Carl von Clausewitz affermava che la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi, ma la sconfitta di una potenza nucleare come la Russia o di un’idea come Hamas è irrealistica. Clausewitz riconosceva l’indipendenza della guerra dalla politica, evidenziando l’escalation militare come variabile indipendente. La sicurezza con cui l’Occidente crede di controllare il rischio in uno scontro tra potenze nucleari è storicamente infondata. La nomina di Mark Rutte alla Nato e il ruolo della Polonia nell’UE evidenziano un progetto economico a favore dei creditori, non della sicurezza europea. Le guerre sono reazioni paranoiche dell’Occidente per preservare l’egemonia economica, più che difesa della libertà. Un compromesso politico-diplomatico potrebbe salvaguardare l’egemonia occidentale, ma i poteri finanziari occidentali sembrano considerarlo impossibile, preferendo una guerra a bassa intensità per frenare l’espansionismo economico delle potenze emergenti, accettando anche il rischio nucleare.
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di Elena Basile
Carl von Clausewitz, teorico militare prussiano del diciannovesimo secolo, come si sa, affermava che la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi. Dietro questa frase si nasconde la fiducia che, sulla base delle analisi realistiche, esistono conflitti che perseguono obiettivi razionali. Dobbiamo chiederci se la sconfitta della Russia, potenza nucleare, possa mai essere un obiettivo perseguibile. Allo stesso modo potremmo chiederci se la sconfitta di Hamas, organizzazione terroristica per la liberazione della Palestina dall’occupazione israeliana, sia realisticamente plausibile. Hamas è un’idea che permarrà finché ci saranno palestinesi sotto occupazione, martoriati, oggetto di discriminazioni e delle più grandi ingiustizie della terra.
Clausewitz riconosceva che le guerre hanno la loro indipendenza dalla politica e che nelle dinamiche militari l’escalation diviene purtroppo una variabile indipendente. Questo spiega come mai, per esempio, le potenze europee siano entrate nella Prima guerra mondiale credendola un conflitto di pochi mesi. La sicumera con cui la classe dirigente occidentale crede che il rischio possa essere controllato anche in uno scontro tra blocchi di potenze nucleari appare storicamente poco fondata. Ricordo che anche in Medio Oriente, se Israele consegue l’obiettivo di trascinare il Libano in guerra, non è scontata la reazione dell’Iran, forte delle sue alleanze con potenze nucleari come la Cina e la Russia.
La nomina di Mark Rutte a segretario generale della Nato non è un buon segno. I nostri editorialisti senza vergogna lo hanno definito “europeista”. Di fatto l’Olanda nell’Ue ha ereditato il progetto britannico inteso a eliminare lo slancio comunitario di Ventotene e a trasformare l’Ue in un mercato allargato a beneficio dei creditori. Dal punto di vista della sicurezza, l’Europa è per Rutte essenzialmente un vassallo degli Stati Uniti. È patetico che Mario Draghi o Enrico Letta, con il loro servilismo atlantico, abbiano potuto nutrire ambizioni di incarichi Nato. L’Italia come la Germania è una potenza sconfitta della Seconda guerra mondiale. A noi toccano le basi militari Nato, ma non la voce in capitolo. Gli olandesi, i danesi, i nordici sono gli alleati fidati.
Stiamo preparando la guerra? A leggere Angelo Panebianco sul Corriere della Sera, “solo quando i cittadini europei si convinceranno che il loro mondo è a rischio sarà possibile attrezzare l’Europa”. Quindi avremo un’Europa maggioritaria, unita sotto il diktat atlantico, solo con il rischio di guerre imminenti? Secondo l’economista Emiliano Brancaccio, la spiegazione dei conflitti odierni va individuata nell’analisi marxista della centralizzazione dei capitali che può ormai avvenire a opera delle potenze del surplus come Cina e Russia a svantaggio dell’economia occidentale. In poche parole, le guerre sono la reazione paranoica dell’Occidente dinanzi alla tendenza che vede la Cina rinunciare alla sua subalternità, non limitarsi più a finanziare il debito Usa e minacciare l’intero sistema monetario, riversando i suoi capitali per acquisire parte dell’economia occidentale. Altro che libertà dell’Ucraina, altro che valori etici! Lo scontro in corso dipende dalla competizione tra due imperialismi capitalistici per la salvaguardia dell’egemonia economica. Ho espresso in parte la stessa teoria nel libro L’Occidente e il nemico permanente, anche se – diversamente da Brancaccio che considera i fattori geopolitici e culturali derive ideologiche – ritengo che l’analisi internazionale debba includere tutti i fattori, non solo di quelli economici.
Ma la questione fondamentale da porsi è se sia ancora possibile un compromesso politico-diplomatico. Nel mio libro auspico che l’Occidente dimentichi la sua visone patologica del mondo e conservi la propria egemonia con una riforma del multilateralismo e della governance economica, concedendo alla Cina, agli emergenti la rappresentanza e il potere a essi spettanti in base al nuovo sviluppo economico. Anche Brancaccio, soffermandosi sugli aspetti economici, perora un compromesso in base al quale l’Occidente smetta le sue politiche protezionistiche, il suo arroccamento e le guerre economiche; e la Cina accetti una regolamentazione politica e non di mercato del credito accumulato verso gli Stati Uniti. Credo che, purtroppo, i poteri finanziari occidentali, con la Cia, il Mossad e i servizi segreti europei, considerino questo compromesso impossibile. “Vita tua, mors mea”. L’unica risposta è la guerra che si spera rimanga a bassa intensità per erodere le potenze del surplus e bloccare il loro espansionismo economico. Hanno anche messo in conto il rischio nucleare tattico, la fine dell’Ucraina e di una parte dell’Europa, come sacrificio indispensabile al mantenimento della supremazia occidentale?
Il Fatto Quotidiano, 25 Giugno 2024