Il ministero del Lavoro ha spento le luci sui numeri dell’Assegno di inclusione, forse per non far vedere il disastro. L’Inps i dati li ha, ma guai a pubblicarli: meglio lasciarli a prendere polvere, tanto nessuno può lamentarsi di ciò che non si conosce. La trasparenza è finita in soffitta, sacrificata sull’altare dell’orgoglio governativo e della paura del confronto.
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Un tempo, non troppo lontano, c’era l’Inps che ogni mese tirava fuori i suoi bei numeri come un prestigiatore disciplinato: il numero dei beneficiari del Reddito di cittadinanza, i nuclei familiari coinvolti, la distribuzione geografica, l’importo medio. Un’occasione per farci capire chi beneficiava di una misura sociale tanto odiata dagli industrialotti e tanto amata dai disoccupati. Si trattava di un quadro trasparente, utile per politici, analisti, giornalisti e persino per chi voleva solo sputare veleno sui “fannulloni”. Ma quei tempi sono finiti.
Oggi, sotto l’egida del governo Meloni e con il fido ministro del Lavoro Marina Calderone al timone, la trasparenza ha preso una lunga vacanza. L’Assegno di inclusione (Adi), che ha preso il posto del Reddito di cittadinanza dal 1° gennaio 2024, e il Supporto per la Formazione e il Lavoro (Sfl), dedicato agli “occupabili” (categoria che sembra nata per etichettare i “pigri professionisti”), vivono ormai nell’ombra. Per mesi, di numeri aggiornati nemmeno l’ombra. L’ultimo report disponibile risale a giugno. Da allora, silenzio. Non un dato, non un grafico, nemmeno uno di quei diagrammi a torta che fanno tanto presentazione aziendale anni ’90.
La favola dell’inaccessibilità dei dati
Secondo la vulgata ufficiale, forse i numeri non sono pronti, o magari non sono rilevanti. Ma, caro lettore, siamo seri: l’Adi si basa su dati amministrativi, gestiti quotidianamente dall’Inps. E questi dati esistono, eccome se esistono. Se ai tempi del Reddito di cittadinanza i report arrivavano puntuali come l’oroscopo di Paolo Fox, oggi invece i numeri sembrano più introvabili di un onesto che si faccia strada in politica.
Eppure, una prova dell’esistenza dei numeri c’è, ed è contenuta nella Legge di Bilancio. Sì, perché il governo, nonostante l’apparente allergia ai numeri, ha modificato i criteri per accedere all’Adi e al Sfl, alzando la soglia Isee da 9.360 euro a 10.140 euro e ritoccando gli importi massimi. Risultato? Circa 100 mila famiglie in più potranno accedere ai benefici, con un costo stimato di 600 milioni. E qui sorge spontanea una domanda: come hanno fatto a stimare questi costi, se non con numeri freschi? Misteri della matematica calderoniana.
La politica del silenzio
Forse il ministero teme che i dati, una volta resi pubblici, possano diventare materiale incandescente nelle mani dell’opinione pubblica e dei partiti di opposizione. Magari perché le adesioni all’Adi e al Sfl sono più basse del previsto. Del resto, il Supporto per la Formazione e il Lavoro è già una barzelletta amara: dai quasi 300 mila beneficiari stimati, si è scesi a 96 mila a giugno, e poi, pare, ancora meno. Difficile non immaginare che qualcosa di simile stia accadendo anche per l’Adi.
Il governo, che non perde occasione per vantarsi dei suoi successi con trombe e tamburi, preferisce un silenzio assordante quando si tratta di mettere in piazza i numeri di una misura che sembra non decollare. Evidentemente, meglio celare la realtà sotto una coperta di non-dichiarazioni, piuttosto che affrontare il rischio di critiche.
L’ironia del paradosso
Ma la ciliegina sulla torta è un’altra. Il governo è riuscito nell’impresa di farci sapere quanti saranno i beneficiari dell’Adi nel 2025: circa 750 mila famiglie, si dice. Una proiezione, beninteso, basata su “evidenze empiriche”. Eppure, nessuno sa quanti beneficiari ci siano oggi, nel 2024. Un governo che sa predire il futuro ma non riesce a raccontare il presente. Nostradamus, scansati.
Eppure, questo blackout informativo non è colpa dell’Inps. Il presidente dell’Istituto, Gabriele Fava, ha spesso parlato dell’importanza della trasparenza, e il rapporto annuale dell’Inps, pubblicato a settembre, è un tripudio di dati e analisi. L’indicazione di spegnere la luce sui numeri dell’Adi viene chiaramente dal ministero del Lavoro. Una decisione che puzza di paura, di nervosismo, di insicurezza.
Un paese senza specchi
E così, eccoci qui, a cercare di capire la realtà senza numeri, senza rapporti, senza strumenti. L’Italia diventa un paese senza specchi, dove ognuno può dire quello che vuole, tanto nessuno può smentirlo. Dove un governo può vantarsi di avere “superato il Reddito di cittadinanza”, senza mai dover dimostrare che ciò che è stato messo in piedi sia davvero migliore.
In questa nebbia fitta, resta solo una certezza: finché non arriveranno i dati, la trasparenza continuerà a essere l’ennesima vittima di un governo che non ama le verifiche, ma adora gli slogan. E il ministro Calderone, regina del silenzio, potrà godersi ancora un po’ il suo regno dell’oscurità, dove i numeri non disturbano, le critiche non arrivano e la realtà resta un dettaglio secondario.