Tulsi Gabbard e la Glasnost di Donald

L’audizione al Senato USA di Tulsi Gabbard, nominata da Donald Trump alla guida delle 18 agenzie di intelligence statunitensi, è stata un fuoco di fila di tabù politici abbattuti uno dopo l’altro nella sede più solenne.

di Pino Cabras

Con buona pace di quelli che mi hanno voluto affibbiare l’etichetta di filo-Putin e di anti-americano, è proprio nel cuore delle istituzioni statunitensi che si stanno rivelando i fatti che ho sempre raccontato.
L’audizione al Senato USA di Tulsi Gabbard, nominata da Donald Trump alla guida delle 18 agenzie di intelligence statunitensi, è stata un fuoco di fila di tabù politici abbattuti uno dopo l’altro nella sede più solenne. Per capirci: ha dichiarato le stesse cose che scrivo da anni in libri, atti parlamentari e articoli guadagnandomi lo stigma di “complottista” e altri attacchi insultanti presso le officine dei media dominanti: cioè che al-Qāʿida e la galassia jihadista sono stati meri strumenti di Washington e che tutte le guerre degli ultimi venticinque anni (per stare solo al nostro secolo) sono state fatte dal governo statunitense sulla base di falsi pretesti e con effetti destabilizzanti e criminali.
Gabbard ha tenuto testa a parlamentari totalmente disabituati all’esposizione di verità così scandalose e imbarazzanti. Non so se alla fine avrà quei 51 voti su 100 che le servono, perché le reazioni di una parte della politica e dei bugiardi dei media sono furibonde e senza precedenti: gli interessi minacciati sono immensi. Ma di certo gli effetti saranno durevoli e nulla potrà essere come prima. Trump ha puntato la prua contro il mondo “neo-con” che con ogni probabilità non è estraneo alle pallottole che lo hanno sfiorato. Perciò ha voluto dare un ruolo chiave a una figura come Tulsi Gabbard (così come sulla Sanità ha sfidato la super-mafia farmaceutica lanciando Robert Kennedy Jr.).
Mentre i globalisti ripetono con insistenza goebbelsiana le loro stupide trivialità su Gabbard e Trump quali “pupazzi di Putin” (e perseguitano con le stesse accuse chiunque, come chi scrive, voglia uscire dagli schemi bellici atlantisti di questi anni), può essere interessante notare che Mosca c’entra con Trumpper una questione molto diversa e più profonda. Voglio in altre parole farvi considerare un altro tipo di analogia della rivoluzione trumpiana con fenomeni di enorme portata che hanno investito in passato le crisi imperiali a Mosca. È un’analogia funzionale: come a dire, non importa la natura e le caratteristiche di un impero, ma quando va in crisi ha dei riflessi di autodifesa simili.
Ricordate i due capisaldi con cui esattamente 40 anni fa Mikhail Gorbaciov volle scuotere l’Unione Sovietica, un impero in crisi e in stagnazione? Si chiamavano Glasnost (Гласность) e Perestrojka (Перестройка). Vediamole una per una e pensiamo agli USA di oggi.
Glasnost significa “trasparenza” o “apertura”. Era un’iniziativa per garantire maggiore libertà di espressione, rendere più trasparente l’operato del governo e ridurre la censura. Grazie alla Glasnost, i media sovietici iniziarono a discutere apertamente problemi interni come la corruzione, la stagnazione economica e i fallimenti del passato; furono rivelati crimini e repressioni del periodo staliniano; si aprì un dibattito pubblico su questioni politiche e sociali che prima erano tabù; si permise maggiore libertà ai cittadini di criticare il governo.
Ora, chiunque mi potrebbe elencare una caterva di differenze storiche e politiche per rifiutare l’analogia. Ma il punto che voglio sottolineare è che di fronte a una crisi radicale anche negli USA di oggi uno dei punti focali è la demolizione di un sistema di censure, omissioni e ingessature della narrazione dell’impero, in modo da dinamizzare la società e liberare gigantesche energie inespresse, a partire persino dal racconto degli spaventosi crimini commessi.
Perestrojka significa invece ristrutturazione. Era un tentativo di riformare l’economia sovietica introducendo elementi di mercato all’interno del sistema pianificato socialista.
Ora, anche qui ritenete già accolte tutte le possibili puntualizzazioni sulle enormi differenze fra la Mosca del 1985 e la Washington del 2025. Grazie mille, ma passiamo al punto: la questione su cui attiro l’attenzione è che in un contesto in cui tutta la proiezione economica statunitense è sfidata da cambiamenti epocali, dal quartier generale – così come fece il centro dell’impero a Mosca quattro decenni fa – si decide una formidabile ristrutturazione del proprio campo geopolitico.
Gorbaciov fu al centro di un’enorme dinamica storica che schiacciò le sue azioni. Molti sono critici perfino rabbiosi degli errori di Gorbaciov, visto nel nucleo di una “catastrofe geopolitica”. Ma tanti di loro a mio avviso sbagliano a vedere lui come una “causa causans” di quella catastrofe. La storia è più complessa e a noi interessa vederla anche attraverso le vicende di un grande sconfitto di quella storia.
Nel caso della dinamica storica in cui si inserisce Trump tutto rimane ancora da scrivere e non sappiamo dove lo porteranno le contraddizioni che già si manifestano.
L’altra “analogia moscovita” è con Vladimir Putin, proprio lui. Non su affinità ideologiche o appartenenze dell’uno all’altro, figuriamoci. Queste fantasie lasciamole ai Picioccia (Picierno e Cioccia) e a tutti i botoli maccartisti che ci abbaiano contro. L’affinità riguarda semmai il modo in cui diverse personalità entrano nel sistema di Trump. Checché se ne dica, Putin non si è circondato di persone che la pensassero tutte esattamente come lui. Ha sempre preferito persone che stabilissero un patto di lealtà con la sua linea politica. Gli oligarchi formatisi nel decennio dopo la fine dell’URSS potevano continuare a prosperare purché entro un quadro di attaccamento al sistema e senza un baricentro all’estero. E nel “Sistema Putin” i funzionari con incarichi svolti dentro un apparato complesso (non riducibile al concetto di “autocrazia”) possono avere sulle questioni economiche ideali, prassi e programmi anche radicalmente diversi, che Putin governa da una posizione centrista.
Ebbene, anche Trump ha scelto personalità leali, una squadra in cui la forza di ogni soggetto – scelto per la fedeltà – è bilanciata da un contropotere. Tra falchi e colombe, per evitare la paralisi interviene un arbitro che decide con poteri rafforzati, cioè Trump. Divide et impera.
Credo che questi elementi spieghino meglio di qualsiasi propaganda i sassi che smuovono lo stagno di Washington.

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