Alle origini della Sardegna autonomistica: l’elaborazione dell’identità politica dei sardi negli scritti di Camillo Bellieni

Franciscu Sedda analizza gli scritti di Camillo Bellieni tra il 1919 e il 1925, evidenziandone il ruolo cruciale nella costruzione dell’identità politica sarda e proponendo una rilettura che collega il passato alla possibilità di un futuro indipendente e consapevole per la Sardegna.

Nel saggio “Alle origini della Sardegna autonomistica: l’elaborazione dell’identità politica dei sardi negli scritti di Camillo Bellieni”, contenuto in Tracce di memoria, Franciscu Sedda analizza gli scritti di Camillo Bellieni tra il 1919 e il 1925, evidenziandone il ruolo cruciale nella costruzione dell’identità politica sarda. Con un approccio critico e semiotico, l’autore ne esplora sia le intuizioni autonomiste sia i limiti di una visione ancora vincolata al centralismo italiano, proponendo una rilettura che collega il passato alla possibilità di un futuro indipendente e consapevole per la Sardegna.

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di Alberto Piroddi

L’interpretazione dell’identità politica sarda proposta da Franciscu Sedda nel saggio “Alle origini della Sardegna autonomistica: l’elaborazione dell’identità politica dei sardi negli scritti di Camillo Bellieni” rappresenta un atto di sfida intellettuale, una rivendicazione di autonomia contro secoli di narrazioni coloniali che hanno cercato di annullare la soggettività dei sardi. Non si tratta di un esercizio accademico fine a sé stesso, ma di un’arma critica rivolta a smascherare le complicità culturali e politiche che hanno relegato la Sardegna a una funzione subalterna all’interno dello Stato italiano. Questo lavoro va letto come una dichiarazione di guerra al centralismo e all’uniformità imposta, un manifesto per un’identità sarda libera dalle catene di una falsa memoria costruita ad arte.

Sedda compie un’operazione necessaria: riscrive il racconto dell’autonomismo sardo partendo dalla consapevolezza che l’identità politica non è un fatto naturale, ma un prodotto culturale, un territorio in cui si combattono battaglie decisive. Il suo sguardo parte dalla Prima guerra mondiale, esperienza che rappresenta per la Sardegna un trauma tanto simbolico quanto reale, un momento in cui la narrazione nazionale italiana strumentalizza il sacrificio dei sardi per alimentare una retorica di fedeltà al Regno. Eppure, in quel bagno di sangue, Sedda riconosce anche un germe di coscienza: i sardi, nella guerra, non combattono per l’Italia, ma per sopravvivere come popolo.

La figura di Camillo Bellieni emerge come una figura ambivalente, capace di intuire le contraddizioni insite nell’appartenenza a uno Stato che li sfrutta, ma incapace di rompere del tutto i legami con l’idea di un’autonomia subordinata. Sedda, con il rigore del semiologo e la passione dell’indipendentista, scava nelle parole di Bellieni per smascherare un discorso che, pur nella sua importanza storica, si mostra intriso di ambiguità. Bellieni evoca la Sardegna come “Patria” in una forma che, nel suo afflato idealista, rischia di essere svuotata di sostanza politica. Sedda ci mostra che questa idealizzazione è il risultato di una scelta deliberata: neutralizzare le spinte realmente rivoluzionarie per confinare l’autonomia entro i limiti del possibile accettabile per lo Stato centrale.

Sedda va oltre la storia ufficiale, ci porta a vedere la Sardegna non come un’“isola” geografica, ma come un “corpo” politico frammentato e ricomposto attraverso le violenze della storia. La “guerra dei sardi”, combattuta sotto le insegne della Brigata Sassari, diventa il simbolo della manipolazione italiana: il sacrificio richiesto ai sardi non era un sacrificio per la Sardegna, ma per un progetto nazionale che li avrebbe poi relegati ai margini. Sedda, invece, ribalta questa narrazione, invitando a rileggere quei momenti come occasione per un risveglio: i sardi che combattono, soffrono e muoiono non possono ignorare la loro condizione di popolo sfruttato.

L’analisi di Sedda non si ferma alla critica storica. Egli evidenzia come l’autonomismo “unionista” sia stato il più grande tradimento della Sardegna verso sé stessa. Questo autonomismo, pur rivendicando spazi di gestione locale, ha sempre operato all’interno delle strutture italiane, rinunciando a immaginare una Sardegna pienamente indipendente. Sedda smaschera la retorica di un’autonomia che, di fatto, non è mai stata altro che una concessione calcolata, una strategia per contenere il potenziale eversivo del popolo sardo. In questo, egli individua il ruolo decisivo della memoria collettiva, distorta da chi aveva interesse a cancellare le voci più radicali, da Antonio Simon Mossa agli indipendentisti contemporanei.

La forza del lavoro di Sedda sta nel suo approccio militante: egli scrive da sardo consapevole che l’identità del suo popolo è stata colonizzata, svuotata e resa innocua attraverso un lungo processo di rimozione culturale. Il suo richiamo all’indipendenza non si limita a una visione teorica, configurandosi invece come una necessità politica radicata nel recupero delle radici e nella costruzione di un discorso sardo autentico, libero dalle influenze delle sovrastrutture italiane. Sedda sottolinea come il nemico non si esaurisca nello Stato italiano, risiedendo anche nella tendenza, presente tra gli stessi sardi, ad accettare passivamente le imposizioni e ad adattarsi alle illusioni di un’autonomia priva di sostanza.

Le sue riflessioni sul corpo come luogo dell’identità politica sono particolarmente potenti. Per Sedda, il corpo collettivo dei sardi porta impressi i segni della storia: fame, emigrazione e guerra vi si manifestano come tracce di una subordinazione che si estende oltre l’ambito economico, coinvolgendo profondamente anche la dimensione simbolica. Restituire significato a questi corpi equivale a ridare voce a una memoria soppressa. La Sardegna descritta da Sedda non è un’isola astratta, bensì una comunità di corpi che oppongono resistenza, rifiutandosi di rimanere oggetti passivi nel discorso altrui e trasformandosi in soggetti consapevoli di un’azione politica rivolta all’indipendenza.

Il lavoro di Sedda si presenta come un grido di battaglia, un invito a concepire l’indipendenza come un progetto concreto, radicato nella volontà di affermare il diritto a definire la propria identità e a scegliere il proprio futuro. La Sardegna di Sedda è un laboratorio di libertà, un luogo in cui si costruisce un futuro diverso, dove il popolo sardo può finalmente liberarsi delle catene culturali, economiche e politiche imposte da uno Stato che lo ha sempre considerato periferico e marginale.

Leggere questo saggio implica affrontare un confronto con le proprie responsabilità: accettare una Sardegna che resta nella condizione di subire o scegliere di sostenere una Sardegna che si afferma con forza. La scelta, secondo Sedda, investe non soltanto la sfera politica, ma coinvolge profondamente anche quella esistenziale. Essere sardi, per lui, significa scegliere di essere liberi.

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Franciscu Sedda, “Alle origini della Sardegna autonomistica: l’elaborazione dell’identità politica dei sardi negli scritti di Camillo Bellieni”, in Tracce di memoria, Edizioni Fondazione Sardinia, 2002

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