Il recente piazzamento di Raffaele Fitto come vicepresidente esecutivo in Europa, una nomina che Giorgia Meloni ha celebrato come una vittoria, appare in realtà ben più fragile di quanto dichiarato. Mentre la retorica politica dipinge questo passaggio come un rafforzamento dell’influenza italiana, la realtà sembra raccontare tutt’altra storia. L’Italia esce significativamente ridimensionata da questa tornata europea, con il suo peso politico sempre più eroso. Un tempo parte della triade di nazioni fondatrici che plasmavano le politiche dell’Unione Europea, ora è sostituita dalla Spagna, un segno inequivocabile di un declino strutturale.
Fitto, cui spetterebbe formalmente la gestione del PNRR, si ritrova in una posizione per lo più ornamentale. La supervisione effettiva del piano non sarà nelle sue mani, ma in quelle del lettone Dombrovskis e del polacco Seferis, stretti collaboratori della Presidente della Commissione Ursula von der Leyen. La mancanza di autonomia di Fitto trasforma il suo ruolo in una scatola vuota, mentre il potere economico e finanziario si concentra sempre più tra Germania, Francia e Spagna.
Questo quadro risulta particolarmente allarmante per l’Italia, che fino a poco tempo fa vantava il commissario Paolo Gentiloni a capo dell’economia europea. Oggi, invece, Roma osserva da lontano le decisioni che riguardano il futuro dell’economia continentale, con le chiavi di settori strategici affidate a Francia (Politiche industriali) e Spagna (Concorrenza e Transizione ecologica).
Un ulteriore segnale del declino italiano si riflette nella nuova centralità dei Paesi baltici, piccoli in termini di popolazione e capacità economica, ma straordinariamente influenti nei nuovi equilibri geopolitici dell’UE. L’asse Difesa-Esteri, ad esempio, è dominato da Lituania ed Estonia, due Stati che assieme rappresentano appena una frazione degli abitanti italiani, ma che dimostrano di avere maggiori leve di potere.
Il fattore geopolitico sembra essere il vero fulcro di queste dinamiche: l’orientamento anti-russo di Ursula von der Leyen è stato determinante nel definire le nuove gerarchie, e la visione atlantista permea ormai ogni decisione. L’ipotesi di una vittoria di Kamala Harris negli Stati Uniti potrebbe consolidare questa linea, ma se Donald Trump dovesse tornare al potere, il rischio di tensioni e ricalibrazioni sarebbe imminente, aprendo scenari di riposizionamenti impensabili.
Alla fine, quello che appare una vittoria per Meloni rischia di rivelarsi uno smacco, con l’Italia relegata ai margini e il suo ruolo in Europa sempre più decorativo.