di Francesco Casula
Carsicamente, in questi ultimi anni, riemerge la proposta, fatta da un Comitato, capeggiato dal prof. Giuseppe Melis Giordano, di spostare la statua di Carlo Felice. Recentemente è stato proposto da un consigliere comunale di Cagliari Giuseppe Farris, con argomentazioni non peregrine.
1. Le obiezioni a tale proposta sono sostanzialmente due: una che non vale la pena di discutere: è quella dei “benaltristi”. Ovvero di chi ritiene che “ci siano cose più importanti”. Viene fatta, in genere, da emeriti cialtroni ignavi e pavidi, che si guardano bene dal fare alcunché, ma hanno sempre da ridire, a chiacchiere, contro chi fa e agisce. Lasciamoli cuocere nel loro brodo: già Dante li disprezzava perché si tratta di “Sciaurati, che mai fur vivi”.
2. Merita invece maggiore attenzione l’obiezione secondo cui chi propone lo spostamento, vorrebbe cancellare la storia. Con la storia quella statua non c’entra niente.
Le statue dei tiranni, peraltro volute e innalzate da loro stessi o dai loro pretoriani ed ascari, ma certamente non dai popoli, si abbattono. Così è stato storicamente. Bene: che facciamo a fronte della statua di Carlo Felice, che ancora campeggia, in bella mostra, al centro di una Piazza della capitale della Sardegna? La lasciamo dove sta, perché ormai fa parte della storia e dell’architettura cagliaritana?
Io penso di no. Nella storia non c’è niente di irreversibile. Né di intoccabile. Anche perché la storia non è necessariamente un processo razionale, come pensava e teorizzava il grande filosofo tedesco Georg Wilhelm Friedrich Hegel (ciò che è reale è razionale). Dunque oggi, se i cittadini cagliaritani e i suoi rappresentanti lo vogliono, si può decidere di “correggere” un errore storico.
Le statue i popoli le innalzano e le dedicano ai loro eroi, a sas feminas e a sos omines de gabale (alle donne e agli uomini di valore): non ai loro carnefici. Quella statua è un insulto, un offesa per l’intero popolo sardo ma soprattutto per le centinaia di vittime: di democratici e patrioti sardi, impiccati, fucilati, condannati al carcere a vita, perseguitati. Solo perché combattevano per la libertà. Contro l’odioso sistema feudale e la tirannide di Carlo Felice il peggiore fra i sovrani sabaudi. Egli infatti da vicerè come da re fu crudele, feroce e sanguinario (in lingua sarda incainadu), famelico, gaudente e ottuso (in lingua sarda tostorrudu). E ancora: Più ottuso e reazionario d’ogni altro principe, oltre che dappocco, gaudente parassita, gretto come la sua amministrazione, lo definisce lo storico sardo Raimondo Carta Raspi. Mentre per un altro storico sardo contemporaneo, Aldo Accardo, – che si basa sulle valutazioni di Pietro Martini – è Un pigro imbecille.
Scrive il Martini (peraltro storico filo monarchico e filo sabaudo): “Non sì tosto il governo passò in mani del duca del Genevese, la reazione levò più che per lo innanzi la testa; cosicché i mesi che seguirono furono tempo di diffidenza, di allarme, di terrore pubblico”.
Rimuovere la statua di un tiranno significa dunque dimenticare la storia? Sconvolgere l’architettura di Cagliari?
Noi del Comitato proponiamo di “rimuovere” la statua per collocarla in un Museo: non di abbatterla. La riteniamo infatti un “manufatto”, persino con elementi di “bene culturale”, architettonico, scultorio. È dunque giusto che venga conservato e non distrutto. Ma non esibito. Esposto in una pubblica Piazza. Come fosse un eroe da omaggiare e non un essere spregevole oggetto di sprezzo e ludibrio.
Lo spostamento di quella statua, sarebbe un evento formidabile per l’intera Sardegna: innescherebbe processi di nuova consapevolezza identitaria e di autostima. E insieme – dato a cui sono estremamente interessato – potrebbe favorire il risveglio e l’interesse per la storia sarda.