questo spiega perché il Brasile ha una tradizione coloniale portoghese, mentre il resto dell’America Latina fu colonizzato dagli spagnoli.
Chi doveva fare da notaio in tutto questo? Qui arriva un elemento interessante. I sovrani di Spagna e Portogallo andarono dal Papa e gli dissero: “Abbiamo fatto un patto e vogliamo che tu lo benedica e lo avvalli.” La Chiesa Cattolica, che si considerava l’erede del potere temporale sul mondo, non esitò. Il Papa, infatti, era il vicario di Cristo, e i re cattolici, come Isabella e Ferdinando, chiesero il permesso papale per spartirsi il mondo.
Uno potrebbe dire: “Va bene, ma queste sono cose di secoli fa.” Eppure, la divisione del mondo non si è fermata lì. Per molto tempo, la spartizione rimase com’era, fino a quando altre potenze europee iniziarono a chiedersi: “E noi? Perché voi dovete spartirvi il mondo?” Non perché ci fossero popoli che già abitavano quelle terre, ma perché anche loro volevano una fetta di torta.
E quindi poi arrivarono, ovviamente, gli inglesi, i francesi, i tedeschi, gli olandesi, i danesi e così via. Tutti gli stati europei, cioè gli stati d’Europa, che all’epoca ovviamente non erano coalizzati insieme l’uno con l’altro, bensì l’un contro l’altro armati, volevano spartirsi la torta.
Però, per molto tempo, fu molto difficile farlo, perché bisognava costruire una flotta analoga a quella degli spagnoli, a quella dei portoghesi e così via. Quindi, è solo alla fine dell’800 che veramente poi si decise di spartirsi, in particolare, l’Africa. E si fece esattamente quello che si era fatto a Tordesillas.
Nel 1885, a Berlino, al Congresso di Berlino, così chiamato, gli stati europei si radunarono e decisero, e dissero: “Bene, c’è l’Africa, ci sono anche gli africani, ma di quello non ci interessiamo.” O meglio, ce ne interessiamo perché abbiamo bisogno di schiavi che dobbiamo portare appunto in Brasile – i portoghesi – o nel Nord America – gli spagnoli – e così via.
E ci dividemmo l’Africa. Quello fu uno dei grandi patti che gli europei fecero per dividersi il resto del mondo.
Poi, in seguito, a Sanremo – quindi non lontano da qui – alla Conferenza di Sanremo del 1920, gli stati europei si spartirono il Medio Oriente. I problemi che ci sono in Medio Oriente, compresi quelli di oggi e di ieri, eh, sono nati perché gli europei, in particolare gli inglesi, decisero come doveva essere spartito il Medio Oriente.
In particolare la Palestina. La Palestina in grande, quello che oggi è Israele e i territori occupati della Palestina, era territorio degli inglesi. Furono loro a decidere che lì si sarebbe fatta una “casa per gli ebrei,” come la chiamarono loro.
Poi, naturalmente, anche dopo la Seconda Guerra Mondiale, il Patto di Yalta del 1945 fu una divisione, in particolare, dell’Europa, no? Ma anche delle zone di influenza. Le due superpotenze – la Russia, in quel caso l’Unione Sovietica, e gli Stati Uniti – si erano di nuovo divisi il mondo.
Ma siamo sempre noi a farle, queste cose. Immaginate se un giorno arrivassero due africani e ci dicessero: “Abbiamo deciso di spartirci l’Europa.” Vi piacerebbe la cosa? Ci metteremmo a ridere. E invece noi l’abbiamo fatto per tutto il corso degli ultimi cinque secoli.
E questo è il risultato: vedete che qui ci sono colori molto diversi. A volte ci sono colori, per esempio, nel Nord America, in alto a sinistra, a strisce. Non perché quella è la bandiera americana, stelle e strisce, ma perché ci sono state potenze occupanti diverse. Per esempio, se voi andate negli Stati Uniti, vi accorgete, se andate a New Orleans, che lì c’era l’influsso francese. Lo vedete ancora addirittura oggi nelle architetture, nei balconi di ferro intarsiati, quelle cose tipicamente francesi.
Oggi, nel Nord America, ci sono gli inglesi. Però gli inglesi, ovviamente, gli anglosassoni, quelli che oggi si chiamano gli americani, che – anche questo è un segno di colonialismo – si riferiscono a sé stessi come “gli americani.” Se voi sentite parlare, per esempio, Trump o Kamala Harris, in questo non differiscono: dicono “L’America,” ma quando loro parlano dell’America, intendono gli Stati Uniti d’America. Il resto dell’America è come se non ci fosse.
Quello è casa loro. Questo si chiama Dottrina Monroe, che fu enunciata negli anni ’30 del 1800, quindi due secoli fa, quando un presidente degli Stati Uniti emanò un proclama che si chiama così, la Dottrina Monroe, e dice: “L’America è degli americani.”
Che, tutto sommato, poteva anche essere una cosa interessante. Dice: “Certo, così come l’Europa è degli europei,” eccetera. Sì, ma era intesa in un senso un po’ diverso: l’America degli americani, cioè il continente americano è degli Stati Uniti. È una cosa un po’ diversa.
E infatti, a tutt’oggi, nessuno può alzare la testa, diciamo, negli Stati Uniti, pena grossi guai. Pensate a cosa è successo a Cuba, quando decise, a un certo punto, negli anni ’60, di uscire dal blocco, diciamo così, statunitense. E ancora oggi, fino ad oggi, è sotto embargo. Embargo come quelli che sono stati fatti a Putin, dopo l’invasione della Crimea.
Ma questa mappa fa vedere che quasi tutto il mondo… L’unica zona che è rimasta fuori è quella zona grigia che vedete in mezzo, dove c’è la Turchia, l’Arabia, poi la Cina, eccetera. Quelle sono zone in cui gli europei ebbero zone di influenza. Per esempio, a Shanghai, c’erano le concessioni: la città di Shanghai era divisa tra le quattro grandi potenze europee, fino alla caduta dell’imperatore nel 1911.
Però, a parte quelle zone lì, tutto il resto è colorato secondo quello che poi gli europei si erano presi. E vedete che la situazione si complica, perché ormai potenze europee ce n’erano tante. E quindi, per esempio, in Africa, vedete: il blu è la zona di influenza francese, quella rossa invece, che parte praticamente dall’Egitto e arriva fino giù al Sudafrica, era inglese.
Al centro, c’è quella specie di cuore che è il Cuore di Tenebra, ovviamente, di Conrad. Quello era quello che noi, ancora quando io ero bambino, si chiamava il Congo Belga. E il Congo Belga è stato uno degli stati dove si sono fatte le cose peggiori. Leopoldo II del Belgio è stato un monarca che considerava il Congo come cosa sua. Quando i belgi arrivarono in Congo, c’erano 25 milioni di abitanti. E 30 anni dopo, ne erano rimasti 12.
Cioè, se voi pensate: quando noi facciamo la Giornata della Memoria per i 6 milioni di ebrei che Hitler ha sterminato durante la Seconda Guerra Mondiale… Beh, è facile fare la differenza. Si vede che è più del doppio, soltanto in una nazione dell’Africa.
Perché poi quello che è successo in Africa è una cosa che fa accapponare la pelle. Nel libro, in parte, ne parlo, ma ci vogliono testi dedicati a queste cose per capire che la Seconda Guerra Mondiale, tutto sommato, non è poi stata un evento così eccezionale.
In Africa sono morte decine di milioni di africani, decine di milioni in varie fasi. Perché, appunto, come ho accennato prima, gli africani, dovunque voi andiate nel mondo, gli africani stavano in Africa, ovviamente. Come sappiamo, per motivi evoluzionistici, semplicemente i pigmenti si erano evoluti lì perché c’erano le condizioni adatte per farlo.
Però, quando noi andiamo in giro per il mondo e vediamo delle comunità nere, e se uno sfoglia i libri di storia, si accorge di che cosa significa. In Brasile, per l’appunto, dove ci sono molti neri, era perché era diventato uno dei “giardini” del Portogallo. Però servivano i giardinieri. E come si faceva? Si andavano a prendere in Africa: si compravano, si rubavano, si conquistavano. C’erano tanti modi di fare la tratta dei neri.
Oggi, addirittura, ci sono alcuni che dicono: “Ma l’Occidente è stato la cultura che ha abolito la schiavitù.” Ah sì, certo, l’ha abolita a metà dell’800, quando però prima l’aveva inventata. Per secoli, no? Poi è facile abolire le cose che uno stesso aveva creato come peccato originario.
E guardate che alcuni di quei “colori” continuano a rimanere. Perché oggi molti di noi si concentrano – e fanno bene, perché è cronaca – su cose marginali: l’Ucraina da una parte, il Medio Oriente, Gaza e Israele dall’altra. Però, se uno va a vedere che cosa è successo nell’antichità, si domanda:
“Ma Putin ha invaso l’Ucraina? Com’è possibile permettere a uno stato di invadere uno stato libero e democratico?”
E chi è che lo dice? Per esempio Macron, che è stato uno di quelli in prima fila nel mandare armi in Ucraina. La Francia, oggi, non nel passato, ha colonie in tutti e cinque i continenti.
E allora uno dice: “Ma scusa, certo è brutto invadere l’Ucraina. Ma per quale motivo Putin non può invadere l’Ucraina, se tu hai ancora colonie e non te ne liberi?”
La Francia, naturalmente – chi ha un po’ più di anni se lo ricorderà – ha fatto la guerra in Algeria. L’Algeria si è liberata agli inizi degli anni ’60, anzi, dopo la Seconda Guerra Mondiale. Quando il mondo era stato “liberato” dal nazismo – così ce la raccontano a scuola. Però, in realtà, era stato liberato dal nazismo, ma non dal colonialismo.
Le colonie, appunto: le prime colonie che si sono liberate sono state cose come il Congo. Ma queste indipendenze sono durate pochissimo. Lumumba, ad esempio, di cui forse qualcuno ricorderà il nome, negli anni ’60 fu eletto quando i belgi scapparono. Rimase al potere due o tre mesi, poi ci fu un colpo di stato, fu assassinato e arrivò un dittatore che rimase al potere per vent’anni.
Ma non dobbiamo prendercela solo con la Francia. Perché l’Inghilterra – se voi guardate l’Australia, che è colorata del colore inglese – ancora oggi fa parte del Commonwealth. Il re d’Australia è Carlo III, re d’Australia.
E uno dice: “Sì, va bene, ma è solo un titolo onorifico.” Però, se uno va in Australia e comincia a leggere la storia, si accorge che, negli anni ’70 del Novecento – quindi non qualche secolo fa – c’era un governo eletto liberamente, un governo di tipo socialista, che si chiamava Whitlam, dal nome del primo ministro. Questo governo faceva quello che fanno i governi socialisti: riforme che non erano gradite alla destra.
E cosa fece la regina Elisabetta, così amata dal popolo inglese, ma non magari dalle altre parti? Semplicemente fece sciogliere il Parlamento. Un colpo di stato, diremmo, se non fosse che lei era la regina e poteva farlo. Il Parlamento fu dissolto, il governo fu mandato a casa e, per qualche mese, rimasero senza Parlamento. Poi si organizzarono nuove elezioni, che – guarda caso – portarono una maggioranza diversa.
Ma l’Inghilterra stessa continua a mantenere colonie in mezzo mondo. E non è l’unica. La Danimarca, per esempio: uno dice “Vabbè, poverini, prendiamocela con la Danimarca, no? È uno staterello!” Solo che, se guardiamo la Danimarca sulla carta geografica, vediamo quella striscia di terra che entra nel mare. Diciamo: “Ma che stato sarà mai?”
Eppure oggi, la Danimarca è più grande di un continente. Mettete insieme Portogallo, Spagna, Francia, Italia, Germania e Inghilterra. E uno dice: “Ma dov’è il resto?” È lassù. Lo vedete lassù, no? Quella cosa violacea: la Groenlandia.
La Groenlandia è un territorio sterminato, una colonia ancora oggi danese. E inizia a far gola all’Europa.
E infatti, von der Leyen, recentemente, qualche mese fa, è andata a fare un sopralluogo. Si sta parlando di convincere la Danimarca a cedere la Groenlandia, invece, come proprietà all’Europa. La Danimarca, ai tempi del Principe Amleto – voi vi ricorderete, infatti, il titolo del mio libro deriva da lì, no? – quando, nell’Amleto, si dice: “C’è del marcio in Danimarca”.
E uno dice: “Ma chissà perché in Danimarca.” All’epoca, la Danimarca non aveva soltanto la Groenlandia. Aveva anche la Norvegia, la Finlandia, la Svezia e l’Islanda. Quindi era una nazione grande quanto l’Europa.
Allora si capisce perché Amleto fosse un principe così importante, o che perlomeno meritasse, addirittura, una tragedia di Shakespeare.
Questo è il risultato di quello che, appunto, gli europei hanno fatto nel resto del mondo.
Notate che c’è anche la Russia. Quel colore azzurro, diciamo così, in alto a destra. La Russia è stata un impero. Ha conquistato, e ancora oggi la Russia è grande: un sesto del mondo come estensione geografica.
È vero che la Siberia era in larga parte deserta o poco popolata, soprattutto al nord, dove le condizioni di vita sono impossibili – posso testimoniarlo, essendoci stato al sud della Siberia per un paio d’anni – ma al sud era diverso.
Quindi anche la Russia apparteneva a quello che oggi chiamiamo Occidente. Benché oggi vediamo che c’è attrito tra quell’Occidente slavo e il nostro Occidente, che è quello latino e anglosassone.
Solo una parola per dire ancora qualcosa sulla schiavitù. È un tema che noi troppo spesso rimuoviamo, come se fosse qualcosa di passato. Ma decine di milioni – si parla di cifre dai 35 ai 60 milioni – di africani sono morti. Ovviamente non ci sono liste precise; è molto difficile fare un conto esatto. Bisogna basarsi sulle popolazioni: stimare quante erano prima e quante rimanevano dopo questi traffici.
I primi morti si facevano lungo le coste africane. Per esempio, il Congo è stato uno degli stati che ha fornito “carne” – letteralmente – per la schiavitù. Ma quando i numeri richiesti aumentarono, perché c’erano sempre più colonie – soprattutto nelle Americhe – e sempre più bisogno di lavoratori, si iniziò a penetrare all’interno dell’Africa.
Era difficile entrare nell’entroterra, quindi si fecero patti. C’erano sempre stati collaborazionisti: regimi locali che catturavano i popoli vicini, li vendevano o li scambiavano con merci agli occidentali. Questa povera gente partiva da casa loro e doveva arrivare alle coste per poi imbarcarsi verso le Americhe.
Io, tanti anni fa, sono stato in Senegal, all’isola di Gorée, dove c’è ancora questa porta: l’ultima porta che vedevano questi condannati, che salivano sulle galere e poi venivano portati nelle Americhe.
Molti morivano durante il tragitto verso le coste africane, di stenti, percosse o ribellioni. Poi si affrontava la traversata. Quelli erano tempi molto diversi dai nostri, e durante il viaggio altri morivano.
Infine, quelli che arrivavano vivevano in condizioni terribili: molti morivano nelle piantagioni, dove si lavorava con lavori forzati. Quelli che vediamo oggi come discendenti sono quelli rimasti. Basandoci su proporzioni tra quelli rimasti e quelli che morirono nel percorso, durante la traversata o nei lavori forzati, si arriva a cifre spaventose: decine di milioni di morti.
Trattavamo queste persone come animali da lavoro, semplicemente. Questo è uno degli aspetti più bui dell’Occidente. Se oggi ci definiamo il “Primo Mondo,” è anche per questo.
Noi siamo il 10% della popolazione mondiale, e possediamo il 90% delle ricchezze del mondo. Non siamo solo noi europei in quel 10%; ci sono anche oligarchi russi, cinesi, eccetera. Ma gli europei sono una grande parte di quel gruppo privilegiato.
E questo è un problema squilibrato. Perché possediamo il 90% delle ricchezze? Perché le abbiamo sfruttate e, in parte, rubate in tutto il resto del mondo. Siamo un po’ come i figli dei mafiosi: uno dice: “Sì, ma io che c’entro? Era mio bisnonno che rubava.”
Grazie, però, non è una grande consolazione sapere che non sei stato tu direttamente a rubare, se comunque approfitti delle ricchezze che la tua famiglia ha accumulato in maniera né legale né morale.
Questo è quello che è successo invece negli anni di questo secolo. Perché vedete la NATO, a sinistra, nel 1999. La NATO è stata creata subito dopo la Seconda Guerra Mondiale. Ho accennato prima al fatto che, nel 1945, ci fu un patto che si chiamava appunto il Patto di Yalta, in cui gli europei e i sovietici si divisero le zone di influenza in Europa. Quindi la parte bianca che vedete sulla destra, quella parte rossa, è ovviamente soltanto un lembo della Russia che avete visto nella mappa precedente. È una zona sterminata, ma lì c’è la Russia, no? E c’è anche un pezzettino che è Kaliningrad, cioè quello che una volta era Königsberg, un’enclave che la Russia ha dai tempi storici nel Baltico.
Le zone bianche facevano parte del Patto di Varsavia e le zone azzurre facevano parte invece della NATO. Notate che ci sono dei buchi bianchi nelle zone azzurre. Tanto per cominciare, c’è un’isola vicino all’Inghilterra che è bianca. Quella è l’Irlanda, ovviamente, e l’Irlanda a tutt’oggi non fa parte della NATO. Non è un peccato capitale non essere europei e non far parte della NATO. Quando Putin chiedeva che l’Ucraina non entrasse nella NATO, molti politici europei si scandalizzavano. Ma dico: ci sono stati che finora non hanno fatto parte della NATO, sono europei, e non mi sembra che vivano malamente.
Ne vedete altri in mezzo. Sopra l’Italia, ovviamente, c’è la Svizzera, che ha una tradizione di neutralità secolare. Ma vicino alla Svizzera vedete quella specie di stato un po’ allungato: quello è l’Austria. E l’Austria nemmeno fa parte della NATO oggi. Quindi non è che la cosa sia così strana. E uno si può chiedere: come mai l’Austria non fa parte della NATO? Perché ha deciso di non entrare? No. Perché l’Austria, dopo la Seconda Guerra Mondiale, ovviamente è stata occupata dagli americani fino al 1955. Per dieci anni le truppe americane sono rimaste in Austria e, quando alla fine si è deciso, hanno detto: “Bene, ok, abbiamo insegnato la lezione. Adesso fate una Costituzione liberamente, democraticamente, in cui vi diciamo noi che cosa dire.”
C’è un articolo della Costituzione austriaca che dice che l’Austria non può prendere parte ad alleanze che contengano la Germania. Perché la paura era quella di mettere insieme la Germania e l’Austria di nuovo e fare massa critica, anche perché Hitler, ovviamente, era austriaco e non tedesco. E comunque, a tutt’oggi, l’Austria non è parte della NATO.
E che cosa è successo però? Siamo nel 1999. L’Unione Sovietica era caduta nel 1991. Il muro di Berlino era caduto nel 1989. Da dieci anni non c’era più la controparte. La NATO è nata come alleanza difensiva e aveva senso di esistere perché, dall’altra parte, c’era un’alleanza anch’essa difensiva dal suo punto di vista, ma che noi consideravamo offensiva, così come loro consideravano la nostra offensiva. E quello aveva senso: era un equilibrio di poteri.
Ma nel momento in cui il Patto di Varsavia si è dissolto con la caduta dell’Unione Sovietica nel 1991, per quale motivo la NATO non è stata dissolta? Le motivazioni sono strane, non si è mai capito bene per quale motivo razionale si sia dovuto mantenere in piedi un’attività di questo genere o un’alleanza di questo genere. Se non, in seguito, perché l’idea era: “Eh sì, però adesso che è caduta l’Unione Sovietica, dobbiamo evitare che si rialzi.” Perché le cadute, a volte, non sono letali: permettono magari di rialzarsi, di continuare la gara e, a volte, anche di vincerla.
Questo non c’entra niente col discorso che sto facendo, ma ricordo che quando ero ragazzo mi ero molto stupito, credo fosse nel 1972, alle Olimpiadi di Monaco, dove un norvegese che si chiamava Lass Viren partecipò ai 10.000 metri. Durante la gara, a un certo punto, inciamparono in tre o quattro, caddero, e gli altri rimasero per terra. Lui si riprese, si alzò e, naturalmente, non lo avevano aspettato. C’erano ormai decine di metri tra lui e il resto del gruppo. Però erano 10.000 metri, una gara lunga. Lui riuscì a raggiungerli e alla fine vinse le Olimpiadi, facendo anche il record del mondo, nonostante fosse caduto.
Questo per dire che quando si cade, ci si può anche rialzare. Forse era questo il problema che la NATO aveva: non voleva che la Russia e i suoi domini si rialzassero. E piano piano si è cominciato a spingere la NATO fino ai confini. Vedete le due aree bianche a contatto con la Russia: quella in alto è la Bielorussia, alleata della Russia, e sotto c’è l’Ucraina, che è il contenzioso. Putin aveva chiesto che l’Ucraina non entrasse nella NATO perché ormai si era arrivati, diciamo così, ai confini della Russia. La NATO non ha accettato.
La guerra in Ucraina è nata praticamente per questo motivo. Tra l’altro, nel libro ho messo anche i puntatori per chi fosse interessato. Si può andare a vedere, per esempio, il discorso che Putin fece a Berlino – sempre lì si decidono le sorti del mondo, nel bene e nel male – nel 2007. Era l’inizio del nuovo secolo ed è un discorso durissimo. Si vedono i capi di stato di allora: si vede la Merkel, che parlava russo perché veniva dalla Germania Est e lo aveva studiato a scuola. Capiva direttamente anche senza traduttori.
Putin disse: “È ora di smetterla, perché voi continuate a trattare la Russia come se fosse semplicemente un pupazzo di cui potete fare quello che volete. Adesso non c’è più Yeltsin, che avevate messo voi per poterlo controllare. Adesso ci sono io e le cose stanno cambiando.” Era il 2007.
Poi ci sono state molte altre avvisaglie. Chi è interessato, può guardare il film di Oliver Stone. Sapete che Stone è molto impegnato politicamente, oltre ai suoi film da Oscar. In realtà, fece questa lunghissima intervista a Putin, che dura quattro ore. Si poteva vedere su Netflix fino a quando è scoppiata la guerra in Ucraina. Poi è scomparsa, ma credo che su YouTube si trovi ancora. In quelle quattro ore, Putin ripeteva quasi fino alla nausea: “Attenzione, perché voi state spingendo troppo, tirando troppo la corda.”
Stoltenberg, che finalmente ha lasciato la guida della NATO qualche mese fa, ha detto che Putin gli aveva chiesto, prima dell’inizio della guerra in Ucraina – quindi nell’autunno, credo fosse ottobre o novembre del 2021 – di promettere che l’Ucraina non sarebbe entrata nella NATO. Putin avrebbe così evitato di invaderla. Stoltenberg rispose: “Assolutamente no, come ti permetti? Noi vogliamo l’Ucraina nella NATO e tu non devi invadere.”
La guerra, come sappiamo, è scoppiata nel febbraio del 2022. A fine marzo, russi e ucraini avevano trovato un accordo. L’accordo prevedeva che sarebbe stata l’Ucraina a non chiedere di entrare nella NATO. In un caso precedente, era la NATO che non avrebbe chiesto all’Ucraina di entrare. Che cosa è successo? Questo è un fatto su cui concordano tutti.
Il capo delegazione ucraino – che è anche il capo del partito di Zelensky al parlamento – ha dichiarato in un’intervista, che si può trovare su YouTube, che quegli accordi erano stati già inizializzati. Poi, però, sono arrivati gli inglesi – Boris Johnson, per esempio – a dire: “Non dovete farlo. Noi vi supportiamo, non accettate queste condizioni.”
Putin stesso, dall’altra parte, confermò questa versione. Anche lui sapeva cosa succedeva dall’altra parte. I due contendenti concordano sul fatto che le cose andarono così. Un paio di mesi fa, la signora Nuland, che era Sottosegretario di Stato degli Stati Uniti – misteriosamente dimessasi qualche mese fa – ha confermato la stessa cosa in un’intervista. Quindi lo dicono coloro che c’erano.
Alla fine, il contenzioso di questa guerra, il motivo per cui spendiamo miliardi di dollari, e gli americani ancora di più, in Ucraina – con armamenti, aiuti umanitari, accoglienza ai profughi – è questo. Voi sapete che ci sono milioni di ucraini che hanno “bruciato le tappe.”
Quello che noi facciamo agli altri immigrati lo sappiamo tutti: spesso i giornali ce lo ricordano, non li vogliamo assolutamente. Ma in Europa abbiamo accolto milioni di ucraini. Giustamente, abbiamo dato loro assistenza sanitaria, lavoro, accoglienza, e così via. Trattiamo gli immigrati come se fossero di serie A o serie B.
Quindi queste sono cose di nuovo molto, molto strane, che fanno pensare che ci sia dietro effettivamente una strategia. Questo lo fa pensare, ad esempio, una dichiarazione che ha fatto Xi Jinping, il presidente e segretario del Partito Comunista Cinese, di fronte a Ursula von der Leyen, in presenza di giornalisti. Quando l’ho letta sui giornali, ho detto: “Domani sarà un titolo in prima pagina.” E invece nessuno ne ha parlato.
Che cosa ha detto Xi Jinping di fronte a von der Leyen? Ha detto: “Biden, il presidente Biden, ha fatto tutto il possibile per spingermi a fare guerra a Taiwan. E io non ho abboccato.”
Ora, questo è uno strano modo di porre le cose. Perché noi pensavamo: “Ma come, non hai abboccato? Non sei tu che vuoi invadere Taiwan a tutti i costi?” E poi si scopre – vi ricorderete la signora Nancy Pelosi, che era andata a Taiwan quando i cinesi dicevano: “Non tirate la corda” – che Biden voleva spingere i cinesi a fare guerra a Taiwan. In teoria, dovrebbe essere il contrario: dovrebbero essere lì a difenderla, Taiwan.
Secondo me, la spiegazione è molto semplice. Gli statunitensi sanno che, in realtà, oggi la Cina non è ancora al livello militare e tecnologico degli Stati Uniti. E quindi, se facesse la guerra oggi, la Cina perderebbe. Magari a caro prezzo, ma l’Occidente la vincerebbe. Se invece aspettano a farla tra 5-10 anni – e questa è ovviamente la tattica dei cinesi, la tattica del gatto che aspetta il topo finché il topo non esce – allora probabilmente le sorti si capovolgerebbero.
È la stessa cosa che è successa in Russia. La Russia ci è stata presentata come un enorme pericolo: “Putin vuole arrivare fino a Lisbona.” Guardate la mappa: dal rosso all’estremo di Lisbona. Ma quando Putin ha invaso l’Ucraina, dove è arrivato? Ha fatto 200 km in tre anni. Duecento chilometri. Ne dovrebbe fare migliaia. Si è capito che non era affatto vero che la Russia fosse una superpotenza militare.
Tra l’altro, chi di voi legge i numeri lo sapeva già anche prima. Basta guardare i rapporti che vengono fatti ogni anno, a livello mondiale, sulla distribuzione delle spese militari nel mondo. La cosa interessante è che queste spese militari, fino agli inizi della guerra – dico fino agli inizi della guerra perché poi in seguito sono aumentate, sia da parte della Russia, che degli stati europei e degli Stati Uniti – erano più o meno sempre le stesse: 2000 miliardi di dollari all’anno.
È una cifra folle. Se voi pensate cosa si potrebbe fare con 2000 miliardi di dollari per i problemi del mondo… Noi, invece, li spendiamo – il mondo li spende – in armamenti.
Ma come sono distribuiti questi miliardi di dollari in armamenti? La cosa interessante è che 800 miliardi li spendono gli Stati Uniti. Ora, 800 su 2000 sono il 40% delle spese militari. Gli Stati Uniti, da soli, sono circa 250 milioni di persone, quindi una piccola parte della popolazione mondiale, il 5%, ma spendono il 40% delle spese per gli armamenti.
Un altro 20% lo spendono gli stati europei. La Germania ne spendeva 60 miliardi, la Francia 60 miliardi, l’Inghilterra 60 miliardi. Messi tutti insieme, si arriva al 20%. E non bisogna essere matematici, anche se qualcuno qui lo è, per fare 40 + 20, che fa 60%. Scopriamo che, di nuovo, questa piccola parte del mondo – fatta da Europa, America e qualche alleato come l’Australia – non solo possiede il 90% delle ricchezze, ma spende anche il 60% degli armamenti.
Allora, di chi bisogna aver paura? Di chi è più armato o di chi è meno armato? E Putin quanto spendeva? Beh, Putin spendeva 60 miliardi, che a fronte dei 1200 miliardi degli Stati Uniti e degli altri paesi occidentali, sono un ventesimo. Noi abbiamo 20 volte di più le armi che ha Putin. Questo spiega perché Putin non riesce ad avanzare nemmeno in Ucraina, dove avrebbe voluto prendersi quei “quattro cantoni” che gli interessavano, e non riesce a farlo da tre anni. Perché? Perché non ha le risorse sufficienti.
Era questo che Biden voleva che anche la Cina facesse, cioè metterla in una condizione simile, a Taiwan in quel caso, di spendere cifre folli e di non riuscire a conquistare nulla.
E qui c’è una mappa molto interessante. Prima parlavamo del fatto che non si può permettere a Putin di invadere uno stato sovrano, perché “non sono cose che si fanno.” Qualche mese fa – o meglio, credo sia già passato un anno o due – il Congresso americano, in un momento evidentemente in cui qualcuno aveva bevuto (perché forse era meglio tenersi queste cose per sé), decise di fare un’inchiesta. Voleva vedere quanti interventi militari fossero stati fatti all’estero dagli Stati Uniti dal 1776, anno dell’indipendenza, fino ad oggi.
Elencarono tutto. Ho trovato questa lista in rete, ho messo il titolo, quindi potete cercarla anche voi. È una lista della spesa noiosissima, con anni, giorni e stati che hanno subito questi interventi militari. La cosa interessante è che elencarono circa 500 interventi militari. Ma la cosa che mi ha stupito di più è che 250 di quei 500 interventi gli Stati Uniti li hanno fatti dopo la caduta dell’Unione Sovietica. Quindi, negli ultimi 30 anni.
Uno dice: “Ma allora gli Stati Uniti fanno le stesse cose che sta facendo Putin?” Certo, lo fanno dovunque. Solo che noi non ne parliamo. E quando ne parliamo, lo chiamiamo “portare la democrazia all’estero,” “aiutare quelli che stanno dalla parte dell’Occidente,” e così via.
Quelli che vedete sulla mappa, invece, sono gli stati che nel corso della loro storia gli Stati Uniti – quelli colorati in nero – hanno invaso col loro esercito. Guardate che è una buona fetta del mondo. Uno dirà: “Ma la Russia? Quando mai hanno invaso la Russia?”
E la cosa interessante è che parliamo della Russia spesso senza saperne nulla. Io vengo da Torino, per esempio, e ogni tanto mi capita di andare a Palazzo di Città, dove c’è il sindaco. Quando si entra, c’è una lapide che dice: “Ai caduti piemontesi della guerra di Crimea, 1854-1857.”
Uno si chiede: “Ma l’Italia, quando è stata fatta? Nel 1861. Non c’era ancora l’Italia, e gli italiani già combattevano in Crimea.” Proprio lì, dove oggi Putin dice che c’è il contenzioso.
Avrete letto tutti Guerra e Pace e saprete che Napoleone è andato in Russia. È stata una bellissima cosa, perché ha permesso a Tolstoj di raccontare la storia, appunto, di Guerra e Pace. Arrivarono con più di mezzo milione di truppe. I francesi entrarono in Russia e successe quello che potete brevemente leggere in Guerra e Pace – che è un libro corto, no? Si legge in una serata – e ne uscirono in 30.000. Gli altri sono rimasti là.
E cosa ci andava a fare Napoleone in Russia? Ovviamente, se i russi sono paranoici e dicono: “Non vogliamo avere i confini con le armi della NATO,” ci sarà un motivo. Questo era il 1800.
Poi, ovviamente, nel 1812 ci fu la grande invasione. E i piemontesi – che non erano soli, ovviamente, perché l’Italia non esisteva – facevano parte di una coalizione europea contro i russi a metà dell’800.
La Prima Guerra Mondiale? Beh, quella era una guerra in cui ad un certo punto i russi si misero dall’altra parte. La Rivoluzione Russa del 1917 ebbe una vita molto movimentata e tormentata. Oggi si vedono su YouTube delle cronistorie interessanti che raccontano la storia di quelle battaglie in cinque minuti. Si vede la Russia stesa tra i bianchi e i rossi. Ad un certo punto, la Russia collassò e divenne una piccola zona intorno a Mosca e San Pietroburgo. Sembrava quasi dissolta. La rivoluzione aveva quasi perso, ma poi si ricominciò. Vinsero i rossi e, fino alla caduta dell’Unione Sovietica, rimasero al potere.
Chi c’era fra i bianchi? Pensiamo che fossero zaristi. In realtà, c’era una coalizione simile a quella che oggi c’è in Ucraina. I russi rossi, comunisti, venivano combattuti dai cecoslovacchi, che furono i primi ad andare in soccorso dei bianchi. Poi arrivarono gli americani, e anche noi, a fare guerra ai russi.
La Seconda Guerra Mondiale? Lo sappiamo tutti. L’operazione Barbarossa, i tedeschi… Ma i tedeschi erano europei, pure quelli. Se i russi sono paranoici e non ci vogliono vicini, è perché più volte negli ultimi due secoli abbiamo fatto queste cose.
Questo era solo per spiegare come mai l’intera Russia è colorata di rosso. Ma guardate il resto del mondo: la Cina, l’Africa, il Sud America. Non c’è nemmeno un “giardino” che non sia stato occupato dagli Stati Uniti. Questo è l’Occidente. Però, noi non ci vediamo mai così. Questo è il modo in cui loro ci vedono.
Il motivo per cui ho scritto questo libro è che la vita mi ha portato a viaggiare e stare tanti anni all’estero. Ho insegnato negli Stati Uniti per vent’anni. Ogni volta che c’era una vacanza – per esempio, i midterms, le vacanze estive o invernali – partivo. Sistematicamente, dal Messico fino all’Argentina, nel corso dei decenni. E ogni volta mi divertiva leggere la storia di quei popoli. Oh, ma ce ne fosse uno che non fosse mai stato invaso dagli Stati Uniti, dove non ci fosse stato un colpo di stato della CIA.
Man mano che viaggiavo e leggevo, mi mettevo le mani nei capelli. “Ma siamo veramente così? Forse è per questo che ci odiano.”
Nel libro ho messo 10 testimonianze di persone che dicevano più o meno le stesse cose. Era per essere in buona compagnia. Uno può dire: “È come con gli ebrei: se uno vuole, trova un ebreo che dice quello che vuole lui.” Il problema è trovare Albert Einstein o Hannah Arendt.
E la cosa straordinaria è che molti personaggi che noi amiamo, che pensiamo siano nostri maestri, in realtà pensavano peste e corna dell’Occidente.
Dostoevskij, per esempio. Vi ricorderete che, quando è scoppiata la guerra in Ucraina, ci fu quel piccolo scandalo alla Bicocca. C’era qualcuno che doveva fare una conferenza su Dostoevskij, e glielo impedirono. Tutti i giornali scrissero: “Ma adesso non facciamo delle stupidaggini, insomma. Dostoevskij è un’altra cosa.”
Aveva perfettamente ragione, però, chi non voleva che Dostoevskij fosse insegnato o che se ne parlasse. Dostoevskij era violentemente antieuropeo. Ovviamente, poverino, ha avuto una vita travagliata. È stato dieci anni nei campi di concentramento, nei gulag zaristi – perché allora non c’era ancora il gulag sovietico – ed è stato condannato a morte. Gli simularono l’esecuzione capitale, e questo gli causò un trauma così forte che gli venne l’epilessia.
Finalmente, dopo queste traversie, in cui aveva vissuto per dieci anni con prostitute e assassini – perché quello si trovava nei campi, oltre ai comunisti antelitteram – Dostoevskij tornò alla libertà. Questo, tra l’altro, è il motivo per cui scrive i libri che conosciamo oggi.
Detto tra parentesi, Dostoevskij prima scriveva libri completamente diversi, che quasi mai leggiamo. Per esempio, il suo primo romanzo, Povera gente. Quando lo scrisse, i critici russi dissero: “È nato un nuovo Gogol.” Era come se noi avessimo detto: “È nato un nuovo Verga.” Dostoevskij era un realista. È un bellissimo romanzo, tra l’altro, molto toccante, che racconta la storia di due personaggi che vivono su un pianerottolo di una casa di poveri. Si incontrano ogni giorno, un uomo e una donna, naturalmente, e si mandano dei bigliettini. È una cosa veramente toccante. Se uno lo legge senza sapere chi l’ha scritto, mai penserebbe che l’ha scritto Dostoevskij. Non è un poliziesco, non ci sono prostitute o assassini, è un altro mondo.
Quando lo liberarono dal campo di concentramento, finalmente si ritrovò con qualche soldo. Decise di venire in Europa. Fece un giro in Germania, in Inghilterra, in Francia, in Italia. Dopo un paio di mesi, tornò in Russia. All’epoca era complicato viaggiare, anche se in alcuni dei libri si legge qualcosa di interessante. Mi ricordo, recentemente, di aver visto un passaggio in Oblomov in cui si diceva: “Ormai il mondo è diventato piccolo.” Era ovviamente l’Ottocento.
Perché era diventato “piccolo”? Perché, ormai, per andare in Europa, in tre settimane di treno si arrivava.
Cioè, oggi, se uno pensasse di fare un viaggio di tre settimane in treno, direbbe: “Mamma mia!” Noi siamo abituati ad andarci in due ore con gli aerei, no? E così via. Ma all’epoca era diverso. Comunque, Dostoevskij venne in treno, visitò questi paesi e poi tornò indietro. Era il 1866, quindi l’epoca già di Umiliati e Offesi, il grande Dostoevskij. Tornato in Russia, scrisse un libro che si chiamava Annotazioni invernali su impressioni estive.
Era andato a fare un viaggio d’estate e poi, d’inverno, stava scrivendo questo resoconto. Scrive: “Sono arrivato a Londra: è una gabbia di matti.” Che cosa c’era? C’era l’Expo, la prima Esposizione Universale. Tutti vi erano andati. Tra i grandi visitatori dell’Expo c’erano Darwin, Faraday, e molti altri personaggi illustri.
E lui scrive: “Un popolo così, l’unica cosa che pensa è quella di comprare, vendere e possedere. Materialisti.” Dostoevskij aveva l’idea che il mondo e l’uomo dovessero essere altro. Questo emerge anche nei suoi romanzi polizieschi, dove spesso riflette su questi temi.
Dostoevskij la pensa esattamente come Putin. Ora, uno potrebbe dire: “Dai, adesso non esageriamo!” Ma chi l’ha detto questo? Che la pensa come Putin? L’ha detto qualcuno che se ne intende, sia di Putin che di Dostoevskij: Kissinger.
Qualche anno fa, quando Putin invase la Crimea, sui giornali statunitensi iniziarono a dire: “Putin è come Hitler.” Lo avrete sentito cento volte. A un certo punto, fecero un’intervista a Kissinger. E lui disse: “Hitler non c’entra proprio niente con Putin. Putin è semplicemente un seguace di Dostoevskij. La pensa come lui.”
E, se voi leggete i grandi romanzi di Dostoevskij, per esempio I fratelli Karamazov, trovate il famoso episodio del Grande Inquisitore. Provate a leggerlo. È un’accusa tremenda nei confronti della Chiesa Cattolica, vista come la degenerazione del Cristianesimo. Una versione europea del Cristianesimo che Dostoevskij detestava.
Dostoevskij ha scritto tante cose di questo genere, soprattutto nei suoi diari, nei quaderni e nei saggi. Questo è solo un esempio.
Il Mahatma Gandhi, un pacifista, no? Di nuovo, che cosa pensava dell’Occidente? Beh, su questo abbiamo una testimonianza diretta. Oltre ad aver scritto un libro in cui parlava del progetto per l’India che aveva in mente – un’India liberata dagli inglesi, perché all’epoca l’India era parte dell’Impero Britannico, il cosiddetto “Gioiello della Corona” – Gandhi lasciò un’affermazione breve ma significativa.
Un giorno, un giornalista gli chiese: “Cosa pensa lei della civiltà occidentale?” Sperava di sentire elogi. E Gandhi lo guardò e rispose: “Sarebbe una bella idea, eh.” Questo è quello che pensava. Per Gandhi, dov’era la civiltà occidentale? Diceva: “Se esiste una civiltà, fatela. Poi chiedetemi cosa ne penso. Cosa posso pensare, altrimenti?”
Quando si viveva sotto l’Impero Inglese, composto da razzisti esattamente come sarebbero stati più tardi i nazisti, era difficile vedere qualcosa di civilizzato. Citare i nazisti è sempre comodo, perché li consideriamo l’immagine del male assoluto. Ma cosa c’è di più malvagio delle leggi razziali? In Germania iniziarono nel 1933, e noi in Italia le adottammo nel 1938.
Se si legge il Mein Kampf – tra l’altro, c’è Massini, un giornalista di Repubblica, che sta girando l’Italia con uno spettacolo intitolato proprio Mein Kampf (l’ho visto in parte a Camogli, ed è molto interessante) – si scopre che Hitler, in quel libro, dice: “Le leggi razziali le ho copiate dagli Stati Uniti, di sana pianta.”
L’autore delle prime leggi razziali negli USA si chiamava Harry Laughlin (con GH). Riuscì a farle passare agli inizi del 1900 in molti stati americani, nella maggioranza degli Stati Uniti. A un certo punto, qualcuno suggerì di chiedere alla Corte Costituzionale un parere su quelle leggi, che prevedevano cose come la castrazione degli omosessuali o l’incarcerazione dei “deficienti” o degli “zingari” – esattamente quello che proponeva Hitler. La Corte Costituzionale americana dichiarò che quelle leggi “non erano contrarie alla Costituzione americana.”
La Costituzione americana, come sapete, è un documento molto generico e aperto a interpretazioni. Quelle leggi rimasero in vigore. Le leggi Jim Crow, che discriminavano i neri – vietando loro di sedersi sugli stessi autobus dei bianchi, frequentare le stesse scuole pubbliche, entrare negli stessi ristoranti, ecc. – furono abolite solo nel 1965, vent’anni dopo la fine del nazismo.
E negli Stati Uniti, nei primi anni ’50 – sempre dopo la Seconda Guerra Mondiale – furono castrati chimicamente 50.000 omosessuali. Se oggi ci sono reazioni eccessive, come quelle che vediamo nel cosiddetto “ideologia gender” o in certe battaglie sociali, è perché, per lungo tempo, gli omosessuali negli Stati Uniti furono repressi, esattamente come lo erano nella Germania nazista.
Allora, forse cominciamo a capire: ma che cos’era il nazismo? È possibile che tutto il male fosse lì? Il nazismo era una parte dell’Europa che voleva prendere il sopravvento sull’altra, ma tutti, più o meno, la pensavano nello stesso modo. In Italia, in Spagna, in Inghilterra… il re Edoardo VIII era nazista. E infatti, uno dei motivi per cui cercarono di toglierselo di mezzo fu con la scusa che si era sposato con una divorziata. Ma se andate a vedere l’ideologia della casa reale, era quella lì.
Pensate al principe Harry: oggi fa le cose su Netflix, ma quando decise di “fare il furbo” e andare a una festa di ballo, come si vestì? Da SS. Forse cominciamo a capire che sì, è comodo per la nostra coscienza dire: “Tutto il male era nel nazismo, noi l’abbiamo combattuto, abbiamo vinto, noi siamo tutto il bene.” Ma in realtà, eravamo molto simili ai nazisti. Era una battaglia interna, come oggi negli Stati Uniti.
E arriviamo alla conclusione, anche perché sta diventando buio. Queste sono le basi militari che gli Stati Uniti hanno all’estero. Dove ci sono i pallini più grandi, vuol dire che ce ne sono 10, a volte 50. Guardate, per esempio, l’Inghilterra, dove ce ne sono 45. Questo è il globo: gli Stati Uniti sono ovunque.
Quante sono le basi note? Perché poi ci sono quelle ignote, di cui non possiamo parlare. Quelle note, elencate ufficialmente, sono 800. Ottocento basi militari sparse in tutto il mondo. È un dato sorprendente, perché gli Stati Uniti, che sono lì in quella parte bianca, controllano l’intero mondo. Uno potrebbe dire: “Bravo, ma facci vedere la mappa delle basi russe.”
E la cosa interessante è che non le vedreste. Perché se sommiamo le basi russe, inglesi e francesi, si arriva a 30. Russia, Francia e Inghilterra, messe insieme, hanno 30 basi all’estero, contro le 800 degli Stati Uniti. Come mai? Non ci possono raccontare che è solo per “amor di pace” che hanno queste basi.
Forse cominciamo a capire che la narrazione è diversa da quella che pensiamo. Anche l’idea che abbiamo dell’Occidente non è così rosea. Qui vediamo il mondo diviso dal coefficiente di Gini, un numero inventato dall’economista italiano Corrado Gini agli inizi del 1900. Questo coefficiente misura la disparità nella distribuzione della ricchezza all’interno di un’area: può essere il mondo intero o i singoli stati.
Nella mappa, il coefficiente di Gini è rappresentato con colori: più è scuro, maggiore è la disparità; più è chiaro, maggiore è l’uguaglianza. Guardiamo le zone più chiare: Scandinavia, Norvegia, Svezia, Finlandia. L’Europa, nel complesso, non sta male, è abbastanza chiara. Ma guardate l’Italia e l’Inghilterra: sono più scure. Questo significa che, in Italia e in Inghilterra, c’è più disparità rispetto, per esempio, alla Francia o alla Spagna.
E guardate gli Stati Uniti: sono di un rosso vergogna. Perché? Perché negli Stati Uniti ci sono gruppi molto ricchi, ma anche gruppi molto poveri.
Prendiamo i carcerati. Qual è la nazione con il maggior numero di carcerati, in valore assoluto? Un milione e mezzo. Uno potrebbe pensare alla Cina o alla Russia, ma sono gli Stati Uniti. Hanno 1,5 milioni di carcerati, il numero più alto al mondo. Anche in percentuale: negli Stati Uniti, 1 persona su 150 è in galera. In Europa, è 1 su 2000.
Se guardiamo la popolazione carceraria degli Stati Uniti, scopriamo che, per ogni bianco in carcere, ci sono tre latini americani e sette neri. Altro che razzismo! È evidente che chi finisce in galera sono quelli che “danno fastidio.” Poi, certo, si dice: “I neri delinquono di più.” Ma ci sarà un motivo, no? Perché non diventano banchieri o professori universitari? Le opportunità sono diverse.
Le zone peggiori, però, sono quelle che vedete nel Sudafrica. I neri, in Sudafrica, sono ancora sotto il dominio dei bianchi. Quest’estate sono stato in Namibia e Botswana: è tremendo. I bianchi, che sono il 7% della popolazione, controllano tutte le strutture turistiche e i business. Tutti i soldi che portiamo in quei paesi vanno a finire nelle mani dei proprietari bianchi, che non vogliono neppure farci vedere i neri.
In Namibia, di neri ce ne sono pochi, solo pochi milioni. In Sudafrica, è la stessa storia. L’idea di Mandela, di una società egualitaria, è rimasta incompiuta. Non ha fatto rappresaglie contro i bianchi, ma lasciandoli lì, loro hanno mantenuto il controllo economico.
Questa è l’ultima cosa, un po’ diversa dalle altre, ma altrettanto istruttiva. Spesso, infatti, non conosciamo nemmeno noi stessi. Qui, i colori rappresentano la densità di popolazione: più il colore è chiaro, meno gente c’è. Per esempio, la Russia è grande, certo, ma ha poca popolazione perché molte aree sono gelate, o sono steppe.
Uno potrebbe immaginarsi che i paesi con maggiore densità siano l’India e la Cina. Eppure, guardando la Cina, si nota che non è così male. E guardate l’Europa: l’Inghilterra ha la stessa densità di popolazione dell’India. Ha meno abitanti, ovviamente, ma sono tutti concentrati in un piccolo spazio. L’Inghilterra, attenzione, non il Regno Unito o la Scozia, ma solo quella zona lì. Un altro esempio sono i Paesi Bassi: per ovvi motivi, hanno un’alta densità.
Di nuovo, anche queste cose a volte ci fanno riflettere. L’Africa, per esempio, è in gran parte vuota rispetto ad altre aree, ma non pensiamo mai troppo a questi dati. Ogni tanto, però, dovremmo fare un esame di coscienza. Prima di giudicare la politica estera dicendo: “La colpa sta di qua, la colpa sta di là,” dovremmo informarci e cercare di capire cosa ci sta dietro. Perché le cose sono arrivate a questo punto? Che cosa abbiamo fatto noi? Perché siamo i più ricchi al mondo?
Quando parlavamo del coefficiente di Gini, si faceva riferimento agli stati uno per uno. Ma qual è l’ideologia del capitalismo che noi cerchiamo di diffondere nel mondo intero? La narrativa è che il capitalismo è positivo e virtuoso: “Quando una nazione si arricchisce, tutti si arricchiscono, anche i poveri.”
John Kennedy aveva una metafora per spiegare questo: “Quando arriva l’alta marea, solleva anche le barche piccole, non solo i transatlantici.” Quindi dovremmo essere tutti contenti, perché “andiamo tutti su.”
Ma quando si guarda al coefficiente di Gini del mondo e si analizzano gli ultimi due secoli – dall’inizio della Rivoluzione Industriale in avanti – si scopre che il grande cambiamento ha portato tutt’altro. Prima della Rivoluzione Industriale, nel 1600, per esempio, i regni del Nord Africa erano paragonabili a quelli europei. Prendiamo il Marocco: il re Muley Idris – di cui forse avete visitato la città omonima – rivaleggiava con altri regnanti europei per avere la reggia più bella o per essere il più ricco.
È stato solo dal 1700, ma soprattutto dagli inizi dell’800 fino ad oggi, che la Rivoluzione Industriale ha cambiato tutto. E la scusa che ci raccontiamo è: “Sì, diventiamo più ricchi, ma la ricchezza si distribuisce, e tutti insieme miglioriamo.”
E invece, il coefficiente di Gini globale mostra il contrario. Oggi, c’è più disparità di quanta ce ne fosse all’inizio della Rivoluzione Industriale. Oggi, 20 persone – sì, 20 persone – hanno la stessa ricchezza di 4 miliardi di persone. Metà della popolazione mondiale più povera ha la stessa ricchezza di questi 20 individui, molti dei quali conosciamo per nome: Bill Gates, Mark Zuckerberg, Elon Musk, Jeff Bezos, e così via.
Uno potrebbe dire: “Sarebbe un atto di giustizia sociale far sparire questi 20 individui e redistribuire la loro ricchezza.” Pensateci: raddoppieremmo il tenore di vita di metà della popolazione povera del mondo.
Gli economisti sanno bene che un dollaro non ha lo stesso valore per tutti. Per un senzatetto, 1000 dollari possono significare la sopravvivenza, mentre per un miliardario sono irrilevanti, non se ne accorge nemmeno. Questo è il problema: la ricchezza è concentrata nelle mani di pochi.
Abbiamo citato che il 10% della popolazione mondiale possiede il 90% della ricchezza. Questo significa che il nostro modello di produzione non è virtuoso. È un modello che fa più male che bene. Non a chi possiede tutto, ovviamente, ma al resto del mondo. È dannoso.
Credo che questa sia la conclusione che possiamo fare.
Grazie della vostra attenzione e buona serata.