Alessandro Di Battista: “Mosca sotto sanzioni: lavoro, fede in Putin e la guerra è lontana”

Come la Capitale vive oltre il conflitto – I favori dell’Occidente. L’impatto delle misure contro il Cremlino non si sente e, anzi, ha compattato i russi. La città è in espansione e studenti affluiscono da Asia e Africa

di Alessandro Di Battista

A Mosca la guerra è un fastidioso rumore di sottofondo. Non manca chi è stanco, chi vorrebbe tornare a viaggiare in Europa, chi è stufo dell’inflazione galoppante. Tuttavia, chi pensava che i russi non avrebbero sopportato le conseguenze delle sanzioni occidentali non conosce i russi e neppure la loro storia. Mosca non è la Russia, ma la Russia è anche Mosca. Quasi il 10% dei 143 milioni di abitanti della Federazione russa – il paese più grande al mondo – vive nella Capitale. I moscoviti, oltretutto, non fanno altro che aumentare. A Mosca il lavoro non manca, e sebbene negli ultimi anni, complici sanzioni e riconversione di gran parte dell’economia russa in economia di guerra, i prezzi siano aumentati, lo stesso si può dire dei salari. Mosca è una città cara, caro è acquistare o affittare casa. Ma chi vuole lavorare lavora e guadagna come minimo per sopravvivere. La città è sempre più bella, sicura, pulita, facile da vivere. Sergej Sobjanin, da 15 anni sindaco di Mosca, è uno degli uomini politici più apprezzati di tutta la Russia e c’è chi lo ritiene uno dei pochi capaci di sostituire Putin. Lui glissa, giura fedeltà eterna al Presidente nonché segretario del suo stesso partito ma non disdegna incursioni in ambiti politici più nazionali come dimostra la visita che ha fatto un paio di anni fa in Donbass per valutare il lavoro svolto dalle centinaia di dipendenti comunali moscoviti sulla linea del fronte.

Sobjanin, negli ultimi tre anni, ha lavorato incessantemente affinché l’immagine della Capitale fosse quella di una città dinamica e in salute. Nell’agosto del 2023, insieme a Putin ha inaugurato la Grande Linea Circolare, l’anello più esterno della metropolitana di Mosca. Pare essere la linea di metro più lunga al mondo. La Metropolitana “V. I. Lenin” di Mosca è il quinto sistema di metro più grande del pianeta. In termini di grandezza (non di efficienza) battono Mosca soltanto le metro di Tokyo, Pechino, Shanghai e Seul. Tutte città asiatiche, l’Europa sembra essere dannatamente indietro. I moscoviti sono europei e si sentono europei, ma l’immagine che hanno sempre più (e che le tv russe cercano di veicolare) del Vecchio continente è, per l’appunto, quella di un continente vecchio.

Mentre ero a Mosca, Pervyj kanal, principale emittente tv russa dava notizia dell’entrata della Nigeria nella sfera di influenza dei Brics. “La Nigeria, sesta popolazione più grande al mondo e prima nel continente africano, nonché una delle più grandi economie in Africa, ha interessi convergenti con gli altri membri del gruppo”. Così il Brasile, paese che guiderà i Brics nel 2025, ha annunciato la partnership con la Nigeria. Oggi, dei primi 10 paesi al mondo per abitanti, sei sono membri Brics (India, Cina, Indonesia, Brasile, Russia e Etiopia) e il settimo, la Nigeria, è associato al gruppo. In Europa non se ne parla, a Mosca sì.

L’Università russa dell’amicizia tra i popoli pullula di studenti stranieri. Di europei o statunitensi, da tre anni, nemmeno l’ombra, ma asiatici, africani e sudamericani sono sempre più. L’Università, meglio nota come Rudn, venne fondata in piena Guerra Fredda per garantire lo studio a centinaia di migliaia di studenti provenienti dai paesi del sud del mondo. Nel 1961 venne intitolata a Patrice Lumumba, artefice dell’indipendenza del Congo nonché suo primo primo ministro. Il 17 gennaio, giorno del suo assassinio avvenuto con la complicità della Cia, decine di studenti africani si sono radunati davanti alla statua di Lumumba nel piazzale della facoltà di Lettere e Filosofia. Ho parlato con alcuni di loro. Nessuno ha fiducia nell’Occidente, nessuno ritiene che esistano ancora i cosiddetti valori occidentali.

Il doppio standard europeo e statunitense ha aiutato politicamente Putin negli ultimi 15 mesi. Anche chi, all’indomani dell’invasione russa dell’Ucraina provava un certo senso di colpa per quella palese violazione del diritto internazionale oggi, dopo aver visto le immagini di Gaza che le tv russe, a differenza di molti canali europei, passano quotidianamente (in Russia ci sono milioni di musulmani) non è più disposto a prendere lezioni di etica e morale dai politici occidentali. Un altro favore a Putin, e non soltanto sul campo di battaglia, l’hanno fatto i vertici militari ucraini quando hanno deciso di entrare nella regione di Kursk. Kursk per i russi non è solo una città o un oblast’. È un simbolo. A Kursk, nel luglio del 1943, i sovietici vinsero la battaglia che consentì all’Armata rossa di assumere l’iniziativa bellica. Iniziativa che si concluse nel maggio del 1945 con il trionfo delle truppe sovietiche guidate dal maresciallo Žukov nella battaglia di Berlino.

Le dichiarazioni dei falchi che volano intorno a Putin e che, sebbene sembri impossibile, lo fanno apparire moderato al loro cospetto, altro non sono che una strizzatina d’occhio ai russi che chiedono maggiore incisività al fronte. Nel mezzo c’è la maggioranza della popolazione, i putiniani che si fidano ciecamente del Líder Maximo, che danno scarsa importanza alle dichiarazioni di Trump e che vorrebbero sì i negoziati, purché questi non si trasformino in una sorta di Minsk 3, ovvero un protocollo simile a quelli firmati nel 2014 e nel 2015 falliti miseramente per via di bombe e boicottaggi.

La guerra a Mosca è un fastidioso rumore di sottofondo. I segni ci sono, ma sono sempre meno visibili. Quando venni qui, due anni fa, cartelloni propagandistici o manifesti che invitavano al reclutamento, tappezzavano la città. Oggi sono quasi spariti. Sulle vetrate di qualche negozio sono affissi ancora i volantini che danno informazioni per arruolarsi. Cosa interessa di più? I soldi. Non sono pochi. Magari non a Mosca, ma c’è chi, in Russia, con il denaro che si guadagna con 10 mesi al fronte può comprare un paio di appartamenti. C’è chi si arruola solo esclusivamente per denaro. C’è chi ci crede davvero. Sotto l’immensa Torre di Ostankino, costruita in epoca sovietica per superare l’Empire State Building quale edificio più alto al mondo, c’è un affascinante tempio ortodosso, la Chiesa della Trinità vivifica. All’interno del suo negozio, dove i fedeli vanno ad acquistare candele e immagini sacre, sono affissi due cartelli. Nel primo si invitano i fedeli a ospitare famiglie di sfollati del Donbass, nel secondo ci sono tutti i recapiti per andare a fare volontariato a Mariupol, Bakhmut e nelle altre città conquistate dai russi nel Donetsk. L’annuncio non è rivolto a medici o infermieri ma a muratori, elettricisti, meccanici, imbianchini. Vitto e alloggio in cambio di manodopera. Sono tanti i giovani ortodossi a partire. Non vanno a combattere, vanno a ricostruire quello che i soldati hanno distrutto. Soldati che non sono odiati, al contrario. Miracolo della Nato! Le scelte dei politici occidentali hanno unito Forze armate russe e Chiesa ortodossa, mondi che in epoca sovietica erano distanti anni luce. Vogliono la Pace a Mosca purché sia una Pace giusta. Guardando come si vive a Mosca, pare che i russi abbiano a disposizione molto più tempo degli ucraini per raggiungerla.

Il Fatto Quotidiano, 4 febbraio 2025

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