Marco Travaglio analizza la politica internazionale, mettendo in risalto le contraddizioni nelle alleanze occidentali. Travaglio evidenzia come figure di spicco come Charles Michel e Antony Blinken sembrano preferire alleanze con forze di estrema destra e intraprendere azioni simboliche, come suonare una chitarra a Kiev, piuttosto che affrontare le realtà dure del conflitto in Ucraina, rendendo la situazione geopolitica grottesca e pericolosamente paradossale.
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Per dire in che mani siamo, noi dell’Impero del Bene intendo, ecco due notizie che fanno ben sperare nella terza guerra mondiale. Il “liberale” Charles Michel, la testa più lucida dell’Ue (ma solo perché l’altra è la von der Leyen), dice che per le alleanze post-voto “conta solo la sostanza”. Cioè vanno bene “anche partiti definiti di estrema destra”, che vantano “personalità con cui si può collaborare”, purché “siano pronti a cooperare per sostenere l’Ucraina, difendere i principi democratici e rendere l’Ue più forte”. L’idea di allearsi coi nazifascisti per difendere la democrazia potrebbe apparire lievemente contraddittoria, ma non se per “principi democratici” s’intendono le armi all’Ucraina, che ha abolito i partiti di opposizione e schiera battaglioni neonazisti.
Il “democratico” Antony Blinken, la testa più lucida degli Usa (ma solo perché l’altra è Biden), ha reso visita a Zelensky (visto che Netanyahu ormai lo prende a calci) per preparare le esequie di Kharkiv e di qualche altro migliaio di giovani ucraini. Ma è apparso sorridente anche se, notano le gazzette atlantiste, un po’ “preoccupato” per la Caporetto in corso. Ha annunciato i nuovi armamenti, mentre Kiev segnala di aver “finito i soldati” e non ha più neppure le trincee perché i 170 milioni appena stanziati dalla Nato se li sono fregati i soliti corrotti locali. E, sulle ali del buonumore, ha imbracciato una chitarra e ha cantato un brano di Neil Young con una band punk-rock in un pub di Kiev. Purtroppo non s’è neppure accorto di aver scelto, del cantautore canadese, uno dei brani più feroci sulla società Usa: Rockin’ in the Free World. Alla fine della cantatina, con notevole senso dell’opportunità, ha salutato caramente i soldati ucraini, che “combattono anche per noi”, cioè per procura. E la cosa è molto piaciuta alla testa più lucida dell’italo-atlantismo, Paolo Mieli: “Blinken, a Kyiv, ha buttato via l’abito gessato e l’aria da bravo ragazzo e con jeans e maglietta è andato in un pub dove ha cantato Rockin’ in the Free World. Questa cosa ha fatto più per l’Ucraina che la promessa di nuove armi”. A saperlo prima, l’Occidente poteva risparmiare i 322 miliardi di dollari fin qui buttati per Kiev e, al posto, spedire chitarre elettriche e impianti karaoke. O magari organizzare Sanremo, l’Eurovision o Castrocaro sulla linea del fronte. Ma per gli esausti soldati ucraini sopravvissuti alla carneficina dev’essere stato un bel sollievo apprendere che Blinken canta e suona bene: un effetto elettrizzante paragonabile soltanto a quello della celebre visita di Marilyn Monroe 70 anni fa ai marines in Corea. Il guaio è che la voce si è sparsa anche fra le truppe russe, che stanno accelerando la marcia su Kiev via Kharkiv per non perdersi il prossimo concerto.
Il Fatto Quotidiano, 16 maggio 2024