Che cosa è la coscienza?

La coscienza non è separata dal mondo, ma coincide con gli oggetti fisici relativi al corpo, eliminando dualismi e pseudo-problemi ontologici.

La coscienza, spesso considerata un mistero insolubile, può invece essere spiegata in termini fisici attraverso la MOI (Teoria dell’Identità Mente-Oggetto). Questa teoria propone di abbandonare il dualismo tra soggetto e oggetto, una distinzione che ha generato pseudo-problemi lungo tutta la storia della scienza e della filosofia. La MOI sostiene che la coscienza non è una dimensione separata o trascendente, ma coincide con gli oggetti fisici così come esistono in relazione a un corpo in un dato momento. L’apparente enigma della coscienza, quindi, non è che una costruzione concettuale derivante da premesse errate, che la MOI invita a superare ripensando radicalmente il rapporto tra mente e mondo, proponendo una soluzione integrata e naturalista.

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di Lorenzo Verani

Il problema della coscienza è un nodo fondamentale che attraversa filosofia e scienza, ma non può essere risolto senza mettere in discussione alcune premesse radicate nel pensiero occidentale. Questo tema, che appare tanto sfuggente quanto cruciale, riguarda la possibilità di spiegare come la natura possa presentarsi a sé stessa attraverso la coscienza. Partendo da un approccio naturalista, che include ogni fenomeno all’interno della natura stessa, si rifiuta la separazione tra il soggetto e il mondo, concependo tutto come parte integrante della physis. La coscienza, in questa visione, non è un’entità separata o soprannaturale, ma una realtà da comprendere senza forzature ontologiche o dualismi.

La scienza, fin dall’Ottocento, ha cercato di spiegare la coscienza, ma con risultati che spesso assomigliano a promesse non mantenute, o a ciò che si potrebbe definire “cambiali epistemiche”. Ci vengono offerti scenari affascinanti e complessi, ma senza risposte definitive. Le neuroscienze, per esempio, tendono a proporre teorie che non spiegano realmente come l’attività neurale possa generare l’esperienza fenomenica, creando una sorta di gap tra la dimensione fisica del cervello e quella soggettiva della coscienza. Questa incapacità di spiegare il passaggio dai neuroni all’esperienza cosciente porta a considerare la coscienza come un problema paragonabile a un ippogrifo, una chimera ontologica che non può esistere nemmeno nel dominio della fantasia.

Il cuore del problema, tuttavia, risiede nella concezione stessa della coscienza come qualcosa di separato dal mondo naturale. Questa separazione origina pseudo-problemi che non derivano dai dati empirici, ma da premesse concettuali sbagliate. Un esempio è l’idea che il soggetto sia distinto dall’oggetto dell’esperienza, generando così la necessità di costruire teorie complesse per spiegare come l’oggetto possa “presentarsi” al soggetto. Questo presupposto dualistico, radicato in una tradizione filosofica consolidata, genera ulteriori difficoltà, come il concetto di intenzionalità, introdotto da Brentano per descrivere la capacità della mente di essere “di” qualcosa. In realtà, questa è una complicazione aggiuntiva, una sorta di epiciclo moderno, necessario per sostenere una premessa che potrebbe essere sbagliata in partenza.

Se si abbandona l’idea di una separazione tra il soggetto e l’oggetto, molte delle difficoltà legate alla coscienza svaniscono. La proposta è quella di considerare il soggetto e l’oggetto come un tutt’uno, un’identità mente-oggetto in cui la coscienza non è altro che l’insieme degli oggetti che esistono relativamente al corpo in un dato momento. In questa prospettiva, gli oggetti fisici sono la realtà della coscienza, eliminando così la necessità di teorizzare entità intermediarie come le rappresentazioni o l’intenzionalità.

Questa visione rompe con il paradigma tradizionale, che attribuisce alla mente un ruolo separato dal mondo fisico, e propone un’ontologia radicalmente naturalista. La coscienza non è qualcosa che si trova “dentro” il cervello, ma coincide con il mondo stesso così come esiste in relazione a un corpo. È una prospettiva che richiede di ripensare molti concetti fondamentali, ma che offre una via d’uscita dal vicolo cieco rappresentato dalle attuali teorie neuroscientifiche.

Le neuroscienze, infatti, continuano a cercare nel cervello qualcosa che possa spiegare la coscienza, ma senza successo. Anche gli studi più avanzati non sono riusciti a identificare un correlato neurale che renda conto dell’esperienza fenomenica. Le teorie attuali, come quelle dell’informazione integrata o del global workspace, non forniscono risposte definitive e spesso non sono nemmeno empiricamente distinguibili. La scienza sembra bloccata in un paradigma che insiste nel cercare la coscienza all’interno del cervello, trascurando l’ipotesi che la coscienza possa essere, invece, il mondo stesso.

Un esempio utile per comprendere questa proposta è il colore. Quando guardiamo uno schermo bianco, la percezione del bianco è relativa alla distanza e alle caratteristiche del nostro sistema visivo. Se ci avviciniamo abbastanza, vediamo una griglia di punti rossi, verdi e blu. Il colore non è un’entità assoluta, ma una proprietà relativa al nostro corpo e alla nostra posizione. Allo stesso modo, la coscienza può essere interpretata come una relazione tra il corpo e gli oggetti, senza la necessità di postulare entità misteriose o separate.

Le obiezioni principali a questa visione riguardano la soggettività e i sogni. La variabilità della percezione, ovvero il fatto che ognuno di noi vede il mondo in modo diverso, sembra richiedere una spiegazione basata sulla soggettività. Tuttavia, questa diversità può essere compresa attraverso la relatività delle proprietà fisiche, che dipendono dalle caratteristiche del corpo. Anche i sogni, spesso considerati una prova dell’autonomia del cervello rispetto al mondo esterno, possono essere reinterpretati come ricombinazioni della realtà percepita, piuttosto che come creazioni ex nihilo.

L’identità mente-oggetto offre una risposta radicale alla domanda “che cos’è la coscienza?”. Non è un’entità separata o un mistero irrisolvibile, ma il risultato delle relazioni tra un corpo e gli oggetti che esistono relativamente a esso in un dato momento. In questa prospettiva, il mondo fisico è pienamente sufficiente a spiegare la coscienza, senza bisogno di postulare entità dualistiche o sovrannaturali.

Questo approccio, che può sembrare controintuitivo, richiede un ripensamento delle nostre premesse ontologiche e metodologiche. Non si tratta di aggiungere nuove teorie o esperimenti, ma di fare un passo indietro e rivedere i presupposti che hanno generato il problema. Come insegnano Sherlock Holmes, Galileo ed Einstein, a volte la soluzione di un enigma richiede di abbandonare le ipotesi che lo hanno reso insolubile. La coscienza, da questa prospettiva, non è un mistero da spiegare, ma una realtà da accettare così com’è: il mondo, in tutta la sua complessità, che esiste relativamente a noi.

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