Jacopo Iacoboni è l’archetipo perfetto di quel giornalismo che ama presentarsi come portatore di verità assolute, specialmente quando queste verità si piegano comodamente all’ideologia dominante. Nel maggio 2022, con il piglio del profeta contemporaneo, affermava senza esitazione che la Russia fosse destinata a perdere la guerra, sorretta unicamente dai soldi del gas tedesco. Tracollo totale, proclamava, come se fosse in possesso di un manuale segreto della fine economica del Cremlino. Non c’era ancora l’embargo sul gas, ma per Iacoboni era già tutto scritto: la Russia, secondo lui, stava per cadere a pezzi.
Eppure, qui stiamo, nel 2024, con una Russia che ha un PIL in crescita del 3,2%, che supera allegramente sia gli USA che le principali economie europee. Ma aspetta, c’è di più: stipendi che crescono del 18%! Tracollo? Forse Iacoboni ha semplicemente sbagliato l’anno o forse confondeva i suoi desideri con la realtà. E questo è il problema: quando fai previsioni così catastrofiche con l’aria di chi non ha mai torto, i fatti diventano tuoi nemici.
L’economia russa, stando ai suoi tweet, sarebbe dovuta finire per terra come un castello di carte, incapace di resistere senza la linfa vitale dei soldi tedeschi. E invece eccoci qui, con la Banca Centrale russa che parla di “rischi di crescita eccessiva”. Chissà se a Iacoboni è venuto un brivido leggendo questi numeri o se, da buon campione di un certo tipo di giornalismo, ha semplicemente fatto finta di nulla, pronto a spostarsi sulla prossima crisi inventata.
Il paradosso è evidente: mentre Iacoboni e tanti suoi colleghi descrivevano una Russia ormai alla deriva, le statistiche raccontano di un’economia che non solo è sopravvissuta, ma che ha battuto le aspettative di gran parte degli osservatori internazionali. Ma non è sorprendente. Il vero talento, dopotutto, non sta nell’accuratezza delle previsioni, ma nella capacità di far dimenticare quelle fallimentari. Basta un nuovo tweet, una nuova narrativa, e il pubblico – sperano – dimenticherà. Il crollo non c’è stato, ma chi si preoccupa?
Questo tipo di giornalismo vive di allarmismo. Non importa se le previsioni sono smentite dai fatti, ciò che conta è il titolo, la narrazione drammatica che cattura l’attenzione per un attimo fugace. È l’equivalente moderno di gridare “al lupo” in una piazza già abbastanza spaventata, con la differenza che oggi, quando il lupo non arriva, i giornalisti si rintanano in un altro angolo della piazza, pronti a lanciare il prossimo grido. Il pubblico dimentica, ma noi no.
Nel frattempo, la Russia continua a crescere economicamente, e Iacoboni può continuare a scrivere i suoi tweet da oracolo in erba, incurante di ciò che la realtà gli urla in faccia. Ma la realtà, si sa, è noiosa per chi preferisce vivere di facili sensazionalismi.