“Non possiamo permetterci di restare fermi mentre la Storia si muove”, sentenzia Mario Draghi. Frase fatta, come tante altre che risuonano nelle sale ovattate di Bruxelles, dove si continua a discutere di accelerare le riforme con il ritmo di un bradipo sotto sedativi. Il problema è che, questa volta, il treno della Storia non sta semplicemente partendo: sta sferragliando fuori dalla stazione a velocità supersonica, con Donald Trump alla guida e un’Unione Europea incastrata tra i binari, incerta se farsi travolgere o fingere di non vedere l’impatto imminente.
Gli europeisti d’accatto, quelli che per vent’anni hanno raccontato la favoletta di un’Unione solida, influente, capace di dettare le regole del gioco globale, si trovano di fronte al più imbarazzante dei paradossi: a costringerli a fare ciò che avrebbero dovuto fare spontaneamente – ovvero trasformare l’UE in un soggetto politico ed economico autonomo – è proprio il loro peggior incubo, l’uomo arancione, il populista supremo, quello che straccia trattati, umilia alleati e annuncia il tramonto della “vecchia Europa” con lo stesso entusiasmo con cui un broker di Wall Street annuncia un crollo in Borsa.
Dall’altra parte dell’Atlantico, Trump e i suoi accoliti – con il vicepresidente J.D. Vance a suonare il tamburo di guerra e Elon Musk a fare da agitatore di piazza – non nascondono il piano: gli USA non hanno più alcun interesse a tenere in vita il patto transatlantico. “L’Europa è un peso morto”, ripete ossessivamente il tycoon, mentre annuncia che la NATO, se non la pagano gli europei, può anche chiudere bottega.
A Bruxelles, intanto, si accende l’ennesimo dibattito sterile. Riforme? Più o meno come la volta scorsa, la scorsa legislatura, la scorsa crisi. La favola di una UE protagonista si sgretola sotto la brutalità del dato di fatto: siamo ancora impantanati nella stessa struttura burocratica inefficiente, con 27 commissari che si annullano a vicenda e un bilancio ridicolo, che raschia appena l’1% del PIL comunitario. Quando serve una decisione rapida, si scatenano le trattative infinite tra gli Stati membri, in cui ognuno pensa ai propri orticelli elettorali.
L’ironia della storia è che, se mai ci sarà un vero cambiamento, sarà grazie a Trump. Proprio lui, il “barbaro” che i moralisti di Bruxelles detestano, potrebbe costringere l’Europa a decidere se esistere o estinguersi. Il messaggio che arriva da Washington è semplice: o fate da soli, oppure arrangiatevi.
Lo spiega con brutale chiarezza il Brussels Institute for Geopolitics: “L’era transatlantica è finita. Trump accelera il processo, ma non è lui a determinarlo. È solo l’inevitabile crollo di un’illusione”. Insomma, gli europei si sono cullati nell’idea che l’ombrello americano fosse eterno, mentre il mondo si trasformava in un’arena dove la Cina costruisce porti in Africa, la Russia gioca alla guerra dei gasdotti e le big tech decidono le elezioni meglio di qualsiasi servizio segreto.
Nel frattempo, l’UE continua a muoversi con i tempi della burocrazia ottocentesca. Lo ha spiegato Draghi pochi giorni fa: “Se seguiamo le procedure attuali, servono 20 mesi per approvare una legge. Quando entra in vigore, è già obsoleta”. Esempio perfetto: il Regolamento generale sulla protezione dei dati (RGPD), presentato come un gioiello normativo, si è rivelato un boomerang che ha aumentato del 20% i costi per le imprese europee, mentre Google e Microsoft fanno quel che vogliono negli USA e in Cina.
Stesso copione per la regolamentazione dell’Intelligenza Artificiale: il nuovo regolamento UE entrerà in vigore nel 2027. Giusto in tempo per regolamentare tecnologie che, nel frattempo, saranno già preistoria. Nel frattempo, gli otto sistemi di IA più avanzati sono americani, due cinesi. E noi? Noi ci diamo pacche sulle spalle per essere “eticamente superiori”.
Ora, mentre Trump alza la voce e annuncia dazi, ritorsioni e tagli ai fondi NATO, la risposta europea quale sarà? Probabilmente la solita: una lunga serie di vertici, dichiarazioni, qualche fondo stanziato senza copertura e un nulla di fatto. Perché in UE il problema non è la mancanza di soluzioni, ma la paura di scegliere.
Draghi, uno dei pochi che vede il baratro davanti, lo dice senza giri di parole: “Se vogliamo sopravvivere, dobbiamo comportarci come un solo Stato”. Ovvero, serve un vero mercato unico, dalla finanza all’energia, e una politica di difesa comune. Unione fiscale, budget federale, politica estera unitaria. Insomma, l’Europa o diventa adulta o diventa irrilevante.
Ecco la vera questione: il tempo sta scadendo. Trump, con la sua brutalità, sta solo accelerando un processo che sarebbe comunque arrivato. L’illusione di poter continuare con l’UE “a metà”, quella che prende le decisioni difficili solo quando non ci sono alternative, è ormai un lusso che non possiamo più permetterci. O il vecchio continente impara a essere giovane, dinamico e politicamente autonomo, oppure si rassegni a diventare un museo a cielo aperto per turisti cinesi e americani.
Non c’è più tempo per le illusioni. Bruxelles può continuare a discutere, a scrivere regolamenti e a fingere che tutto si possa risolvere con qualche compromesso annacquato. Oppure, può svegliarsi e capire che questa è l’ultima chiamata. Se sbagliamo anche questa, il secolo XXI non avrà bisogno dell’Europa.