Nonostante l’abolizione del reddito di cittadinanza, il settore turistico e ristorativo in Italia continua a segnalare una marcata difficoltà nel reperire personale, in particolare per ruoli come camerieri, pasticceri, e gelatai, con alcune aree che riportano carenze oltre il 70%. La situazione, aggravata dalla pandemia, riflette un cambiamento nelle priorità dei lavoratori, che ora valorizzano di più il tempo libero e il benessere personale, spingendo molti ad abbandonare il settore. Le aziende tentano di adattarsi, riducendo orari e ripensando i contratti, ma la mancanza di alloggi accessibili e le condizioni di lavoro stagionale poco attrattive complicano ulteriormente il quadro. Sindacati e datori di lavoro riconoscono la necessità di rinnovare i contratti nazionali scaduti e di affrontare il problema degli alloggi per i lavoratori, in un contesto di irregolarità lavorativa crescente e di divisione nelle percezioni del problema tra diverse regioni.
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ALTRO CHE “DIVANISTI” – La misura la povertà non c’è più, ma permangono gli allarmi sulla mancanza di personale, soprattutto di camerieri. E adesso c’è anche l’emergenza alloggi
di Leonardo Bison
C’è chi ha alzato la voce, in questi giorni pasquali: l’economia va, ma manca il personale. “Mano d’opera non ce n’è, e questo costringerà gli operatori a fare turni massacranti per assicurare le produzioni di dolci della tradizione”, ha spiegato la Confartigianato Alimentare del Veneto, parlando di carenze oltre il 70% per pasticceri e gelatai. “I ristoranti sono pieni, ma a causa della carenza di personale in molti dobbiamo rinunciare al doppio turno”: è il grido dei ristoratori, dalla Sardegna all’Emilia, per il lungo weekend di Pasqua. Solo gli ultimi allarmi dopo quelli che si susseguono da mesi su bagnini, camerieri, chef…
Anche un anno fa, di questi tempi, era tutto un fiorire di dichiarazioni sulla carenza di personale. Ma andava per la maggiore, quantomeno a livello mediatico, una spiegazione semplice: “Colpa del reddito di cittadinanza”. Tanto che solo due settimane fa la ministra del Turismo, Daniela Santanchè poteva ribadire: “Per i lavoratori stagionali c’è stato un incentivo gigantesco: abbiamo tolto il reddito di cittadinanza. Mi sembra il più grande incentivo che il governo potesse fare, tant’è che oggi la situazione sta un po’ migliorando rispetto agli anni scorsi”. Il governo ha fatto anche di più, ad esempio, reintroducendo i voucher per alcune categorie (in particolare i lavoratori di festival e eventi). Ma il problema, a giudicare dagli allarmi a mezzo stampa, è ancora lì.
Secondo un report di Unioncamere per Fipe-Confcommercio presentato un mese fa, le aziende del settore ristorazione che lamentano difficoltà nel reperire personale sono passate dal 52% del 2023 al 49,2% del 2024. Una differenza quasi impercettibile, per il vicepresidente di Fipe-Confcommercio Matteo Musacci, che conferma come in tanti colleghi siano in grave difficoltà: “Il problema non è mai stato il solo reddito di cittadinanza. Noi notiamo un cambiamento dalla pandemia in poi: il tempo libero, il benessere personale, è diventato più importante. Alcune persone hanno abbandonato il settore e non sono più tornate”. Non è un problema che colpisce allo stesso modo tutti. Restando nel turismo, il settore ricettivo, quantomeno quello rappresentato dalle associazioni datoriali, sembra dare una lettura diversa. “Dobbiamo ridare le motivazioni, soprattutto ai giovani, affinché tornino a lavorare nel settore. Occorre ripensare i contratti, rivedere e ridurre gli orari”, ha dichiarato Patrizia Rinaldis di Federalberghi Romagna. Giuseppe Roscioli, presidente di Federalberghi Roma, è drastico: “Vedo persone con ben poco titolo che parlano di carenza di personale nel turismo, ma qui il reclutamento sta andando bene. Nelle città, dove il lavoro c’è tutto l’anno, non registriamo veri problemi, i job day sono pieni”. Dentro l’associazione albergatori, si nota un ritorno del personale da due anni a questa parte. Merito anche dei modelli di reclutamento che stanno cambiando: sulla costa veneta ci si è mossi con portali online e appelli su TikTok.
In assenza di dati strutturati, una questione che sembra emergere è quindi quella, specifica, riguardo il lavoro stagionale, meno attrattivo per tanti motivi, a partire dagli orari. Il topos dei giovani che vogliono il weekend libero nella narrazione mainstream ha in parte sostituito il “divanismo” dato dal RdC, ma i riscontri sono limitati. “Noi facciamo vertenze per far ottenere ai lavoratori il giorno libero, altro che weekend libero, ci sono persone che vengono assunte per 3-4 mesi senza mai pause”, spiega Francesco Bugli, referente nazionale del sindacato Usb per gli stagionali del turismo.
In un settore in cui i report dell’Ispettorato del lavoro anno per anno parlano di una crescita del tasso di irregolarità nelle aziende controllate a campione (siamo al 78% al Centro Nord, al 90% al Sud), per Bugli scaricare i problemi sulle abitudini dei giovani, in un settore in cui il 50% della manodopera è under 40, è strumentale. “Il lavoro stagionale è poco appetibile per tanti motivi, i contratti si fanno sempre più corti, ormai quelli da maggio a settembre sono una rarità”, spiega Bugli, con conseguenze anche sull’assegno di disoccupazione, dopo la riforma della Naspi, e quindi sulla sostenibilità del lavoro stagionale. I sindacati puntano il dito poi sui contratti nazionali, scaduti da troppo tempo: in periodo di inflazione, una decurtazione del salario. Quello di Confesercenti è stato rinnovato da poco a 5 anni dalla scadenza, per altri, come i pubblici esercizi o gli alberghi, le trattative sono ancora in corso.
Ma c’è anche, in questa stagione, un emergente tema di alloggi, che in tempo di caro-affitti incidono quanto a volte più del salario. Lo ha appreso il titolare di un bistrot di Portofino che aveva dato l’allarme su Repubblica sulla sua incapacità di trovare personale: “I ragazzi oggi non sono attirati da questo lavoro, forse gli complica troppo la vita, vogliono esser liberi di sera, e durante il weekend”.
Forse, perché dopo quell’articolo, ha ricevuto una trentina di telefonate: “Arrivavano da tutta Italia, dalla Sicilia, dalla Calabria, dalla Basilicata, dalla Puglia, dal Trentino, dalla Lombardia, dal Veneto, senza distinzione tra nord e sud”, ha detto, ma “mi hanno subito chiesto se nello stipendio era incluso l’alloggio, e per noi non è possibile”. Un problema reale, soprattutto per le piccole località turistiche, dal Trentino alla Puglia. A Jesolo, il primo staff hotel d’Italia gestito da un’associazione albergatori, 35 stanze a disposizione delle aziende, è già pieno alla fine di marzo. Courmayeur ha calcolato di aver bisogno di 400 nuovi posti letto per i lavoratori. Le amministrazioni si affrettano a trovare soluzioni. Ma sui limiti agli affitti turistici e su un piano per la casa, per ora, restano solo parole.
Il Fatto Quotidiano, 2 aprile 2024