Dissento completamente dall’articolo sul «mammismo» (mi vergogno addirittura a scrivere questa parola che mi sembra cosi volgare) apparso su «Noi donne». Per tante ragioni. Le elenco a caso.
I) Il «mammismo» è una categoria che non appartiene a una serie di cose della realtà, ma della nostra testa: è cioè una categoria di comodo, assolutamente irrazionale e non scientifica (in questo senso parlavo prima di «volgarità»).
II) Se si accenna alla psicanalisi, allora, sia pure sul piano della volgarizzazione, bisogna farlo più seriamente. Tanto per dirne due: il neonato rappresenta per la madre il membro, che essa non ha avuto in sorte, e della cui mancanza è mortificata (complesso di castrazione, invidia del pene ecc.); in compenso molte opere artigianali del maschio (specialmente la scultura) rappresentano il figlio che il maschio non può fare (invidia della gravidanza).
III) Il problema dell’educazione «eterodirezionale», cioè di gruppo, di fabbrica ecc. anziché di famiglia è un problema che riguarda tutto il mondo neocapitalistico, e il mammismo non c’entra.
IV) Non è vero che le madri italiane siano particolarmente tenere coi figli: infatti non sono romantiche, ma pre-cristiane e umanistiche: c’è in loro piuttosto una certa durezza stoica. S’intende, parlo di un popolo che non esiste ormai quasi più. E mi riferisco soprattutto alle madri italiane centro-meridionali, che sono più vicine alla vecchia tipicità storica del popolo. (Nel Nord, molto più borghesizzato, c’è un certo romanticismo materno, idealizzatore e piuttosto rompiscatole.)
V) E più importante di tutti: Giuliana Dal Pozzo di «Noi donne» ha in testa un «tipo» di madre ben preciso e individuato: una madre piccolo-borghese, proprio nel senso più strettamente classistico della parola; anche se vi viene inclusa una madre «operaia», essa ha l’aria di essere completamente borghesizzata, malata appunto di romanticismo, di arrivismo, di bovarismo, di moralismo, di pseudo-cultura, ecc. Se la «madre» è così definita, non è più il caso di parlare di «madre» in quanto tale, e quindi di mammismo. (E «Noi donne» potrebbe magari citare qualche passo di una mia poesia La ballata delle madri, in cui, con ingenua violenza, me la prendo con tipi di madri simili, facendo però una netta, anche se ormai implausibile, distinzione classista.) Ma le madri italiane non sono ancora tutte così: anche se il modello cui cercano di adeguarsi è questo. Ci sono ancora milioni di madri contadine e operaie. D’altra parte porre la questione della «madre piccolo-borghese» ricorrendo alla categoria del «mammismo» è eludere il problema, o ridurlo a dimensioni irreali, ripeto. Una madre piccolo-borghese che educa male suo figlio (e non potrebbe far altro), è un cittadino che educa male un altro cittadino. Le madri sono dei cittadini.
«Noi donne», XXIV, 9, 1° marzo 1969