Giorgia Meloni indagata per favoreggiamento e peculato

Meloni indagata per il caso Almasri piange complotti e accusa fantomatici nemici di sinistra. Intanto, un criminale vola a Tripoli a spese nostre.

di Alberto Piroddi

Giorgia Meloni è indagata. Basta questa frase a far tremare la sedia di chi da mesi si presenta come la salvatrice della patria, la custode della “Nazzzzione” (con tre zeta, perché una sola non basta a contenere la grandeur del suo ego) e la nemica giurata di complotti immaginari. La vicenda Almasri non è soltanto un incidente di percorso, ma l’ennesima dimostrazione di come il Governo in carica sia specializzato nel trasformare ogni problema politico in un caso di vittimismo personale. Ora, che i magistrati abbiano notificato un avviso di garanzia alla premier e ai suoi ministri Nordio, Piantedosi e Mantovano non dovrebbe stupire nessuno: il fatto che il Governo abbia allegramente ignorato un mandato della Corte penale internazionale per coccolare e rimpatriare un criminale libico su un volo di Stato è, per usare un eufemismo, qualcosa che non si fa. Punto. E invece, eccoci qui, con Meloni che piange su Facebook come una novella Calimero, gridando al complotto di un’avvocatura di sinistra che, spoiler, tanto di sinistra non è.

Partiamo dai fatti. Abd al-Rahman al-Milad, noto come Almasri, è un personaggio su cui pendeva un mandato d’arresto della Corte penale internazionale per crimini contro l’umanità, tra cui torture e traffico di esseri umani. Il governo Meloni non solo ha ignorato questo mandato, ma lo ha addirittura accompagnato a Tripoli come un redivivo capo di Stato, con tanto di volo a nostre spese. Tutto questo mentre ci raccontavano che l’Italia stava difendendo i confini dall’immigrazione clandestina. Difendendo come, esattamente? Coccolando i trafficanti? Fin qui, sarebbe già abbastanza per definire la vicenda una farsa tragica. Ma la vera perla arriva con la reazione della premier.

Non appena il bubbone scoppia, Meloni si rifugia nel suo mantra preferito: complotto. La denuncia contro il suo operato, dice lei, arriva da un oscuro personaggio di sinistra che vuole sabotare il suo Governo. E qui la narrazione si fa grottesca, perché l’avvocato in questione, Luigi Li Gotti, ha un curriculum politico che Meloni dovrebbe conoscere bene. Negli anni Sessanta era nel Movimento Sociale Italiano, partito che ha fatto da culla politica alla stessa Meloni. Poi è passato ad Alleanza Nazionale, proprio come lei. E solo più tardi, nel 2006, ha avuto un breve flirt con l’Italia dei Valori di Antonio Di Pietro, diventando sottosegretario alla Giustizia nel governo Prodi II. Insomma, definirlo “di sinistra” è come chiamare Stalin un socialdemocratico: una palese forzatura.

Ma torniamo al cuore della questione. Perché il Governo ha deciso di rimpatriare Almasri ignorando il mandato internazionale? Le versioni fornite dall’esecutivo sono state molteplici e tutte contraddittorie. Prima hanno negato di sapere chi fosse realmente l’uomo; poi hanno detto che era un gesto umanitario per migliorare i rapporti con la Libia; infine, Meloni ha buttato tutto nel calderone della persecuzione politica. L’unica certezza è che nessuno ha spiegato agli italiani perché sia stato speso un volo di Stato per un criminale, né chi abbia preso questa decisione. Intanto, però, si taglia sulle buste paga, si ignorano le emergenze industriali e si criminalizzano le proteste. Un governo che non sa risolvere i problemi dei cittadini, ma trova sempre il modo di sviare l’attenzione.

E qui arriviamo al vero capolavoro meloniano: il vittimismo come strategia di distrazione. Non è la prima volta che Meloni e i suoi ministri si appellano a questo schema. Dalle polemiche sui treni regionali alla gestione dei migranti, ogni critica diventa una congiura contro la “Nazzzzione”. Non è mai colpa loro: sono sempre gli altri, i giudici, l’Europa, i media di sinistra (che controllano tutto, a sentire loro). Questo atteggiamento non solo svilisce il dibattito politico, ma mina le basi stesse delle istituzioni democratiche. Perché se ogni inchiesta è un attacco personale, allora chi garantisce che la legge sia uguale per tutti?

E qui sta l’ironia: Meloni, che per anni ha dipinto i magistrati come eroi quando indagavano i suoi avversari, ora li dipinge come nemici della patria. È lo stesso doppio standard che usa con la stampa: libera quando la elogia, venduta quando la critica. Il richiamo della premier al memorandum del 2017, firmato dal governo Gentiloni, punta il dito contro il Partito Democratico, che avrebbe forse motivo di evitare certe ipocrisie, dato il ruolo avuto nella gestione delle politiche migratorie in Libia.

Ma questa non è una difesa per Meloni. Il memorandum del 2017, per quanto criticabile, non prevede certo la liberazione di criminali ricercati internazionalmente. E soprattutto non autorizza un uso spregiudicato delle risorse dello Stato per favorire personaggi discutibili. Meloni e i suoi ministri non possono continuare a rifugiarsi dietro al passato degli altri per giustificare le loro azioni presenti. Se vogliono davvero governare con responsabilità, è il momento di smettere di piangere e iniziare a rispondere.

Il caso Almasri è l’ennesimo segnale di un Governo che non ha una visione, che si muove a tentoni e che usa la propaganda come unico collante. Meloni può anche continuare a piangere complotti e a scavare nella biografia dei suoi critici, ma la realtà non cambia: l’Italia ha violato un mandato della Corte penale internazionale e questo, in un Paese normale, avrebbe delle conseguenze. E se non le ha, allora il problema non è solo Meloni, ma tutti noi.

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