La “macchina del fango” italiana usa insinuazioni sottili per screditare le persone, mescolando verità e falsità, come nel caso di Papa Francesco e Varoufakis.
di Umberto Eco
Sono venuti da me alcuni giornalisti spagnoli per interrogarmi sulla cosiddetta macchina del fango. Pensavano di avere chiaro il concetto ma dicevano che da loro l’espressione non era usata. Quando mi hanno sottoposto alcuni esempi ho ritenuto che anche il concetto fosse, se non errato, troppo vasto. Mi hanno fatto vedere per esempio un servizio giornalistico a colori con Varoufakis, che appariva sottobraccio alla moglie, senz’altro elegante, in una casa apparentemente di lusso, e poi davanti a una mensa imbandita con molti piatti e piattini. L’insinuazione era evidente: ecco come vive un rappresentane della sinistra.
Eppure, a ben vedere, la casa non era una reggia e andava considerato che Varoufakis era stato professore anche in America e dunque non era mai stato un poveretto; la mensa era piena di tanti piattini tipici della cucina greca, verdure e formaggi, ma non vi si vedevano coppe colme di caviale, aragoste, pernici e polli allo spiedo. Insomma si trattava certamente di una insinuazione maliziosa, come quando la stampa di sinistra in Italia riusciva a riprendere un personaggio della Democrazia Cristiana mentre a una cena s’infilava in bocca una forchettata di spaghetti – e questo gesto abbastanza normale richiamava la polemica sui “forchettoni”. Insomma, peggio per Varoufakis che per vanità si era prestato a quella messa in scena, ma si trattava solo di una piccola cattiveria, non di fango.
Credo si sia iniziato a parlare di macchina del fango quando si è insinuato che il direttore di un giornale cattolico fosse omosessuale. L’insinuazione avrebbe fatto ridere se si fosse trattato del direttore dell’“Unità”, ma certo in un ambiente religioso, e prima di papa Francesco, la cosa aveva creato qualche contraccolpo.
Dunque si ha macchina del fango quando qualcuno viene accusato di cose che non ha commesso? Io direi che la tecnica all’italiana è assai più sottile; accusare qualcuno di avere abusato della nipote sedicenne per poi scoprire che non è vero, non serve gran che. Ma scrivere che qualcuno è stato visto al cinema con la nipote sedicenne è un’altra cosa, specie se ci è stato davvero; certamente non c’è niente di male a portare al cinema la nipote, ma l’evento può lasciare nella mente di molti la traccia di un sospetto. Perché proprio la nipote, perché proprio al cinema, e quale film stavano vedendo, forse una pellicola osé?
Vi ricorderete del magistrato visto ai giardini mentre fumava una sigaretta dopo l’altra seduto su una panchina e portando calzini, se ben ricordo, turchesi? Non faceva niente di male, ma poteva apparire come un fannullone, assente dall’ufficio dove avrebbe dovuto compulsare enormi faldoni, e vestito come un figlio dei fiori; forse a casa fumava persino marijuana. Ecco la vera tecnica della macchina del fango: riportare qualcosa di assolutamente vero ma in modo da sottintendere qualcosa di falso, e chi la vuol capire la capisca.
Veniamo ora al tumore al cervello di papa Francesco. Si sarebbe pensato a uno scoop se il papa fosse stato ammalato di cirrosi epatica, di piede equino, o addirittura di un tumore, benigno per carità, al fegato? Credo proprio di no. Anche perché la notizia avrebbe suscitato ondate di simpatia, e ogni parola che il papa avesse pronunciato, magari dal suo letto di dolore, avrebbe acquistato un peso maggiore e sarebbe stata ascoltata con commozione. Con un tumore, benigno per carità, al cervello, le cose cambiano. Quale centro è stato colpito? Non potrebbero le sue parole di domani essere attribuite alla sua alterazione cerebrale?
O la notizia è, come pare, falsa, e allora diramarla, magari passandola per vera a un giornalista che ci ha creduto, sarebbe già affine a un episodio di macchina del fango. Peggio ancora se fosse vera, il diffonderla induce a pensare che, da oggi in poi, ogni parola che il papa pronunci vada presa con le molle.
Veramente un colpo da maestro. Forse agli spagnoli avrei dovuto dire che solo noi italiani siamo capaci di costruire buone macchine del fango.
L’Espresso, 30 ottobre 2015