Ah, gli esami di maturità! Una tradizione che ogni anno suscita non solo il terrore negli studenti, ma anche un certo malcelato sadismo in coloro che devono assegnare le tracce di letteratura italiana. E come biasimarli? Si trovano a pescare in un mare sconfinato, ma alla fine la rete tira su sempre gli stessi pesci: Foscolo, Svevo, e giù di lì. Non possono andare troppo indietro nel tempo, altrimenti dovrebbero chiedere l’intero scibile letterario italiano, un’impresa che fa tremare le vene e i polsi.
E come dimenticare quella perla di saggezza di Arbasino che paragonava il nostro romanzo ottocentesco a una Milano con solo il Duomo (I Promessi Sposi) e senza le altre chiese? Praticamente un deserto letterario tra Verga e De Roberto, con qualche sparuta oasi di scapigliati e produzioni fin de siècle che raramente fanno capolino nelle tracce d’esame.
Ma andiamo, siamo onesti: abbiamo avuto la più imponente letteratura d’Occidente tra il XII e il XVI secolo. Mentre noi fondavamo la poesia lirica e narrativa con Petrarca e Dante, e la prosa novellistica con Boccaccio, fornendo materiale letterario a Shakespeare e mezza Europa, gli altri Paesi europei balbettavano ancora l’alfabeto. Poi, il nostro brillante faro culturale si è spento, lasciando il palcoscenico a spagnoli, francesi, inglesi, tedeschi e russi. Noi, nel frattempo, ci siamo dedicati al Belcanto e a Sanremo, come se il destino della nostra civiltà letteraria fosse stato deciso da un direttore d’orchestra.
E così, dal Seicento all’Ottocento, la nostra produzione letteraria è stata piuttosto scarna. Due forme d’espressione artistica prevalentemente orale – Commedia dell’arte e Opera lirica – con il sommo librettista Da Ponte come unica stella polare.
Qui nasce il piccolo dramma, quasi farsesco, della scelta delle tracce. Abbiamo finalmente un “Secondo Novecento” di qualità e quantità, con un centinaio di nomi eccellenti equamente distribuiti tra maschi e femmine, ma i programmi scolastici eludono sistematicamente questa produzione. E non parliamo della prosa giornalistica, critica o d’arte, né dei magnifici sceneggiatori cinematografici italiani. Un patrimonio ignorato per far posto a tracce di attualità che invitano alla verbosità insulsa del politicamente corretto, dei buoni sentimenti e dei pensierini tenui che non disturbano nessuno, perfetti per i futuri giornalisti dei Tg felpati e cautelosi.