di Wanda Marra
La sicurezza dell’Ucraina va garantita, ma bisogna farlo con Donald Trump. E Zelensky deve cambiare atteggiamento. È questa la linea che sta elaborando Giorgia Meloni, alla ricerca di una posizione che tenga insieme l’amicizia con il presidente degli States, il rapporto con Ursula von der Leyen, una seppur vaga coerenza rispetto al sostegno dato all’Ucraina di Zelensky in questi anni e le diverse posizioni nel governo. Intanto Elly Schlein fa lo slalom tra le piazze: non sarà oggi a quella pro-Kiev, anche se andrà una delegazione dem; ha aderito a quella “per l’Europa” lanciata da Michele Serra; difficilmente sarà a quella contro il governo di Giuseppe Conte.
Meloni oggi avrà un bilaterale con Keir Starmer. L’unico del premier britannico, oltre a quello con Zelensky. Perché l’Inghilterra oggi ribadirà il sostegno all’Ucraina e si dirà disponibile anche a mandare soldati. Francia e Germania sono sulla stessa linea, l’Italia no. E oggi la premier lo ribadirà: non adesso e comunque solo sotto l’ombrello Onu. Una posizione in sé ambigua, visto che nel Consiglio di Sicurezza Onu ci sono anche la Russia e la Cina, che certo non sarebbero a favore. Da Palazzo Chigi chiariscono che la posizione è quella presa venerdì sera e che quella sarà la proposta dell’Italia, ovvero un vertice tra Stati Uniti, Unione europea e alleati. Da Fratelli d’Italia comincia a filtrare una critica nei confronti di Zelensky. A partire dal fatto che è caduto nella trappola di Trump, ma non solo. “L’alleanza con gli Usa è l’essenza della nostra storia democratica e va difesa”, ha detto ieri il viceministro degli Affari Esteri, Edmondo Cirielli. La premier perorerà la causa di una minor rigidità di Zelensky, oltre a dare la sua disponibilità a una maggior spesa per la Difesa.
Il Parlamento, però, per lei resta un ostacolo da evitare. Ieri, i capigruppo parlamentari di Pd, M5S e Iv hanno mandato una lettera ai presidenti di Camera e Senato, Lorenzo Fontana e Ignazio La Russa, chiedendo formalmente che riferisca in aula prima del Consiglio straordinario, previsto per giovedì a Bruxelles. Lei finora ha resistito: vuol andare in Aula il 18 marzo, prima del Consiglio ordinario, come da Regolamento. E non prima. D’altra parte, le opposizioni le hanno chiesto di riferire già sulla liberazione di Almasri e sullo spyware Paragon, ma lei non si è fatta vedere. Uno spiraglio, però, potrebbe aprirsi: deciderà dopo Londra, fanno capire da Palazzo Chigi. Per ora, in agenda non c’è.
L’opposizione intanto, procede divisa. Sotto le bandiere ucraine, quelle dell’Italia e dell’Europa, e nessuna bandiera politica, il popolo ucrainoscende in piazza oggi alle manifestazioni promosse da Azione e appoggiate da Pd e +Europa. Per i dem ci saranno Cristina Tajani e Simona Malpezzi a Milano e Alberto Losacco, Francesca La Marca, Pier Ferdinando Casini, Filippo Sensi e Andrea Casu a Roma. Si moltiplicano, poi, le adesioni alla mobilitazione per l’Europa, con Eugenio Giani e Gaetano Manfredi che hanno rispettivamente offerto Firenze e Napoli. Ci sarà anche FI, ma non Conte. Che sfilerà il 5 aprile con una piattaforma per la pace in Ucraina e contro la Commissione Ue.
Se un voto parlamentare sul tema in Italia appare lontano, al Parlamento europeo (dove in maggioranza ci sono Popolari, Socialisti, Renew e Verdi) durante la prossima plenaria (10-13 marzo) ci sarà una risoluzione (la quarta) sul sostegno a Kiev. Kaja Kallas, l’Alto rappresentante per gli Affari esteri, lo ha ribadito: “Intensificheremo il nostro sostegno all’Ucraina affinché possa continuare a combattere l’aggressore”. La sua è una “posizione fuori dal mondo” per Massimo D’Alema, ma anche per Roberto Speranza. Il Pd, però, per ora ha confermato che dirà ancora sì. La stessa posizione, al momento, della delegazione di FdI (che esprime il commissario Raffaele Fitto), anche se il panorama è in movimento. Orientata al sì anche FI, tra svariati malumori. Diranno di no M5S e Lega. Ma poi sono attesi distinguo e giochi di prestigio. Come le altre volte.
Il Fatto Quotidiano, 2 marzo, 2025