Karl Popper ci aveva avvertiti. E non ieri, ma quasi ottant’anni fa. Ne La società aperta e i suoi nemici spiegava che le democrazie muoiono non tanto per l’assalto dei barbari, ma per la manipolazione interna della verità. Diceva che il problema non sono solo i dittatori, ma anche i cosiddetti “democratici” che si rifiutano di sottoporre a verifica critica le proprie convinzioni, trasformandole in dogmi. E cos’è la nostra Europa oggi, se non una società che ha rinnegato lo spirito critico in nome dell’adesione cieca a una narrazione prefabbricata?
Popper diceva anche che una società aperta deve fondarsi sul dibattito razionale, sul confronto, sulla falsificabilità delle proprie tesi. Ma qui ormai siamo al pensiero unico. L’Unione Europea ha scelto la strada del dogmatismo: chiunque metta in discussione l’invio di armi all’Ucraina è un traditore; chiunque osi criticare Israele è un terrorista; chiunque non si genuflette davanti alle élite globaliste è un pericoloso populista. Tutto ciò che non rientra nel racconto ufficiale viene squalificato a priori, senza discussione, senza argomenti, senza possibilità di replica. E chi lo fa? Proprio quelli che si riempiono la bocca di “democrazia liberale”.
Ecco il cortocircuito. Da un lato, ci dicono che la guerra in Ucraina va avanti perché è una battaglia tra autocrazia e libertà. Dall’altro, la libertà di esprimere un’opinione diversa viene repressa, censurata, criminalizzata. Quindi l’Europa difende la democrazia vietando il dissenso? La NATO protegge la libertà impedendo la libertà di critica? Lo stato di diritto si tutela vietando ai cittadini di mettere in discussione la politica estera dei loro governi? Popper avrebbe riso in faccia a questi ipocriti. O forse avrebbe pianto.
E poi, il tema dell’ingenuità storica. Popper era chiaro: “Coloro che ci promettono il paradiso in terra non hanno mai prodotto altro che l’inferno.” È la storia di ogni guerra giustificata con la retorica morale. Dal Vietnam all’Iraq, dalla Libia all’Afghanistan, e oggi in Ucraina: ogni volta ci raccontano che è una lotta tra il Bene e il Male. E ogni volta finisce nello stesso modo: con milioni di morti, paesi devastati, intere popolazioni condannate alla miseria. Chi ci governa non impara mai nulla. O forse impara benissimo, ma ha interessi diversi dai nostri.
Popper parlava anche di società chiuse, quelle dominate dal pensiero tribale, dalla logica amico-nemico, dall’incapacità di accettare il dissenso. E cosa abbiamo oggi in Europa? Un’élite politica che ha chiuso ogni spazio di discussione, che non tollera deviazioni dalla linea ufficiale, che ripete ossessivamente gli stessi slogan senza mai accettare di metterli alla prova. “Putin è il nemico”, “Israele si difende”, “La NATO è la garanzia di pace”, “L’Ucraina deve vincere”. Ma vincere cosa? A che prezzo? Con quali prospettive? Domande vietate. Vietate perché il pensiero critico è stato sostituito dalla propaganda.
Se oggi Karl Popper fosse vivo, probabilmente sarebbe etichettato come filo-russo, o filo-palestinese, o chissà quale altra idiozia. Perché direbbe una cosa semplice: una società libera deve sempre mettere in discussione le proprie certezze, deve essere capace di autocritica, deve rifiutare il dogmatismo. E invece, in questo Occidente che si autoproclama “culla della democrazia”, il dogma è tornato a regnare sovrano. Chi dissente viene isolato, chi pone domande viene messo al bando, chi prova a ragionare viene bollato come “pericoloso”. Il risultato? La libertà muore, ma con il sorriso sulle labbra e la bandiera della NATO in mano.
E allora, alla fine, Popper aveva ragione. La democrazia si difende con il pensiero critico, non con la censura. Si tutela con la trasparenza, non con la propaganda. Si rafforza con la verità, non con la menzogna. Se l’Europa vuole sopravvivere, deve tornare a essere una società aperta. Ma per farlo, deve prima trovare il coraggio di guardarsi allo specchio.