Clifford Geertz: L’impatto del concetto di cultura sul concetto di uomo

Il saggio The Impact of the Concept of Culture on the Concept of Man di Clifford Geertz esplora il ruolo centrale della cultura nella definizione della natura umana, criticando le visioni universali e tipologiche che cercano di ridurre l’uomo a un modello astratto e immutabile. Geertz sostiene che l’uomo è intrinsecamente incompleto senza la cultura, che funge da meccanismo essenziale per trasformare le sue potenzialità biologiche in espressioni concrete e specifiche. Attraverso un’analisi che abbraccia la complessità della diversità culturale, l’autore evidenzia come ogni cultura plasmi l’individuo, fornendogli simboli, valori e significati che rendono possibile la sua umanità. Il saggio invita a superare le visioni riduzioniste e a comprendere l’uomo non attraverso universali astratti, ma attraverso la ricchezza delle sue manifestazioni culturali. * * * I. Il declino della visione illuministica dell’uomo La prima parte del saggio di Clifford Geertz analizza il declino della visione dell’uomo propria dell’Illuminismo, che considerava l’essere umano come una componente perfettamente integrata nella natura, regolata da leggi universali, immutabili e comprensibili. Questa concezione, influenzata dal razionalismo di Newton e Bacon, immaginava una “natura umana” uniforme, che poteva essere compresa rimuovendo gli strati superficiali delle culture particolari. In questa prospettiva, le differenze culturali venivano viste come semplici variazioni di superficie, incapaci di alterare l’essenza stabile e universale dell’uomo. Geertz cita esempi letterari per illustrare questa concezione. Samuel Johnson, ad esempio, elogia Shakespeare per aver creato personaggi che non erano influenzati dalle mode o dai costumi locali, ma che rappresentavano l’universalità delle passioni umane. Allo stesso modo, Racine sosteneva che il successo delle sue opere classiche dimostrava che il gusto di Parigi era identico a quello dell’antica Atene, unificando le esperienze umane al di là del tempo e dello spazio. Tuttavia, per Geertz, questa visione universalistica non è solo limitante, ma anche illusoria. La cultura, lungi dall’essere un ornamento superficiale, è il tessuto fondamentale attraverso cui l’uomo si esprime ed esiste. L’idea illuministica di una natura umana invariabile è problematica perché ignora la stretta connessione tra l’essere umano e il contesto culturale in cui vive. Geertz sostiene che non esiste un “dietro le quinte” dove possiamo osservare l’uomo in uno stato puro, privo delle influenze culturali. Gli uomini non esistono mai indipendentemente dalla loro cultura, né possono essere compresi al di fuori di essa. Le differenze culturali non sono accidentali; al contrario, esse definiscono la varietà dell’esperienza umana. Un esempio chiave utilizzato da Geertz per dimostrare questa tesi è il fenomeno della trance balinese. I balinesi possono entrare rapidamente in stati di dissociazione estrema, compiendo atti spettacolari come mangiare feci, mordersi con violenza o simulare rapporti sessuali. Questi comportamenti, che potrebbero sembrare irrazionali o inspiegabili a un osservatore esterno, diventano comprensibili solo all’interno del contesto culturale balinese, dove tali stati sono ritualizzati e profondamente significativi. Questo esempio dimostra che l’essere umano non può essere separato dai sistemi simbolici che danno senso al suo comportamento. Geertz conclude questa sezione affermando che il concetto di cultura ha sovvertito la visione uniformitaria della natura umana. La diversità delle culture non è un dettaglio accessorio, ma una caratteristica centrale dell’esperienza umana. Tuttavia, questa transizione ha anche sollevato nuove sfide, tra cui la necessità di conciliare la diversità culturale con l’idea di un’umanità comune. II. Stratigrafia e approccio sintetico Nella seconda parte del saggio, Geertz analizza criticamente il modello stratigrafico tradizionale utilizzato per comprendere la natura umana, che divide l’uomo in livelli distinti: biologico, psicologico, sociale e culturale. Questo modello immagina l’essere umano come una serie di strati sovrapposti, ciascuno completo e indipendente dagli altri. Secondo questa visione, rimuovendo i livelli superficiali, come la cultura, si può accedere a elementi più fondamentali, come i bisogni biologici o le strutture psicologiche. Tuttavia, Geertz sostiene che questo approccio è limitante e non consente di cogliere la complessità dell’interazione tra cultura e biologia. Il modello stratigrafico ha avuto il merito di legittimare l’indipendenza delle discipline accademiche, come la sociologia, la psicologia e l’antropologia, ma ha anche creato una separazione artificiale tra i diversi aspetti della vita umana. Geertz evidenzia come tale modello impedisca di comprendere le interconnessioni tra cultura e biologia, riducendo il primo a un semplice riflesso del secondo. Ad esempio, le istituzioni culturali vengono spesso interpretate come risposte dirette a bisogni biologici o sociali, senza considerare la complessità delle loro funzioni simboliche. Uno degli obiettivi principali del modello stratigrafico è stato la ricerca degli universali culturali, ovvero quei tratti comuni a tutte le culture umane, come il matrimonio, la religione o il linguaggio. L’idea di fondo è che questi elementi possano essere collegati a necessità biologiche, psicologiche o sociali universali, fornendo una base per definire l’essere umano. Tuttavia, Geertz critica questa impostazione, sostenendo che gli universali culturali, se definiti in modo generico, diventano vuoti e privi di significato. Ad esempio, se si definisce il matrimonio come una semplice unione tra individui, si perde la ricchezza delle sue variazioni culturali, come la poliandria nelle regioni himalayane o le regole elaborate dei Bantu sull’acquisto della sposa. Geertz propone invece un approccio sintetico che integri i vari aspetti dell’esistenza umana in un’unica analisi. In questa visione, la cultura non è un livello separato, ma un elemento dinamico che interagisce continuamente con le dimensioni biologiche, psicologiche e sociali. La cultura non si limita a soddisfare bisogni preesistenti, ma crea nuove forme di significato e organizzazione che trasformano la natura umana. Questo approccio consente di superare le dicotomie tradizionali tra naturale e culturale, mostrando come i due aspetti siano inseparabili. Infine, Geertz sottolinea che il compito dell’antropologia non è trovare somiglianze universali, ma esplorare le relazioni tra fenomeni culturali diversi. L’obiettivo è capire come la cultura, intesa come sistema di simboli e significati, plasmi l’esperienza umana in modi unici e particolari. Solo integrando biologia, psicologia, società e cultura si può comprendere pienamente la natura dell’uomo. III. La paura del relativismo culturale e il valore delle particolarità Nella terza parte del saggio, Geertz affronta il tema del relativismo culturale, un problema centrale per gli antropologi che, di fronte all’enorme diversità delle culture umane, temono di perdere ogni punto di riferimento

Il saggio The Impact of the Concept of Culture on the Concept of Man di Clifford Geertz esplora il ruolo centrale della cultura nella definizione della natura umana, criticando le visioni universali e tipologiche che cercano di ridurre l’uomo a un modello astratto e immutabile. Geertz sostiene che l’uomo è intrinsecamente incompleto senza la cultura, che funge da meccanismo essenziale per trasformare le sue potenzialità biologiche in espressioni concrete e specifiche. Attraverso un’analisi che abbraccia la complessità della diversità culturale, l’autore evidenzia come ogni cultura plasmi l’individuo, fornendogli simboli, valori e significati che rendono possibile la sua umanità. Il saggio invita a superare le visioni riduzioniste e a comprendere l’uomo non attraverso universali astratti, ma attraverso la ricchezza delle sue manifestazioni culturali.

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I. Il declino della visione illuministica dell’uomo

La prima parte del saggio di Clifford Geertz analizza il declino della visione dell’uomo propria dell’Illuminismo, che considerava l’essere umano come una componente perfettamente integrata nella natura, regolata da leggi universali, immutabili e comprensibili. Questa concezione, influenzata dal razionalismo di Newton e Bacon, immaginava una “natura umana” uniforme, che poteva essere compresa rimuovendo gli strati superficiali delle culture particolari. In questa prospettiva, le differenze culturali venivano viste come semplici variazioni di superficie, incapaci di alterare l’essenza stabile e universale dell’uomo.

Geertz cita esempi letterari per illustrare questa concezione. Samuel Johnson, ad esempio, elogia Shakespeare per aver creato personaggi che non erano influenzati dalle mode o dai costumi locali, ma che rappresentavano l’universalità delle passioni umane. Allo stesso modo, Racine sosteneva che il successo delle sue opere classiche dimostrava che il gusto di Parigi era identico a quello dell’antica Atene, unificando le esperienze umane al di là del tempo e dello spazio. Tuttavia, per Geertz, questa visione universalistica non è solo limitante, ma anche illusoria. La cultura, lungi dall’essere un ornamento superficiale, è il tessuto fondamentale attraverso cui l’uomo si esprime ed esiste.

L’idea illuministica di una natura umana invariabile è problematica perché ignora la stretta connessione tra l’essere umano e il contesto culturale in cui vive. Geertz sostiene che non esiste un “dietro le quinte” dove possiamo osservare l’uomo in uno stato puro, privo delle influenze culturali. Gli uomini non esistono mai indipendentemente dalla loro cultura, né possono essere compresi al di fuori di essa. Le differenze culturali non sono accidentali; al contrario, esse definiscono la varietà dell’esperienza umana.

Un esempio chiave utilizzato da Geertz per dimostrare questa tesi è il fenomeno della trance balinese. I balinesi possono entrare rapidamente in stati di dissociazione estrema, compiendo atti spettacolari come mangiare feci, mordersi con violenza o simulare rapporti sessuali. Questi comportamenti, che potrebbero sembrare irrazionali o inspiegabili a un osservatore esterno, diventano comprensibili solo all’interno del contesto culturale balinese, dove tali stati sono ritualizzati e profondamente significativi. Questo esempio dimostra che l’essere umano non può essere separato dai sistemi simbolici che danno senso al suo comportamento.

Geertz conclude questa sezione affermando che il concetto di cultura ha sovvertito la visione uniformitaria della natura umana. La diversità delle culture non è un dettaglio accessorio, ma una caratteristica centrale dell’esperienza umana. Tuttavia, questa transizione ha anche sollevato nuove sfide, tra cui la necessità di conciliare la diversità culturale con l’idea di un’umanità comune.

II. Stratigrafia e approccio sintetico

Nella seconda parte del saggio, Geertz analizza criticamente il modello stratigrafico tradizionale utilizzato per comprendere la natura umana, che divide l’uomo in livelli distinti: biologico, psicologico, sociale e culturale. Questo modello immagina l’essere umano come una serie di strati sovrapposti, ciascuno completo e indipendente dagli altri. Secondo questa visione, rimuovendo i livelli superficiali, come la cultura, si può accedere a elementi più fondamentali, come i bisogni biologici o le strutture psicologiche. Tuttavia, Geertz sostiene che questo approccio è limitante e non consente di cogliere la complessità dell’interazione tra cultura e biologia.

Il modello stratigrafico ha avuto il merito di legittimare l’indipendenza delle discipline accademiche, come la sociologia, la psicologia e l’antropologia, ma ha anche creato una separazione artificiale tra i diversi aspetti della vita umana. Geertz evidenzia come tale modello impedisca di comprendere le interconnessioni tra cultura e biologia, riducendo il primo a un semplice riflesso del secondo. Ad esempio, le istituzioni culturali vengono spesso interpretate come risposte dirette a bisogni biologici o sociali, senza considerare la complessità delle loro funzioni simboliche.

Uno degli obiettivi principali del modello stratigrafico è stato la ricerca degli universali culturali, ovvero quei tratti comuni a tutte le culture umane, come il matrimonio, la religione o il linguaggio. L’idea di fondo è che questi elementi possano essere collegati a necessità biologiche, psicologiche o sociali universali, fornendo una base per definire l’essere umano. Tuttavia, Geertz critica questa impostazione, sostenendo che gli universali culturali, se definiti in modo generico, diventano vuoti e privi di significato. Ad esempio, se si definisce il matrimonio come una semplice unione tra individui, si perde la ricchezza delle sue variazioni culturali, come la poliandria nelle regioni himalayane o le regole elaborate dei Bantu sull’acquisto della sposa.

Geertz propone invece un approccio sintetico che integri i vari aspetti dell’esistenza umana in un’unica analisi. In questa visione, la cultura non è un livello separato, ma un elemento dinamico che interagisce continuamente con le dimensioni biologiche, psicologiche e sociali. La cultura non si limita a soddisfare bisogni preesistenti, ma crea nuove forme di significato e organizzazione che trasformano la natura umana. Questo approccio consente di superare le dicotomie tradizionali tra naturale e culturale, mostrando come i due aspetti siano inseparabili.

Infine, Geertz sottolinea che il compito dell’antropologia non è trovare somiglianze universali, ma esplorare le relazioni tra fenomeni culturali diversi. L’obiettivo è capire come la cultura, intesa come sistema di simboli e significati, plasmi l’esperienza umana in modi unici e particolari. Solo integrando biologia, psicologia, società e cultura si può comprendere pienamente la natura dell’uomo.

III. La paura del relativismo culturale e il valore delle particolarità

Nella terza parte del saggio, Geertz affronta il tema del relativismo culturale, un problema centrale per gli antropologi che, di fronte all’enorme diversità delle culture umane, temono di perdere ogni punto di riferimento universale. Questa paura, secondo Geertz, ha spinto molti studiosi a rifugiarsi nella ricerca di tratti comuni tra le culture, i cosiddetti “universali culturali”, nel tentativo di identificare un’essenza condivisa dell’umanità. Tuttavia, Geertz critica questo approccio, sostenendo che il relativismo culturale non è un ostacolo, ma una risorsa per comprendere la complessità della natura umana.

La paura del relativismo nasce dalla convinzione che, senza universali empirici, non sia possibile definire cosa significhi essere umani. Geertz respinge questa idea, sostenendo che la diversità culturale non impedisce di trovare connessioni significative tra i fenomeni umani. L’obiettivo dell’antropologia non è eliminare le differenze, ma capire come queste siano parte integrante dell’esperienza umana. Per Geertz, ciò che conta non è la somiglianza tra le culture, ma le relazioni sistematiche tra fenomeni apparentemente diversi.

Ad esempio, Geertz sottolinea che la cultura non è un semplice insieme di comportamenti concreti, ma un sistema di simboli che guida e organizza il comportamento umano. Questa concezione, supportata da sviluppi in campi come la cibernetica e le neuroscienze, dimostra che l’uomo non può vivere senza la cultura. Senza simboli, il comportamento umano sarebbe caotico e privo di significato. La cultura non è un elemento decorativo o accessorio, ma il meccanismo centrale attraverso cui l’uomo dà forma alla propria esperienza.

Geertz introduce due idee fondamentali per riformulare il concetto di cultura: primo, che la cultura sia un insieme di meccanismi di controllo – come programmi, regole e istruzioni – che orientano il comportamento umano; secondo, che l’uomo sia un animale incompleto, totalmente dipendente da questi meccanismi per agire in modo significativo. Questa visione supera il tradizionale modello stratigrafico, che separa cultura, biologia, psicologia e società in strati distinti. Per Geertz, queste dimensioni devono essere integrate in un’analisi unitaria che mostri come si influenzino reciprocamente.

Un punto centrale è che la cultura non è universale, ma profondamente specifica. Geertz sottolinea che ogni cultura trasforma le potenzialità biologiche umane in modi unici e particolari. Ad esempio, il matrimonio o la religione non possono essere ridotti a definizioni generiche, ma devono essere analizzati nel loro contesto culturale specifico. La diversità culturale non è un limite, ma il luogo dove si manifesta la complessità dell’essere umano.

Geertz pertanto sostiene che l’antropologia deve abbracciare la diversità culturale come chiave per comprendere l’uomo. Non bisogna temere il relativismo culturale, ma usarlo per esplorare le molteplici modalità attraverso cui le culture plasmano l’esperienza umana. L’uomo non può essere definito da universali astratti, ma dalle specifiche trasformazioni culturali che danno forma alla sua vita.

IV. Cultura e definizione dell’uomo

Nella quarta parte del saggio, Geertz analizza come la cultura definisca non solo l’umanità come specie, ma anche ogni individuo come essere unico. Critica le visioni tipologiche, sia illuministiche sia antropologiche, che cercano di definire l’essere umano attraverso modelli universali o astratti. Tali approcci, secondo Geertz, riducono la complessità della realtà umana a categorie rigide, trascurando le particolarità culturali che arricchiscono la comprensione dell’uomo.

L’Illuminismo cercava di definire l’uomo spogliandolo dei suoi tratti culturali per rivelare una “natura umana” universale. L’antropologia classica, invece, ha cercato di trovare elementi comuni tra le culture, come il matrimonio o la religione, considerandoli “universali culturali”. Geertz contesta entrambe le visioni, sostenendo che l’essere umano non può essere compreso attraverso categorie astratte o riduttive. La diversità culturale non è un’eccezione o una deviazione, ma una caratteristica centrale della condizione umana.

Per Geertz, l’uomo diventa veramente umano solo attraverso la cultura. La cultura fornisce i simboli, i valori e i significati che trasformano le potenzialità biologiche in comportamenti concreti e specifici. Tuttavia, queste manifestazioni non sono generali, ma profondamente legate ai contesti culturali. Ad esempio, il matrimonio non è solo un’unione tra individui, ma assume significati diversi a seconda delle culture, come la poliandria in alcune regioni himalayane o le elaborate pratiche di scambio nelle culture bantu.

Geertz usa l’esempio della cultura giavanese per illustrare la sua tesi. In Giava, essere umano significa essere “già giavanese” (sampun djawa), un concetto che implica l’adesione a norme, valori e comportamenti specifici. Non si tratta solo di respirare, parlare o mangiare, ma di farlo secondo i codici culturali giavanesi. Un bambino, un pazzo o un individuo moralmente discutibile può essere considerato “non ancora giavanese” (ndurung djawa), dimostrando che l’umanità è un risultato culturale, non una condizione biologica automatica.

Geertz conclude che la diversità culturale non ostacola la comprensione della natura umana, ma ne è il cuore. Le particolarità culturali rivelano dimensioni essenziali dell’esperienza umana e mostrano come ogni cultura trasformi le potenzialità biologiche in realtà specifiche. Comprendere l’uomo significa esplorare queste differenze, non eliminarle in nome di un’astrazione universale.

In ultima analisi, Geertz sottolinea che la cultura è il ponte tra le capacità innate dell’uomo e le sue espressioni concrete. L’uomo non è definito da una “natura universale,” ma dal processo culturale attraverso cui realizza la propria individualità. La vera essenza dell’essere umano risiede nella moltitudine delle sue manifestazioni culturali, non in un modello unico e immutabile.

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