di Diego Fusaro
La lingua italiana sta per sparire dall’Olanda, spiegano con zelo i più letti e soprattutto più venduti quotidiani nazionali. In verità, la questione riguarda l’università di Leida, ove si è deciso di abolire l’insegnamento della lingua italiana. La decisione muove da premesse decisamente banausiche*, coerenti con il nostro spirito del tempo senza spirito. Ridotte all’osso, le motivazioni che hanno portato alla discutibilissima scelta mettono capo alla scarsa diffusione della lingua italiana nel mondo e, dunque, alla presunta scarsa utilità dell’insegnamento dell’italiano nell’università olandese.
Che la nostra lingua sia decisamente poco parlata nel mondo, in specie se paragonata allo spagnuolo o all’inglese, è indubbiamente vero, ma falsa è la conclusione a cui sono frettolosamente giunti in Olanda. Infatti, non vi è dubbio: la lingua italiana è, non meno di quella greca, il fondamento della civiltà europea. Senza esagerazioni, mi avventuro a sostenere che l’Europa non esisterebbe senza l’Italia e la sua multiforme storia: la storia della civiltà romana e della Chiesa cattolica, del Rinascimento e poi dei libretti della grande musica moderna. Mi pregio, allora, di far notare agli olandesi che l’importanza di una lingua non si valuta unicamente sul fondamento del suo uso pratico odierno e della sua reale diffusione nel mondo. Su queste basi, in effetti, bisognerebbe oltretutto dire addio al latino e al greco e studiare soltanto l’inglese e il cinese (con il massimo rispetto, sia chiaro, per queste lingue). E, in tal guisa, si direbbe addio alle radici della nostra civiltà, lo stesso che accadrebbe se si rimuovesse lo studio della lingua italiana. La civiltà europea ha parlato italiano e con la lingua italiana ha forgiato la propria identità storica, sicché privare le nuove generazioni in Olanda dello studio della lingua italiana significa amputare la loro cultura e il loro radicamento nella civiltà europea. D’altro canto, non si studiano il latino e il greco per averne qualche utilità o per parlarli quotidianamente: li si studia per appropriarsi della propria civiltà e della propria provenienza storica, per diventare consapevoli di sé e della propria collocazione nel mondo.
Insomma, questa scelta esecrabile dell’Olanda risulta sotto ogni profilo figlia della dilagante cancel culture, che aspira appunto a recidere le nostre radici culturali per produrre l’homo vacuus, mero guscio senza identità, perfettamente manipolabile e amministrabile dall’ordine tecnocapitalistico. Speriamo vivamente che l’Olanda ci ripensi e che non si privi del privilegio di conoscere una lingua con la quale ha parlato una delle più grandi civiltà comparse sulla terra, per quanto oggi, va detto, risulti decisamente decadente.
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* Banausico deriva dal greco βαναυσικός (banausikós), termine usato in senso dispregiativo per indicare ciò che è grossolano, materiale, privo di raffinatezza intellettuale. Nell’Atene classica, il βανᾰύσῑος (banaúsios) era l’artigiano, il lavoratore manuale, considerato inferiore rispetto a chi si dedicava alla filosofia, alla politica o alle arti liberali. Il concetto si è poi esteso a tutto ciò che viene percepito come volgare, meccanico o incapace di elevarsi oltre il mero utilitarismo.
Oggi il termine è usato in ambito critico o accademico per descrivere atteggiamenti o produzioni culturali che rifuggono la speculazione intellettuale, limitandosi all’utile o al pratico senza alcuna ambizione estetica o teorica.