L’ANALISI • DALLA PADELLA ALLA BRACE?
di Fabio Mini
Le aspettative e le illusioni di avere il privilegio di assistere da una comoda poltrona all’ennesima guerra europea finalmente in chiave moderna, anzi post-moderna, futuribile perché tecnologica, razionale, limitata, lontana e per “conto terzi”, sono state disattese. La guerra in Ucraina si è rivelata il solito tritacarne straripante di cinismo e ideologia. I pochi vecchi sopravvissuti della Guerra mondiale ci hanno rivisto le brutture già sofferte. I veterani della Guerra fredda hanno rinverdito i ricordi e le tecniche di analisi dei conflitti contando i tank e le brigate corazzate con il latente terrore che potesse succedere una catastrofe. Questa guerra ci ha dimostrato una volta di più che dalla storia s’impara poco e dalla guerra quasi nulla. Ma come se non bastasse un salto all’indietro di un secolo, in questi giorni la guerra ci offre l’opportunità di un salto di 7-8 secoli: il ritorno dei mercenari, delle compagnie di ventura, anche se i capitani di oggi non brillano per intelligenza e coraggio come alcuni del passato. Il mercenariato era quasi scomparso dai campi di battaglia con l’avvento della guerra di popolo, con la costituzione di eserciti nazionali e con lo scontro fra Stati e non tra religioni o casate. Rimanevano alcune organizzazioni di soldati di ventura che in realtà erano formazioni paramilitari per compiti che i governi non potevano assolvere apertamente. Con la professionalizzazione delle forze armate in quasi tutto il mondo si è anche avviata la privatizzazione della guerra e la costituzione delle compagnie private militari o di sicurezza. Gli eserciti professionali hanno bisogno di una componente operativa giovane e le compagnie private sono diventate il serbatoio legale dove inserire i congedati. La “sistemazione” dopo il servizio volontario per 3, 6 o 12 anni è stata vista come un ammortizzatore sociale per le forze regolari e come un contributo statale alle imprese private che così hanno a disposizione personale addestrato. L’esercito inglese ha istituzionalizzato tale passaggio mentre tutti gli altri paesi mantengono i rapporti con le compagnie private sia con contratti miliardari sia fornendo personale specializzato sia inserendo ufficiali e generali nei loro vertici. La logica di questo mercenariato è quindi il mutuo profitto, ma l’impiego dei mercenari da sempre pone dei problemi non soltanto etici, ma di affidabilità. Ci sono mercenari che hanno un limite contrattuale in relazione ai compiti e ai rischi. Quello di morire per un contratto deve esser remunerato molto bene, ma ci sono mercenari che pur di ammazzare pagherebbero loro. In Ucraina i mercenari isolati e quelli dipendenti da compagnie private sono stati inseriti in unità controllate dal ministero dell’Interno e della Difesa, che tuttavia garantiscono l’impunità per eventuali crimini. I fondi per mantenere questi combattenti internazionali sono gli stessi dati all’Ucraina perché “si difenda”. In Russia il gruppo Wagner è nato nel 2014 esattamente come gli altri statunitensi e inglesi: assolvere compiti pubblicamente non affidabili alle forze armate, costituire sbocco “occupazionale” per i congedati e arricchire i vertici. Durante la guerra in Ucraina, Wagner è intervenuto su mandato di Putin con la garanzia che le forze armate regolari lo avrebbero sostenuto. Questo non è stato molto gradito dai vertici militari, che hanno anche assistito sul campo ai soprusi dei mercenari e soprattutto hanno visto affluire nelle loro file anche personale non scelto e perfino criminali. Il capo di Wagner, Prigozhin, ha aperto quasi subito un forte contrasto con l’esercito e manifestato velleità politiche non in linea con le intenzioni di Mosca. Nel braccio di ferro sulla questione di Bakhmut, lo stesso Putin ha mostrato diffidenza nei riguardi del gruppo che sempre di più si presentava disponibile “al miglior offerente”. Prigozhin di fatto si qualificava come un signore della guerra autonomo con una milizia privata numerosa che aveva mire di potere su tutto il Donbass. Gli stessi capi delle due repubbliche Lugansk e Donetsk temevano più i progetti di Prigozhin che quelli di Zelensky. La rivolta di questi giorni e l’accenno di marcia su Mosca sono gli sviluppi “naturali” di bande e signori della guerra fuori controllo.
Tuttavia la Russia ha una minaccia interna armata – anche se con scarsi rifornimenti – ben più grave dell’offensiva ucraina. Non si tratta solo di un “traditore” a capo di 25mila uomini che si ribellano, ma di quanti all’interno delle strutture di potere e dall’esterno del Paese lo sostengono e appoggiano una dimostrazione di forza per scardinare l’intero sistema. Nonostante l’evolversi della situazione, restano i presupposti perché quanto anticipato da Stati Uniti e Gran Bretagna nei riguardi del piano di eliminazione del potere di Putin si avveri nonostante le incognite che tale piano comporta. Non sarebbe peregrino, ma nemmeno razionale che un tale piano fosse stato affidato a un inaffidabile contestatore e alla sua banda armata. Ma non sarebbe una novità. I mujaheddin afghani e gli stessi Talebani ricevettero l’aiuto di Usa e Pakistan contro il governo filosovietico. Ci sono i presupposti perché l’Ucraina e i suoi sponsor occidentali approfittino della crisi interna russa per una spallata. Ma la reazione russa potrebbe non essere simmetrica o proporzionale. Di certo ci sono preoccupanti segnali che gli ultimi gravi eventi non siano casuali o indipendenti. L’offensiva ucraina che parte nelle stesse ore della distruzione della diga; Wagner che dopo aver lasciato il campo di Bakhmut alle truppe regolari con tanto di cerimonie le attacca; l’offensiva che perde e macina tutti i migliori armamenti occidentali e gli Stati Uniti che non chiedono agli alleati d’inviare armi, ma promettono altri miliardi di dollari. Quale è il piano di Prigozhin oltre all’ovvia mira politica? Vuole una parte di “quei” miliardi o altri miliardi di rubli? Vuole la testa dei generali o quella di Putin? E a chi vuole esibire le teste mozzate? Al popolo russo o agli ucraini e alla Nato? Di certo si rende conto che la sua minaccia è anche la sua condanna, ma quali promesse e garanzie ha ricevuto per un cambio di bandiera e da chi? In questo momento si può misurare quanto Putin e i suoi contino e quali siano le prospettive. Se si trattasse di un tentativo di golpe interno, ci sarebbe poi l’incognita della successione e della possibile guerra civile. Prigozhin o simile al posto di Putin non è un sogno per nessuno. Se si trattasse di un tentativo colpo di Stato eterodiretto, la folla di leader occidentali guerrafondai una volta festeggiata la riuscita dovrebbe occuparsi dell’incubo per l’Europa nelle loro mani di una Russia sconfitta, ma non debellata. Se invece il putsch non riuscisse, come pare, lo sviluppo più probabile sarebbe la ripetizione di qualcosa già accaduto in Russia. Nel 1698 ai reggimenti di truppe scelte degli streltsy che da Mosca erano stati mandati a combattere contro i turchi ai confini con la Crimea furono promessi soldi, terreni e il rientro alle proprie case. Furono invece trasferiti a 500 chilometri dalla Capitale e nessuna garanzia per il futuro. Mentre lo zar era in missione in Europa, quattro reggimenti (4000 uomini) durante il trasferimento da Azov deviarono su Mosca con l’intenzione di eliminare i boiardi e mettere sul trono la ex-reggente Sofia. La rivolta fu domata dal generale scozzese Patrick Gordon, già tutore di Pietro, e dopo le prime indagini 57 ufficiali streltsy furono condannati a morte mentre il resto fu mandato in esilio. Al suo rientro a Mosca, Pietro non si accontentò dei provvedimenti e avviò un’altra indagine sui responsabili e sui mandanti. Gli streltsy ribelli e quelli di stanza a Mosca furono torturati, messi in graticola, ridotti a brandelli, ebbero gli arti spappolati, furono accecati, messi alla ruota e sepolti vivi. Furono costretti a confessare anche il falso e la punizione fu feroce. Furono giustiziati 1182 soldati. Altri 601 furono marchiati a fuoco e mutilati. Nel 1699 il corpo degli streltsy fu sciolto. Un anno dopo Pietro revocò il provvedimento e li mandò a combattere nella campagna nordica dove si distinsero per disciplina e coraggio. Se Pietro avesse scoperto che i mandanti della rivolta e i loro complici erano esterni, la sua spietata punizione si sarebbe rivolta anche all’Europa. Si dice che Putin abbia come modello proprio lo zar Pietro, che rese grande la Russia e se stesso con le riforme e i negoziati e non grazie ai suoi oltre due metri d’altezza o alle guerre. Ma nel mondo non ci sono più gli zar di una volta.
Il Fatto Quotidiano, 25 giugno 2023