di Luca Mariani
L’inquietudine del pensiero, secondo Franco Cassano, non è solo uno stato d’animo o una condizione esistenziale, ma un vero e proprio strumento epistemologico. È un motore che spinge l’intelligenza a non adagiarsi mai in certezze preconfezionate, a non cercare rifugio in risposte comode o immediate, ma a sfidare continuamente il confine delle proprie convinzioni. In Cassano, questa inquietudine si manifesta non come ansia o insicurezza, ma come una scelta deliberata di non essere soddisfatti delle verità già conquistate. Si potrebbe dire che l’inquietudine diventa il luogo di una ricerca che non ha mai fine, un rifiuto della stasi intellettuale.
Nel suo libro postumo, L’inquietudine del pensiero, Cassano descrive questa attitudine come una reazione alla crisi degli anni Settanta, quando l’universo simbolico marxista, che aveva dominato per decenni il pensiero critico, inizia a mostrare i suoi limiti. Per Cassano, l’inquietudine diventa una risposta personale a quella crisi: non si tratta di attendere l’avvento di un nuovo sistema simbolico in cui credere ciecamente, ma di accettare l’instabilità come condizione naturale del pensare. Questa posizione lo allontana da molti dei suoi contemporanei, che cercavano di sostituire i vecchi dogmi con nuovi, e lo spinge a esplorare percorsi di ricerca che non puntano a sistematizzazioni definitive.
Cassano non considera l’inquietudine come un male da curare, ma come una tensione vitale che permette di scoprire “altre risposte e forse altre domande”. In questa prospettiva, l’inquietudine non è solo una condizione mentale, ma una metodologia, un modo di approcciarsi al reale. L’espressione che usa per descrivere questo approccio, ovvero “andare e ripartire continuo”, rende bene l’idea del movimento ininterrotto del pensiero: una camminata intellettuale che, pur faticosa, è necessaria per sfuggire alle rigidità delle ideologie e delle verità assolute.
Ma cosa significa, concretamente, pensare nell’inquietudine? Significa, per Cassano, confrontarsi con l’indebolimento delle verità. L’idea di una verità stabile e immutabile perde di senso in un mondo in cui le certezze crollano, e la sfida diventa allora quella di convivere con questa fragilità. Non si tratta di un relativismo superficiale, ma di una consapevolezza profonda della complessità del mondo e della molteplicità delle interpretazioni possibili. Pensare l’indebolimento delle verità vuol dire riconoscere che nessuna visione del mondo può pretendere di essere definitiva, e che ogni verità va considerata sempre in divenire, pronta a essere superata da nuove scoperte e nuove intuizioni.
Questo non significa, tuttavia, cadere nel nichilismo o nel disincanto totale. Cassano ci invita a considerare l’inquietudine non come negazione, ma come possibilità. Il disincanto, in questo senso, non è il rifiuto di tutto ciò che non funziona più, ma la condizione necessaria per costruire nuove forme di pensiero e di convivenza. È nella coesistenza tra diversi universi simbolici che si può immaginare una “più matura forma di passione”, una passione che non è cieca adesione a un’unica verità, ma apertura alla pluralità, alla differenza, al confronto.
Per Cassano, l’inquietudine è anche una curiosità infinita per l’altro, per tutto ciò che non rientra nel nostro orizzonte immediato. Non è un caso che egli parli dell’importanza di camminare sia nella bellezza che nello squallore: per comprendere il mondo, è necessario attraversarlo tutto, senza selezionare solo ciò che ci piace o che conferma le nostre convinzioni. La ricerca, allora, diventa un esercizio di attenzione e di ascolto, non solo verso i libri, ma anche verso le persone, i luoghi, i suoni e le parole che ci circondano. Questa attenzione permette al pensiero di nutrirsi dell’imprevisto, di essere continuamente messo alla prova dall’incontro con l’altro.
Un altro aspetto centrale dell’inquietudine è il rapporto con la fragilità. Cassano ci ricorda che il pensiero autentico nasce dalla consapevolezza della propria vulnerabilità e della vulnerabilità del mondo. Solo riconoscendo la fragilità possiamo evitare di trasformare le nostre paure in mostri, in intolleranze o chiusure. Il pensiero fragile, come lo intende Cassano, non è debolezza, ma una forma più alta di comprensione: è la capacità di vedere nelle debolezze umane un potenziale di trasformazione, di accettare l’instabilità come condizione essenziale della vita e della politica.
L’inquietudine, in definitiva, diventa una via per riconoscere che il mondo è attraversato da infinite possibilità, e che ciò che appare solido e immutabile può essere trasformato. È un invito a non cedere alla tentazione della rassegnazione o del cinismo, ma a mantenere viva la fiducia nella trasformabilità dell’esistente. Cassano ci offre una lezione di coraggio intellettuale: non bisogna temere l’incertezza, ma abbracciarla come condizione necessaria per il pensiero e per l’azione.