La mobilitazione dei docenti in Sardegna: un grido di allarme per il futuro dell’istruzione pubblica

La Sardegna si mobilita per difendere l’istruzione pubblica: stabilizzazione dei precari, riforme trasparenti e autonomia per affrontare sfide locali.

di Alberto Piroddi

Il 3 gennaio 2025 segnerà una data importante per l’istruzione in Sardegna, con una grande manifestazione a Cagliari organizzata dal movimento “Precari Sardi in Cattedra.” Questo evento rappresenta molto più di una semplice protesta: è un richiamo urgente a istituzioni e società civile per affrontare le molteplici criticità del sistema scolastico, con particolare attenzione alla precarietà dei docenti, alla necessità di riforme strutturali e alla richiesta di maggiore autonomia gestionale per l’isola.

Una crisi sistemica dell’istruzione pubblica

La Sardegna si trova ad affrontare una crisi profonda nel settore dell’istruzione, alimentata da una combinazione di problemi demografici, economici e politici. La progressiva diminuzione della popolazione giovanile e l’esodo di molte famiglie verso altre regioni hanno svuotato le scuole, specialmente nelle aree interne. Questo fenomeno ha portato a un circolo vizioso: meno studenti significano meno risorse, e meno risorse si traducono in una qualità educativa sempre più scarsa.

In questo contesto già precario, la gestione del personale docente rappresenta un punto dolente. Anni di politiche frammentarie e decisioni ministeriali lontane dalla realtà locale hanno reso la stabilizzazione del personale una chimera. La conseguenza è un sistema educativo incapace di garantire continuità didattica, penalizzando gli studenti e lasciando i docenti in una condizione di incertezza lavorativa perenne.

Le richieste dei manifestanti

I docenti precari, sostenuti da studenti, famiglie e cittadini, presentano una serie di rivendicazioni chiare:

  • Stabilizzazione immediata dei docenti precari e rifiuto netto del sistema di formazione INDIRE. Questo meccanismo non solo rappresenta un ulteriore ostacolo per chi opera da anni nelle scuole, ma legittima anche titoli esteri spesso derivanti da percorsi formativi di dubbia validità, penalizzando i docenti che hanno conseguito i propri titoli attraverso processi rigorosi e trasparenti.
  • Riapertura delle Graduatorie di Merito (GM) ad esaurimento per il concorso PNRR1, garantendo un processo di selezione progressivo e trasparente per i docenti già formati e qualificati.
  • Stop al concorso PNRR2, avviato nonostante un terzo dei posti del PNRR1 risulti ancora vacante, dimostrando una grave mancanza di pianificazione da parte delle istituzioni.
  • Riforma dello Statuto Speciale della Sardegna, chiedendo al Consiglio regionale di intervenire per adeguare i poteri statutari dell’isola, considerando l’allarmante calo demografico e le specificità territoriali. Si propone di ottenere competenze simili a quelle del Trentino-Alto Adige, per gestire in modo autonomo il reclutamento del personale docente e l’organizzazione del sistema scolastico.

INDIRE e il paradosso della formazione

Uno dei temi più caldi della protesta è il ruolo dell’INDIRE (Istituto Nazionale di Documentazione, Innovazione e Ricerca Educativa), responsabile della formazione obbligatoria per i docenti. Il sistema proposto, lungi dall’essere un supporto, è visto come un ulteriore ostacolo. Dopo anni di precarietà, infatti, i docenti si trovano costretti a sottoporsi a ulteriori verifiche che non tengono conto dell’esperienza acquisita.

In parallelo, l’accettazione di titoli esteri di dubbia validità mina ulteriormente il sistema, creando una concorrenza sleale a danno di chi ha seguito percorsi formativi rigorosi in Italia. Questa situazione alimenta un sentimento di frustrazione e ingiustizia tra i docenti, che vedono svanire il riconoscimento del proprio impegno.

La questione demografica e il peso delle aree interne

La crisi dell’istruzione in Sardegna non può essere separata dal più ampio contesto demografico. Il calo della popolazione giovanile ha colpito in modo devastante le scuole delle aree interne, già penalizzate dalla carenza di infrastrutture e servizi. In queste zone, mantenere aperte le scuole è diventato quasi impossibile, con conseguenze drammatiche per il tessuto sociale.

L’abbandono delle aree interne non è solo un problema educativo, ma un segnale di un fallimento sistemico nel garantire pari opportunità a tutti i cittadini. I manifestanti sottolineano che senza un’azione decisa per invertire questa tendenza, l’intero sistema educativo rischia di collassare.

L’autonomia come soluzione possibile

Una delle richieste più significative della manifestazione è l’attribuzione di una maggiore autonomia alla Sardegna nella gestione delle politiche educative. Il modello del Trentino-Alto Adige viene citato come esempio di successo: una gestione locale permette di rispondere in modo più rapido ed efficace alle esigenze del territorio.

In Sardegna, l’autonomia potrebbe tradursi in politiche scolastiche più flessibili e adatte alle specificità dell’isola. Questo includerebbe il reclutamento dei docenti, la gestione delle risorse e la pianificazione di strategie a lungo termine per combattere lo spopolamento e garantire un’istruzione di qualità.

Una battaglia per il futuro

La mobilitazione del 3 gennaio rappresenta un momento cruciale per l’istruzione pubblica in Sardegna. È un appello alla società civile, alle istituzioni e alla politica affinché si riconosca che il diritto all’istruzione non è negoziabile. È una lotta per il futuro delle nuove generazioni, per garantire loro le stesse opportunità di crescita e formazione che dovrebbero essere garantite a tutti.

Docenti, studenti e famiglie si uniscono in una protesta che va oltre le rivendicazioni individuali: è una difesa della scuola pubblica come pilastro della democrazia e dell’equità sociale. Il messaggio è chiaro: senza un’istruzione di qualità, non c’è futuro possibile. E la Sardegna, con determinazione e coraggio, si alza per difenderlo.

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