L’eterna giovinezza non è mai esistita, ma almeno fino a qualche anno fa esisteva l’illusione che i vent’anni fossero la stagione più spensierata della vita. Ora ci dicono che non è più così. Secondo uno studio commissionato dall’ONU, la felicità non segue più la classica curva a U – con un’infanzia serena, un’età adulta tormentata e una vecchiaia più serena – ma cresce costantemente con l’età. Tradotto: i giovani di oggi sono più infelici di chiunque altro e lo saranno ancora a lungo. “C’è una crisi globale assoluta. I giovani sono in piena confusione e la domanda è: cosa possiamo fare? E la risposta è che non lo sappiamo”, dice David Blanchflower, ex economista della Banca d’Inghilterra, con il candore di chi ammette di aver capito il problema quando ormai il danno è fatto.
I dati parlano chiaro. La felicità e la soddisfazione di vita tra i giovani sono crollate negli ultimi dieci anni, con un impatto particolarmente devastante sulle ragazze. Non è stato il Covid, anche se la pandemia ha aggravato il fenomeno. Il tracollo è iniziato prima, più o meno dal 2013. E ora gli esperti si arrovellano per capire come sia possibile che la generazione più connessa, più informata, più consapevole di sempre sia anche quella più depressa, più ansiosa e meno felice della storia recente. Forse la risposta è proprio nel paradosso. Troppa connessione e nessun contatto umano. Troppa informazione e nessuna certezza. Troppa consapevolezza e nessuna speranza.
Blanchflower dice che il problema è che i giovani “non escono più, non giocano con gli amici, non interagiscono con gli altri, fanno meno sesso”. Detta così, sembra quasi il lamento del vecchio zio che rimpiange i bei tempi in cui ci si parlava faccia a faccia invece di smanettare su uno schermo. Ma il problema è reale: non è solo che i giovani passano più tempo sul telefono, è che stanno smettendo di fare tutto il resto. I rapporti sociali sono sempre più filtrati dai social, il confronto con gli altri è sempre più mediato da algoritmi che spingono alla competizione tossica, alla ricerca ossessiva dell’approvazione, all’ansia da prestazione continua. Se non hai abbastanza like, se non posti la vita perfetta, se non sei abbastanza brillante, interessante, bello, allora sei fuori.
L’altra faccia della medaglia è che i problemi veri, quelli che riguardano il futuro concreto, non trovano risposte. La precarietà del lavoro, l’impossibilità di comprare una casa, il cambiamento climatico, il costo della vita che esplode. I giovani si sentono condannati a vivere in una società che li considera numeri da sfruttare, consumatori da spremere, dati da vendere. E quando protestano, quando alzano la voce, vengono liquidati come piagnucoloni. Gli stessi boomer che hanno vissuto nel pieno sviluppo economico, che hanno avuto il posto fisso, le pensioni sicure e i mutui accessibili, ora li guardano dall’alto in basso e gli dicono che devono “farcela da soli”.
Blanchflower avverte che il crollo della felicità giovanile non è solo un problema psicologico, ma un problema economico. Se i ragazzi smettono di studiare, se abbandonano il mercato del lavoro, se rinunciano a costruirsi un futuro, l’intero sistema ne risentirà. La produttività globale potrebbe crollare, la crescita economica rallentare, i sistemi previdenziali diventare insostenibili. Il punto è che questo futuro non è un’ipotesi lontana: sta già accadendo. Sempre più giovani lasciano la scuola, rifiutano lavori precari e sottopagati, si isolano. Non perché siano pigri o viziati, come vorrebbe la narrativa di chi non capisce il problema, ma perché non vedono prospettive.
E così il mondo si trova con una generazione di giovani sempre più infelici, sempre più ansiosi, sempre più scoraggiati. Gli esperti si interrogano, i governi fanno finta di preoccuparsi, le aziende tech si difendono dicendo che la colpa non è loro. E intanto, la crisi continua. “Pensavamo che la felicità calasse con l’età per poi risalire. Ora dobbiamo ripensare tutto”, dice Blanchflower. Già, peccato che mentre loro ripensano le teorie, milioni di ragazzi stanno già vivendo il disastro.