Come è nata la donna

"Donna" deriva dal latino "domina", evolvendosi nel tempo. La forma maschile "donno" è scomparsa, mentre "don" persiste come titolo di rispetto.

Il termine “donna” deriva dal latino “domina”, che significava “signora, padrona della casa”. Nel tempo, attraverso evoluzioni linguistiche, si è trasformato in “donna”, mentre la versione maschile “donno” è caduta in disuso, eccetto nella forma tronca “don”, usata come titolo di rispetto. Questo titolo è ancora vivo nella cultura italiana, specialmente nel Sud, dove viene utilizzato anche per persone di modesta estrazione. Inoltre, il termine “donna” mantiene un legame con la sua radice etimologica quando indica la persona di servizio domestico.

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Nessun riferimento alla costola di Adamo; siamo sempre nel campo dell’etimologia. Risaliamo anche qui a una parola latina, domina, discendente diretta di domus, “casa”. Domina quindi ebbe in origine il significato di “signora, padrona della casa”, cosí come il maschile dòminus indi­cava il “signore”, “il padrone della casa”. Abbiamo già vi­sto come le parole si àlterino con l’uso; e infatti anche dò­minus e domina già nelle parlate volgari del medio evo si erano trasformate in domnus e domna, avendo lasciato ca­dere quella i mediana che infastidiva un poco nel parlare corrente. Poi, per la legge comunissima della assimilazione, si disse più agevolmente donnus e donna; donnus, maschi­le, nei secoli successivi si foggiò italianamente in donno, mentre donna rimase ovviamente qual era. Cosí è nata la donna; la quale è ben viva e vegeta, mentre è sparito il donno, cioè il padrone, il signore.

In passato, tuttavia, donno era d’uso comune (qualche poeta, qualche letterato l’usa ancora); ricordiamo Dante nel famoso canto del conte Ugolino, dove troviamo il ver­so “Questi pareva a me maestro e donno”, cioè, guida e padrone. Però vivissimo è ancora donno nella forma tron­ca don, che si dà comunemente come titolo di rispetto ai sacerdoti, o si premette ai nomi maschili di alta nobiltà: “don Prospero Colonna”, “don Andrea Corsini”. A Napo­li, è vero, e in molti altri luoghi del Mezzogiorno, lo pre­mettono anche a nomi di piu modeste origini, e dicono per esempio, salutando il portinaio, “Buongiorno, don Ciccillo”, ma si tratta di un uso che risale al periodo della d0minazione spagnola; per cui il don Ciccillo di Napoli cor­risponde esattamente al signor Francesco di Firenze o di Milano.

Tornando, prima di finire, alla donna, notiamo che il termine vive anch’esso come appellativo di rispetto, paral­lelamente al don maschile, quando si parla delle mogli di altissimi personaggi; però lo usiamo anche normalmente per indicare la semplice persona di servizio (“Abbiamo tro­vato una nuova donna”), e qui sembra riapparire la parola originaria domus, casa, essendo costei quella appunto che si occupa, o dovrebbe occuparsi, delle faccende di casa: dette anche domestiche, sempre risalenti a quel domus la­tino, da cui anche i sostantivi il domestico e la domestica, nomi che si davano, prima degli ultimi interventi sindacali, alle persone addette alla casa. (Parentesi: domestici si dicono anche per la stessa ragione etimologica quegli ani­mali che si possono tenere impunemente in casa, differen­ziandoli cosí da quelli selvatici, che è piu opportuno la­sciare alla selva o addirittura al deserto. E qui, preso l’abbrivo, mi verrebbe voglia di continuare, dicendo che la pa­rola duomo deriva dall’espressione latina domus Dei, “la casa di Dio”, poi divenuta soltanto domus, cioè la casa per eccellenza; che la domenica è all’origine la dies domínica, il giorno del dòminus, del Signore; e il domicilio, e il ver­bo dominare, e il sostantivo dominio… Ma sarà meglio chiudere la parentesi.)

Fonte: Aldo Gabrielli, Nella foresta del vocabolario. Etimologie curiose. Storie di frasi e di parole, Mondadori, 1977

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