Tasse? No, è solo un “allineamento tecnico”. Così Giorgia Meloni ci prende per fessi

Giorgia Meloni inganna gli italiani: le tasse aumentano sotto nomi come "allineamento tecnico". Tagli ai servizi e vantaggi per banche, mentre i più deboli affondano

La farsa continua, e gli italiani applaudono. Non c’è aumento delle tasse, almeno non secondo il vocabolario creato ad hoc dalla premiata ditta Meloni-Giorgetti. Le accise sul diesel? “Allineamento”. L’IVA su beni di prima necessità? “Aggiustamento tecnico”. Le detrazioni ridotte? Un “riordino delle spese”. Chiamateli come vi pare, ma rimangono tasse. Solo che a molti piace di più sentirsi ingannati con parole altisonanti e ambigue.

Non c’è niente di nuovo sotto il sole. Siamo maestri mondiali nell’arte dell’eufemismo, ma questa volta si è raggiunto il livello dell’assurdo. Gli stessi italiani che solo due anni fa maledicevano i governi Conte e Draghi per ogni minima pressione fiscale, ora sembrano accettare docilmente una rapina a mano armata, ma con un sorriso sulle labbra. Perché? Perché Giorgia Meloni ha avuto l’abilità di travestire il furto come un dovere patriottico, e ha saputo far leva su un popolo che, ormai, crede a tutto.

Siamo alla follia. Le accise, che dovevano essere cancellate – lo aveva promesso Meloni stessa in campagna elettorale – sono state “allineate”. Qualcuno ha avuto la temerarietà di chiedere: “Ma non si poteva allineare al ribasso, cioè la benzina al diesel?”. La risposta è un misto di retorica e silenzio assordante da parte del governo.

Ma la realtà è dura e spietata. Mentre le chiacchiere di Giorgetti e dei suoi accoliti volano, il portafoglio si svuota. E le detrazioni? Ah, quelle sono un altro capolavoro. “Non ci sono aumenti delle tasse”, ci assicurano, ma se ti permettono di detrarre meno, significa una sola cosa: pagherai di più. È aritmetica di base. Eppure, ogni tentativo di farlo notare viene stroncato sul nascere. Siamo arrivati al punto in cui chiunque cerchi di ragionare viene tacciato di essere “sinistro” o “comunista”, il peggior insulto immaginabile nel dizionario della destra meloniana.

Vogliamo parlare dei “tagli lineari” che Meloni e Giorgetti sbandierano come prova della loro “serietà”? C’è chi ha davvero pensato che il governo stesse tagliando i propri stipendi o eliminando qualche cugino raccomandato nei ministeri. Ebbene, no. I tagli riguardano i servizi pubblici, quelli di cui usufruiamo tutti. Trasporti, sanità, enti locali, tutti destinati a peggiorare. Ma a chi importa? Basta un titolo sui giornali che annuncia “tagli ai ministeri” e il popolo è placato. Intanto, i soliti noti continuano a guadagnare, e noi paghiamo sempre di più per servizi sempre peggiori.

Poi c’è il capitolo disabilità. Nel 2019 i fondi per i disabili ammontavano a oltre 700 milioni di euro, ma sotto il governo Meloni questi sono destinati a crollare a un ridicolo 231 milioni previsti per il 2025. Ma tranquilli, perché “non ci sono aumenti delle tasse”. Certo, perché tagliare ai più fragili non è considerato un aumento. È solo un “riordino delle priorità”.

Ecco quindi il gioco che la Meloni ha perfezionato: cambiare le parole per far passare il messaggio che tutto va bene, mentre in realtà sta scavando un buco sempre più profondo per chi già stenta a far quadrare i conti a fine mese. E non è solo lei, naturalmente. Anche il fido Giorgetti e i vari ministri, da Salvini a Urso, ripetono lo stesso copione: sacrifici sì, ma solo per i soliti noti.

Il più grande paradosso è che, mentre noi, il popolo, siamo chiamati a fare sacrifici su sacrifici, le banche, le assicurazioni e le grandi imprese godono di regimi fiscali privilegiati. Si parla di “prestiti” delle banche al governo, anticipando le imposte che dovrebbero pagare nei prossimi anni. Tradotto: non pagheranno nulla, almeno non subito. E noi, invece, paghiamo. Sempre. E continuiamo a farlo con una sorta di masochismo collettivo.

La verità è che ci hanno tolto anche la capacità di arrabbiarci. E quelli che ancora ci provano vengono messi a tacere con una violenza verbale che ha dell’incredibile. Viviamo in un paese in cui chi cerca di far ragionare viene silenziato a suon di accuse e insulti. Un paese in cui chiunque provi a difendere i più deboli viene etichettato come un nemico del popolo.

Non c’è più spazio per il confronto, per la riflessione, per l’analisi. C’è solo spazio per l’indignazione cieca e sorda, quella che scatta ogni volta che qualcuno osa mettere in discussione la narrazione dominante di questo governo di destra, che sta gettando l’Italia nel baratro economico e sociale. E così, mentre Meloni e Giorgetti accumulano consenso giocando con la semantica, la classe dirigente si arricchisce e la disuguaglianza cresce.

Non c’è speranza? Forse. Ma la cosa più inquietante è che, in fondo, molti sembrano aver perso anche la voglia di sperare. Preferiamo nasconderci dietro slogan vuoti e di circostanza piuttosto che affrontare la cruda realtà: siamo un popolo che ha smesso di lottare.

A.P.

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