Parlandone da viva

Ieri, per la prima volta in vita nostra, abbiamo provato un moto di umana pietà per Daniela Santanchè. Vederla lì, sola e abbandonata dai cosiddetti amici ai banchi del governo, dava l’idea dello stato terminale della sua parabola politica.

di Marco Travaglio

Ieri, per la prima volta in vita nostra, abbiamo provato un moto di umana pietà per Daniela Santanchè. Combatterla quando era proterva e arrogante, riverita da tutta la destra che le permetteva di dire e fare tutto e il contrario di tutto, insultare avversari e alleati, giornalisti e passanti, era cosa buona e giusta. Ma vederla lì, sola e abbandonata dai cosiddetti amici ai banchi del governo, circondata dal nulla (cioè dai ministri minori Ciriani e Musumeci e dai sottosegretari minori Gemmato e Gava), in balia delle opposizioni che le urlavano di tutto nell’assenza di leghisti e forzisti e nel silenzio di una dozzina di peones FdI presenti, dava l’idea dello stato terminale della sua parabola politica. La Meloni non le rivolge la parola e non ne spende una in suo favore da settimane, compagni di partito e sedicenti alleati la vivono come un’imbarazzante zavorra di cui sperano che lei stessa li liberi. Salvini la difende a distanza, ma ormai esser difesi da Salvini è peggio di una condanna a morte. I processi avanzano e, se arriverà pure il rinvio a giudizio per truffa allo Stato sulla cassa Covid in aggiunta a quella per falso in bilancio (che sarà mai: fa curriculum), verrà trascinata alla porta a viva forza.

La vera domanda è perché, sapendo benissimo di avere il vuoto intorno e la sorte segnata, si esponga ancora a un simile stillicidio. Dimettendosi subito, eviterebbe di trasformare in un gigante Gennaro Sangiuliano che se ne andò all’istante per molto meno, anzi per quasi nulla. E consumerebbe una vendetta preventiva contro chi l’ha scaricata creando un pericoloso precedente (almeno a destra): se lascia il governo una ministra rinviata a giudizio, come può restarvi il sottosegretario meloniano Delmastro, la cui sentenza per rivelazione di segreti è attesa fra una settimana e l’interessato ha già detto che resterà al suo posto anche in caso di condanna? Renderebbe persino un buon servigio alla politica, costringendo FdI e le altre destre a fissare finalmente, una volta per tutte, la soglia minima di decenza oltre la quale persino i nipotini di B. devono sloggiare. Magari per dare una risposta a quel 71% di italiani (e a quel 58% di elettori FdI) che, secondo l’ultimo sondaggio di Youtrend, la vogliono subito a casa. Sono gli elettori che lei stessa ha abituato così nell’ultima dozzina d’anni, quando è riuscita (spesso in tandem con la Meloni) a chiedere la testa di ben 89 politici – tutti di centrosinistra tranne uno: l’allora ministro montiano Terzi di Sant’Agata, ora in FdI come lei – per condotte infinitamente più lievi delle sue: quasi mai per indagini penali, quasi sempre per una parola di troppo, un tweet un po’ acceso, una scelta politica, una presunta bugia. Si è fermata sul più bello, al numero 90: proprio quando toccava a lei.

Il Fatto Quotidiano, 11 febbraio 2025

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