di Tomaso Montanari
Per cosa manifesterà la “piazza europeista” del 15 marzo? A giudicare dalle adesioni, chi ci sarà avrà idee molto diverse sull’Europa, anche radicalmente opposte. “Zero bandiere di partito, solo bandiere europee”: ha scritto l’ideatore della manifestazione, Michele Serra. Giusto, ma accanto alla bandiera europea dovrebbe essercene un’altra: quella della pace. Una bandiera che impedirebbe ai governi europei di mettere il cappello, anzi l’elmetto, a una manifestazione di popolo “per la libertà e l’unità dei popoli europei”. ‘Libertà’ è la parola con cui JD Vance è venuto in Europa a predicare l’osceno verbo trumpiano Make Europe Great Again. Ma non è evidentemente quella, la libertà che vorremmo: e allora qual è?
La risposta dei governi europei – riuniti a Londra, cioè significativamente fuori dall’Unione – è stata chiara: la libertà di armarsi e prepararsi alla guerra. Tutta la spesa pubblica che fino a ieri pareva impossibile all’Europa dell’austerità e del mercato, oggi è magicamente disponibile: purché quei soldi si spendano in armi. Bisogna difendersi dal nuovo Hitler, ci si dice. Dimenticandosi che era lo stesso Putin che, nel 2001, combatteva come campione dei valori occidentali contro l’impero del male islamico: precedente che dovrebbe insegnare a diffidare dalla propaganda che incita alla guerra. Il ceto di governo europeo che si è pervicacemente rifiutato di provare a mettere al tavolo delle trattative Ucraina e Russia (perché non poteva farlo continuando a predicare una impossibile ‘vittoria’ contro la Russia nucleare), oggi ripete che la strada è “riarmare l’Europa”. Dove il prefisso è veramente inquietante: riarmarla, come prima della Seconda guerra mondiale. Con quale scopo? Difenderci dalla Russia, dalla Cina, da un’America impazzita (le cui basi nucleari costellano il nostro continente) che potrebbe attaccare la Groenlandia danese? Dove si ferma la retorica di un preteso realismo, che assomiglia sempre di più a un interessato terrorismo bellicista? Se dirotteremo ciò che resta della spesa sociale in armi, non succederà forse che i cittadini europei, sempre più disperati e senza una vita decente, rifiuteranno definitivamente questa democrazia, portando le estreme destre al governo davvero ovunque? Un’Europa armata fino ai denti, ma senza unità politica e divisa in Stati-nazione governati da nazi-fascisti: l’idea di Ventotene rovesciata nel suo mostruoso contrario. Un rischio che mi pare decisamente più certo e attuale (nel senso che è già in atto in molti paesi) della volontà presunta di Putin di inghiottire tutta l’Europa.
Francesco Pallante ha sottolineato le responsabilità enormi dei tecnocrati ‘europeisti’ (stirpe oggi rappresentata da Mario Draghi, instancabile profeta delle armi), ricordando un agghiacciante passo dell’autobiografia di Guido Carli in cui si afferma candidamente il dogma per cui “l’Unione europea implica la concezione dello ‘Stato minimo’, l’abbandono dell’economia mista, l’abbandono della programmazione economica, la ridefinizione delle modalità di composizione della spesa, una redistribuzione delle responsabilità che restringa il potere delle assemblee parlamentari e aumenti quelle dei governi, l’autonomia impositiva per gli enti locali, il ripudio del principio della gratuità diffusa (con la conseguente riforma della sanità e del sistema previdenziale), l’abolizione della scala mobile […], la drastica riduzione delle aree di privilegio, la mobilità dei fattori produttivi, la riduzione della presenza dello Stato nel sistema del credito e nell’industria… l’abolizione delle normative che stabiliscono prezzi amministrati e tariffe”. È la fotografia millimetrica del disastro dell’Europa di Maastricht – un’Europa di capitali liberi e popoli schiavi –, della fine dello Stato sociale, della divisone radicale tra ricchi e poveri, della delocalizzazione della produzione; e anche, tutte intere, idee come l’autonomia differenziata, o la torsione esecutivista della democrazia (oggi da noi si chiama ‘premierato’, in Ungheria semi-dittatura). Tutti questi delitti sono stati commessi in nome dell’Europa: e oggi manca solo l’ultimo, quello della guerra.
Questa manifestazione può essere un coraggioso salto in avanti, che ci tiri dalla morsa di questa angoscia terribile. Ma non servirà, se tutto resta ambiguo e non detto: se non decidiamo, usiamo un’espressione cara a Stefano Rodotà, di invertire la rotta. “Qui o si fa l’Europa o si muore”, ha scritto Serra, ma se continuiamo a farla come l’abbiamo fatta, e ora imbocchiamo anche la strada della guerra, quella “o” disgiuntiva rischia di trasformarsi nella congiunzione “e”: si fa l’Europa e si muore. È per questo che la bandiera della pace accanto a quella europea direbbe la cosa più importante: stiamo dalla parte dei popoli europei, anche di quello ucraino. Li vogliamo vivi.
Il Fatto Quotidiano, 4 marzo 2025