Il Partito Democratico (PD) sembra ormai uno spettro della politica italiana, intrappolato in una costante confusione ideologica e pratica. La recente risoluzione del Parlamento sui missili contro la Russia ha mostrato quanto possa essere frammentato un partito che dovrebbe, almeno sulla carta, rappresentare una forza coesa di opposizione. Elly Schlein aveva detto “no”, ma il PD è riuscito a votare “sì” in otto modi diversi, portando la parodia di un partito democratico all’apice della sua schizofrenia.
Il PD ha sempre vissuto di contraddizioni interne, ma ora sembra superarsi. L’altro episodio surreale è legato alla nomina del Consiglio di Amministrazione (Cda) della Rai, una questione che ha portato il PD sull’Aventino politico. Da una parte si attacca la riforma Renzi che loro stessi avevano votato nel 2015, dall’altra si rifiutano di partecipare alle elezioni per il rinnovo del Cda Rai, permettendo così alla destra di avere campo libero. La decisione di non votare è stata giustificata con il ricorso al Tar contro le modalità di elezione, ma non ha fatto altro che offrire l’intera partita su un piatto d’argento alla maggioranza di governo.
È ormai evidente che il PD non riesce a trovare una via di fuga dalle trappole che esso stesso ha creato. La loro partecipazione sporadica e frammentata alle questioni centrali del paese non è solo un sintomo di debolezza, ma di vera e propria incapacità strategica. Se il partito si considera ancora una forza di opposizione rilevante, deve spiegare come mai si rifiuta di intervenire in momenti cruciali come quello delle nomine in Rai, lasciando la maggioranza a fare il pieno delle poltrone.
Ma non è solo questione di Rai. La destra, accusata di “occupare” la televisione pubblica, ha semplicemente applicato la legge voluta dallo stesso PD. L’ironia è che la legge è stata concepita per garantire un equilibrio di potere tra maggioranza e opposizione, ma ora viene sfruttata da chi governa per rafforzare il proprio controllo. Invece di opporsi con proposte concrete e strategie di lungo termine, il PD si ritira dalle decisioni più importanti, lasciando agli altri il compito di governare la narrazione pubblica.
Questa mancanza di leadership è evidente anche nella disorganizzazione interna del partito. Il continuo oscillare tra posizioni diverse, la mancanza di una linea politica chiara, e l’incapacità di prendere decisioni forti stanno erodendo quel poco di credibilità che resta. Schlein può dichiarare “no”, ma il partito fa il contrario, dimostrando che nessuno segue una direzione unitaria. La tragicommedia si completa quando si osserva che persino figure vicine al PD riescono a ottenere poltrone anche quando il partito si astiene dalle elezioni. È come se il PD fosse diventato l’esempio perfetto di ciò che non dovrebbe essere una forza politica: un insieme di interessi personali e frammentazioni che si mascherano dietro una facciata democratica.
In questo quadro desolante, altri partiti di opposizione sembrano più abili a navigare le acque turbolente della politica italiana. Il Movimento 5 Stelle, ad esempio, pur criticando la “schiforma” Renzi, ha scelto di partecipare alla nomina del nuovo Cda Rai, riuscendo a portare una propria figura, l’avvocato Di Majo, all’interno dell’organo decisionale. Anche Alleanza Verdi e Sinistra (Avs) ha seguito la stessa linea, riuscendo a ottenere un posto per Roberto Natale, ex portavoce della Boldrini. In questo caso, sembra che l’opposizione, invece di giocare ai capricci infantili, abbia fatto politica in modo pragmatico.
Il PD sembra dunque avviato a una fase di irrilevanza politica, incapace di prendere posizioni ferme e coerenti, oscillando tra scelte contraddittorie e strategie di corto respiro. Ogni volta che il partito si astiene, ogni volta che evita il confronto diretto, contribuisce a rafforzare la posizione della maggioranza. La destra ha capito come sfruttare questa debolezza, e lo fa con precisione chirurgica, senza troppi scrupoli. Ma la responsabilità di questa deriva non è solo della destra: è anche di un partito che sembra non riconoscere più la propria missione politica.
Il risultato è una classe politica che si contorce su se stessa, incapace di agire. La sinistra italiana, rappresentata dal PD, appare ormai una nave alla deriva, senza un timone e senza un capitano capace di riportarla in rotta. L’incapacità di agire, il continuo evitare le responsabilità e la mancanza di una visione chiara non sono altro che i sintomi di un partito che ha perso il contatto con la realtà del paese e con i propri stessi valori fondativi.
Nel frattempo, l’opposizione reale – quella che non gioca agli asili politici – continua a costruire la propria presenza, a tessere reti e a cercare di influenzare le decisioni cruciali, anche nei limiti imposti dalle leggi fatte da chi ora le disconosce. Il PD farebbe bene a prendere esempio da chi non si arrende alle dinamiche infantili del potere, se vuole tornare a essere un attore rilevante nella politica italiana.