TikTok, la farsa americana sulla privacy: il dito puntato mentre la luna brucia

Gli USA accusano TikTok di spionaggio cinese, ignorando che le loro big tech fanno lo stesso da anni. Ipocrisia geopolitica mascherata da crociata sulla privacy.

di Alberto Piroddi

C’è una cosa che gli americani sanno fare meglio di chiunque altro: pontificare. E non importa quanto siano marci i pilastri su cui si regge il loro sistema, loro riescono comunque a tenere lezioni agli altri con il tono compiaciuto del moralizzatore di professione. L’ultima crociata? TikTok, l’app cinese accusata di essere un’arma del Partito Comunista per spiare gli Stati Uniti e manipolare i poveri cittadini a stelle e strisce.

TikTok, secondo Washington, è “un grave rischio per la sicurezza nazionale” e “una minaccia alla privacy degli americani.” Dichiarazioni solenni, drammatiche, che sembrano uscite dalla penna di un pessimo sceneggiatore hollywoodiano. Ma c’è un piccolo problema: gli stessi Stati Uniti che si stracciano le vesti per i dati finiti (forse) in mano cinese sono i campioni mondiali di violazioni della privacy e di spionaggio digitale.

La privacy made in USA: il re è nudo
Che gli americani parlino di protezione dei dati è già di per sé grottesco. Stiamo parlando dello stesso Paese che ha costruito un intero impero tecnologico sul saccheggio sistematico delle informazioni personali. Facebook, Google, Amazon: non sono altro che aspirapolvere di dati personali, pronti a vendere al miglior offerente ogni dettaglio delle vite degli utenti, dai gusti musicali alle preferenze politiche.

E vogliamo parlare del governo americano? La National Security Agency (NSA) è stata sorpresa più volte con le mani nel sacco, spiando non solo i cittadini americani ma anche leader politici stranieri. Lo scandalo Snowden del 2013 ci ha mostrato che, quando si tratta di sorveglianza di massa, gli Stati Uniti non hanno rivali. Ma TikTok sarebbe il problema, giusto?

La farsa della sicurezza nazionale
La retorica sulla sicurezza nazionale, poi, è degna di una puntata di South Park. Secondo i legislatori americani, TikTok potrebbe essere usato dal governo cinese per raccogliere dati sensibili e “influenzare” gli utenti. Traduzione: ci si preoccupa che i cinesi scoprano che un adolescente del Michigan guarda video di gatti o che un influencer del Texas preferisce il caffè con latte di soia.

La verità è che non ci sono prove concrete che il governo cinese abbia mai usato TikTok per spiare o manipolare gli americani. Certo, ByteDance, la società madre di TikTok, raccoglie dati, ma nulla che non facciano già Facebook o Instagram. L’unica differenza? ByteDance è cinese. E negli Stati Uniti, basta questo per trasformare un’app in una minaccia esistenziale.

Ma se TikTok rappresenta davvero un rischio per la sicurezza nazionale, perché gli americani non hanno ancora approvato una legge seria sulla privacy? Perché negli Stati Uniti è perfettamente legale che un’azienda raccolga, analizzi e venda i tuoi dati. Il problema, quindi, non è TikTok, ma un sistema che permette alle big tech di fare il bello e il cattivo tempo. E su questo, guarda caso, il Congresso tace.

Il vero motivo dietro la crociata anti-TikTok
A proposito di silenzi: non sarà che questa crociata contro TikTok ha meno a che fare con la sicurezza e più con il denaro? TikTok ha rubato la scena a Facebook e Instagram, conquistando milioni di utenti, soprattutto giovani. Meta, il gigante dietro quelle piattaforme ormai in declino, non è rimasto a guardare. È stato infatti scoperto che la società di Mark Zuckerberg ha finanziato campagne per diffamare TikTok, spingendo l’idea che l’app cinese sia pericolosa.

E poi c’è la geopolitica. Gli Stati Uniti non tollerano l’idea che un’azienda tecnologica non americana domini il mercato globale. Dietro la retorica sulla privacy si nasconde una lotta per mantenere il controllo economico e culturale. TikTok è diventato il capro espiatorio perfetto, l’ennesimo pretesto per alimentare la retorica anti-cinese e giustificare politiche protezionistiche.

La lezione americana che non dobbiamo imparare
Ecco il punto: gli Stati Uniti non sono un modello da seguire quando si parla di privacy e regolamentazione tecnologica. Al contrario, rappresentano un esempio lampante di come non gestire il problema. Invece di affrontare la questione con serietà, hanno trasformato TikTok in una pantomima, un modo per distrarre il pubblico dai veri problemi.

Quello che serve, negli Stati Uniti come in Europa, non è una caccia alle streghe contro un’app, ma una regolamentazione seria che metta un freno al potere delle big tech, indipendentemente dal Paese di origine. Altrimenti, continueremo a fare esattamente quello che gli americani fanno meglio: parlare di privacy mentre i nostri dati vengono saccheggiati senza pietà.

E quando l’ultimo utente disinstallerà TikTok, cosa cambierà? Nulla. Google continuerà a sapere cosa compriamo, Facebook continuerà a dirci cosa votare e Amazon continuerà a spedirci pubblicità mirate prima ancora che abbiamo capito cosa desideriamo. Ma tranquilli, il problema era TikTok.

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