L’Europa che non c’è si riscopre ogni giorno un po’ più inconsistente, ma sempre con una gran voglia di parlare. Ogni crisi diventa l’occasione per sventolare lo spettro di un’Unione forte, coesa, autonoma, che però non esiste. Da anni sentiamo lo stesso ritornello: più connessioni, più coesione, più opportunità, più tutto. Eppure, l’unica cosa che aumenta davvero è il divario tra la retorica e la realtà. Da una parte ci si riempie la bocca con il sogno europeo, dall’altra si accettano senza fiatare decisioni prese altrove, come sempre.
Oggi si dice che l’Europa deve farsi sentire perché il momento è “delicato”, che bisogna difendere un’idea alta di Europa. Peccato che nessuno riesca a spiegare quale sia questa idea, a parte un vago europeismo di bandiera da sfoderare a comando, mentre le decisioni che contano si prendono a Washington. Non c’è mai stata un’Europa autonoma, ma nemmeno una che abbia il coraggio di ammetterlo. Si parla di connessioni, ma l’unica cosa che connette l’UE è la sua dipendenza strutturale dagli Stati Uniti. Si parla di opportunità economiche, ma nel frattempo il vecchio continente viene spremuto tra recessione e guerre che non decide. Si parla di sicurezza e strategie, mentre si assiste passivamente al proprio svuotamento industriale e politico. Si parla, sempre e comunque, perché è l’unica cosa che si sa fare.
Gli stessi che oggi si affannano a difendere un’Europa immaginaria sono gli stessi che per anni hanno accettato tutto: i diktat finanziari che hanno strangolato interi paesi, la subalternità economica che ha messo in ginocchio interi settori produttivi, la distruzione di ogni idea di indipendenza politica. Ed ecco che oggi, dopo aver predicato la sudditanza, si scopre che l’Europa dovrebbe contare di più. Ma come? Con quali strumenti, con quali alleati, con quali scelte? Se l’unica risposta è continuare a recitare la parte della provincia fedele dell’impero americano, allora la farsa è completa.
L’Europa ha una sola possibilità per esistere davvero: smettere di fingere che il potere si costruisca a colpi di dichiarazioni e vertici inconcludenti. La credibilità si misura nelle scelte, e finora l’unica scelta fatta è stata quella di restare sempre un passo indietro rispetto a chi comanda davvero. Perché chi comanda parla poco, decide molto e non ha bisogno di spiegare ogni giorno a se stesso che esiste.