Trump e Netanyahu: deportazione, resort e occupazione permanente

Trump propone di deportare i palestinesi e “spianare Gaza” per farne un resort. Parla come un agente immobiliare, agisce come un colonialista, pensa da predatore.

di Francesca Fornario

Trump e Netanyahu hanno incontrato la stampa a Washington per illustrare il loro piano per la pace e l’ordine. Un pregiudicato condannato per 34 reati e un criminale di guerra. Cosa potrà mai andare storto?

Il piano consiste nel deportare i palestinesi e trasformare Gaza in un resort che Trump definisce «La Riviera del Medio Oriente». Ho ascoltato più volte, per capacitarmi dell’atroce soluzione finale annunciata col sorriso suadente dell’agente immobiliare. Vi riporto i passaggi fondamentali:

Trump ha dichiarato che gli Stati Uniti devono assumere la proprietà di Gaza e deportare per sempre altrove «Tutti i palestinesi dando loro un pezzo di terra bello e fresco. Fanno -7 gradi in Groenlandia.

I palestinesi sono 2,5 milioni ma quando Trump dice che vanno trasferiti “tutti” ne calcola 1,7 milioni. È il suo modo di ricordarci che il cessate il fuoco sta per finire.

«Gli Stati Uniti devono assumere la proprietà di Gaza e trasferire i palestinesi da qualche altra parte», dice Trump, aggiungendo che tutti quelli con i quali lui ne ha parlato «hanno adorato l’idea». A cominciare da Gesù.

Trump spiega che i palestinesi vivranno tranquilli anche nei paesi che al momento si dicono contrari all’idea di accoglierli. È l’unico passaggio del discorso in cui Netanyahu è sbiancato.

Trump suggerisce che possa essere l’Arabia Saudita a costruire nuove città dove trasferire i palestinesi. Se è disposta a pagare per sentire parlare Matteo Renzi, deve avere soldi da buttare.

Trump spiega che molti altri paesi nell’area sono pronti a investire nell’accoglienza dei palestinesi forzati a lasciare Gaza: la Giordania, L’Egitto, Il Qatar. Nordio suggerisce La Libia.

Trump dichiara: «In caso di necessità, gli Stati Uniti sono pronti a inviare truppe a Gaza». Se gli Stati Uniti ce lo chiederanno.

Trump ha spiegato che i palestinesi non vogliono stare a Gaza perché “è un posto sfortunato». È pieno di specchi rotti.

«Spianeremo Gaza e ci occuperemo di tutte le bombe inesplose». Assicurandoci che esplodano.

In risposta alla domanda “Con quale autorità pensa di fare una cosa del genere? Sta parlando di un’occupazione permanente dell’area?!” risponde candido: «Sì, prevedo una proprietà a lungo termine». Sapremo i dettagli quando il notaio aprirà il testamento.

In vista di quel giorno, il genero di Trump ha raddoppiato le quote nella società israeliana che costruisce villette per i coloni negli insediamenti illegali in Palestina. Jared Kushner, un giovane tutto case e famiglia.

Trump ha poi promesso che presto visiterà Israele, Gaza e l’Arabia Saudita. In un’unica tappa.

In definitiva, Trump è favorevole alla creazione nell’area di due stati. Uno israeliano e uno americano.

Trump assicura che rimuovendo i palestinesi e «spianando la striscia di Gaza» gli Stati Uniti porteranno «stabilità a quella parte del Medio Oriente e forse all’intero Medio Oriente». Come la volta in cui hanno bombardato gli afghani per dare la caccia a Bin Laden che era saudita e stava in Pakistan. Fuochino-fuocherello.

Dopo un periodo di transizione durato 13 anni, le truppe statunitensi si sono ritirate affidando il paese ai talebani in base a un accordo negoziato da Trump: «Il nostro compito è finito». Gli Afghani avevano dimostrato di sapersi massacrare da soli.

O la volta in cui hanno bombardato l’Iraq per colpire i laboratori di armi chimiche di Saddam sulla base di prove che si rivelarono false. Come potevano immaginare che quello fosse l’odore del kebab di montone marinato al coriandolo?

Un po’ agente immobiliare e un po’ broker dell’alta finanza, Trump si rivolge ai giornalisti sostituendo al lessico ipocrita della diplomazia quello più pittoresco di un film su Wall Street in cui si mangiano aragoste vive staccando la testa a morsi: “We will get the job done”, Quale lavoretto? “To take over Gaza”. Più che un protettorato, una scalata.
Trump parla di Gaza come se fosse una città incautamente costruita in zona sismica: «Gaza non è un posto dove le persone che ci vivono possono continuare a vivere! È un inferno, è il posto più pericoloso al mondo, i palestinesi rischiano di morire ogni giorno, è garantito che moriranno se resteranno, vedranno solo morte e distruzione, non possono continuare a vivere lì…». Non una parola sul fatto che Gaza è il posto più pericoloso al mondo perché le famiglie, le donne e i bambini che ci vivono vengono sistematicamente sfrattati dalle loro case, affamati, arrestati arbitrariamente senza processo e capo d’accusa, ammazzati dalle armi americane, le loro vite e tutto quello che possiedono polverizzato dai bombardamenti a tappeto dell’esercito israeliano. Non è stata l’eruzione di un vulcano, è stato il colonialismo, mentre qui si litigava sul termine da adottare per definire lo sterminio come fine o come mezzo.

Delle molte cose che pensavo mentre guardavo il video, una era la prima che ricordo di aver compreso riguardo a come gira il mondo: Troppi soldi rendono la gente stupida. È la ragione per la quale siamo l’unica specie il cui peggior predatore è rappresentato da esemplari della specie stessa. Non è la miseria dei molti che spinge l’uomo ad azzannare i propri simili per assicurarsi le risorse per sopravvivere: è la follia di chi ha troppo e per quel troppo avere impazzisce a innescare lo sterminio. Smette di sentire, pensare, vedere come sentono, vedono e pensano i suoi simili. Smettere di preoccuparsi per le cose che preoccupano gli altri, smettere di fare fatica, di emozionarsi, di sorprendersi per le cose che affaticano, emozionano, sorprendono i tuoi simili. Smette di mangiare, vestire, dormire, fare l’amore pisciare come gli altri. Smette di essere chi siamo e diventare l’invasore alieno dei romanzi di fantascienza: l’astronave per Marte diventa per te quello che per il resto del mondo è il trasporto pubblico. Un saggio struggente di Thorstein Veblen, La teoria della Classe Agiata, descriveva oltre un secolo fa questa alienazione: non l’alienazione marxista dei proletari ma quella senza ritorno dei capitalisti e della loro stirpe di mogli e figli e generi condannati dalla sorte a una cosa che continua a sembrarmi peggiore dello sfruttamento e della morte. La vita senza la vita.

Ci sentiamo alle 13.30 a Un giorno da pecora su rai radio1, teniamoci stretti, noi fortunati che sappiamo come si fa.

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