Trump svela il gioco mentre Zelensky scopre le regole

La storia americana è piena di presidenti che, anziché dare spettacolo in mondovisione, hanno preferito regolare i conti con mezzi più discreti e letali.

di Alberto Piroddi

Ah, che bello il giornalismo che scopre oggi quello che esiste da sempre. Donald Trump ha umiliato Zelensky in diretta TV e apriti cielo: tutti i giornaloni scandalizzati, i talk show in lutto, le editorialiste con il broncio. Pare che l’ex comico prestato alla geopolitica abbia scoperto, con una certa amarezza, che l’America non è il banco dei pegni e che gli assegni in bianco hanno una scadenza. Ma il punto non è che Trump abbia trattato l’Ucraina come un fastidio da liquidare con qualche frase sbrigativa e una promessa di pace che sa di resa. No, il vero scandalo per i custodi dell’ordine mediatico è che lo abbia fatto in diretta, senza filtri, senza la consueta patina di diplomazia ipocrita che per decenni ha permesso agli Stati Uniti di umiliare, minacciare e tradire i propri “alleati” nel comfort delle stanze chiuse, lontano dai riflettori.

Eppure, di cosa ci sorprendiamo? La storia americana è piena di presidenti che, anziché dare spettacolo in mondovisione, hanno preferito regolare i conti con mezzi più discreti e letali. John F. Kennedy, il mito progressista, usava la mafia per cercare di assassinare Fidel Castro e benediceva colpi di stato dall’altra parte del mondo. Lyndon Johnson non si limitava a insultare gli alleati: se serviva li sollevava per il colletto e li rimetteva al loro posto, come fece con il primo ministro canadese Lester Pearson. Nixon, oltre a essere un raffinato antisemita, ordinava alla CIA di sovvertire governi democraticamente eletti come quello di Salvador Allende in Cile. Ma questi erano statisti, giusto? Quelli che il potere lo esercitavano con “classe”, lontano dagli occhi indiscreti del pubblico.

Trump, invece, ha solo tolto la maschera a questo teatrino, mostrando quello che in realtà è sempre accaduto: l’America non ha amici, ha vassalli. E i vassalli servono finché fanno comodo. Poi vengono lasciati a terra con la stessa facilità con cui si spegne un sigaro. È successo in Vietnam, è successo in Afghanistan, succederà con l’Ucraina. Zelensky l’ha capito nel peggior modo possibile: con Trump che lo trattava come un postulante petulante, mentre la stampa americana iniziava a prenderlo per il buffone di turno. Qualcuno si è accorto del cambio di narrativa? Fino a ieri era il Churchill dei nostri tempi, oggi è un uomo fuori tempo massimo, che inciampa nel suo inglese malfermo mentre cerca di spiegare a chi ha già deciso di abbandonarlo che la guerra non può finire.

Ma la parte più comica di questo spettacolo resta l’indignazione selettiva di chi oggi si straccia le vesti per Trump ma non ha detto una parola sugli altri presidenti americani che, anziché sbeffeggiare alleati in mondovisione, si limitavano a deporli con la CIA o a usarli come carne da macello in guerre inutili. Gli stessi che si scandalizzano oggi per il cinismo di Trump sono quelli che hanno applaudito quando Biden ha umiliato l’Europa obbligandola a seguire la strategia suicida delle sanzioni contro la Russia. Quelli che si commuovono per Zelensky ma non hanno fiatato quando Netanyahu ha ricevuto 15 miliardi di dollari di armi in poche settimane per continuare il massacro a Gaza.

Dunque, se Trump è un gangster, lo è nella forma più che nella sostanza. Perché il vero gangsterismo, quello a cui il mondo si è ormai abituato, è quello che si pratica con i guanti bianchi, con un sorriso ipocrita e con la stampa a fare da megafono, pronta a indignarsi solo quando il copione viene rovesciato in diretta. Oggi tutti gridano allo scandalo perché Trump ha sbattuto la porta in faccia a Zelensky davanti alle telecamere. Ma nessuno dice una parola sul fatto che l’America, come sempre, sta per fare esattamente quello che ha sempre fatto: voltare pagina e lasciare che sia qualcun altro a raccogliere i cocci.

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