Marco Travaglio nel suo editoriale “Toti e le malefemmine” critica Giovanni Toti, sottolineando la sua appartenenza a una discutibile eredità politica berlusconiana e il suo ruolo nel “Sistema Liguria”, un sistema di potere che ha prosperato grazie al silenzio complice dei media e al consociativismo dei partiti. Travaglio associa la situazione in Liguria a una più ampia “questione morale” italiana, dove il clientelismo, la corruzione e il trasformismo politico dominano indisturbati, con Toti che rappresenta un esempio emblematico di queste pratiche.
* * *
Ora che Giovanni Toti s’è guadagnato il meritato terzo mandato (quello di cattura), l’unico stupore è che fosse rimasto a piede libero così a lungo. Mancava solo lui nella foto di gruppo degli ex-allievi della scuola berlusconiana di furto con scasso e/o mafiosità finiti in manette: Previti, Formigoni, Galan, Brancher, Verdini, Dell’Utri, Cuffaro, Cosentino, Matacena, D’Alì (altro che rimpiangere B.). Chiunque in questi nove anni abbia frequentato, anche di sfuggita, la sua Liguria, il sistema di potere che gli girava intorno l’ha respirato nell’aria. Il Fatto ha pubblicato decine di inchieste sul Sistema Liguria, che si è retto e ha prosperato anche grazie al silenzio più o meno prezzolato della stampa nazionale e locale e al consociativismo del principale partito di cosiddetta opposizione: il Pd. A parte i 5Stelle, l’unico esponente del centrosinistra che l’ha denunciato (anche in Procura) è Ferruccio Sansa, che prima di candidarsi contro Toti scriveva per noi dopo aver provato invano a farlo su vari giornaloni. Intanto i ras “progressisti” liguri lo deridevano come un “Don Chisciotte” solitario e velleitario.
La nuova questione morale partita dalla Puglia e proseguita a Torino e in Sicilia fa ora tappa in Liguria. Il comune denominatore, al di là del folklore delle fiches da casinò e delle escort da casino, sono i voti comprati (anche mafiosi); le mazzette elettorali di imprenditori che un tempo dovevano svenarsi per comprarsi i politici e adesso allungano loro mancette da straccioni; e il trasversalismo che tutto copre. E si esprime in due forme diverse: al Sud (vedi Puglia e Sicilia) trasformisti e voltagabbana si mettono all’asta migrando da destra a sinistra o viceversa per stare sempre con chi comanda, senza mai incontrare un buttafuori che li cacci sull’uscio; al Nord (vedi Piemonte e Liguria) il consociativismo centrodestra-centrosinistra garantisce i comuni affari e malaffari secondo la regola “una mano lava l’altra”, senza neppure la fatica dei traslochi. Mollata FI, Toti si era piazzato nella morta gora del “centro” per alzare il suo prezzo e far pesare meglio i voti raccattati come ora sappiamo. Un “centro” sempre osannato dai media come paradiso dei “moderati” e “riformisti” per nascondere la mangiatoia dei voti comprati e clientelari che lo alimentano artificialmente. Una mangiatoia che molti cittadini, anzi sudditi conoscono benissimo per averne ricevuto le briciole o perché sperano di assaporarle, il che spiega il successo nel voto locale di questi centrini senza capo né coda. Ora naturalmente il centrodestra, mentre cavalca le retate sul Pd in Puglia, strilla alla “giustizia a orologeria”. Ma qui l’unico rilievo che si può muovere all’orologio dei magistrati è quello di portare qualche anno di ritardo.
Il Fatto Quotidiano, 8 maggio 2024