Nuovi padri, senza padroni

L’intervista a Gavino Ledda svela la scissione dei Sardi: orgoglio e contraddizioni tra sardità arcaica e italianità, ostacolo a una coscienza nazionale matura.

di Franciscu Sedda

Se vi capita leggete la lunga intervista a Gavino Ledda di oggi su L’Unione Sarda.

Troverete espressa in maniera cristallina, estrema – direi perfino innocente – la coscienza scissa dei Sardi.

Troverete l’apologia dell’orgogliosa Sardegna nuragico-arcaica-agropastorale che va a braccetto con l’emozione per l’ascolto del Fratelli d’Italia quando gioca la nazionale italiana di calcio.

Troverete la ricerca di una fantomatica lingua sarda originaria e purissima, unita con l’esaltazione salvifica dell’incontro con la lingua italiana e la fortuna del divenire uno scrittore italiano.

Troverete la forza prorompente dell’ego sardo, con il suo individualismo difficile da imbrigliare, unita con il rifiuto sprezzante della standardizzazione ed unificazione linguistica del sardo (e dei sardi).

Troverete l’elogio di Amsicora e di Giorgia Meloni.

Troverete la ricerca disperata e quasi magica di una composizione sardo-italiana della nostra identità (dopo duecento anni siamo ancora così: qualcosa vorrà dire) e direi persino del cosmo.

Io non credo che Gavino Ledda ne abbia colpa. Né che il problema sia lui. Io credo che nessuno di noi, in quanto prodotto della storia, ne abbia individualmente colpa.

Tuttavia bisogna riconoscere che questa scissione, con gradazioni e modulazioni differenti, abita la maggior parte della gente di quest’isola – forse ciascuno di noi – e che se non ci facciamo i conti, la scardiniamo e rielaboriamo, lavora contro la possibilità che si formi, sorga e diffonda una coscienza nazionale sarda matura, senza complessi e massimalismo, senza megalomanie e nullificazioni, senza boria e senza vergogna. Una coscienza nazionale sarda orientata alla solidarietà, al futuro e all’azione condivisa.

Questa intervista è un salutare colpo al cuore. Un bagno senza infingimenti in quella assurda e sfiancante realtà creata da 600 anni di traumi imposti da padroni esterni e da padri sardi. Da 600 anni di violenze subite da padri che non erano nostri o non volevano esserlo. Padri padroni che hanno impedito fino ad oggi – ma non per sempre! – che potessimo tradurre la nostra storia in una sardità nuova; che ci aprissimo ad un divenire originale e fruttuoso, segnato da contraddizioni migliori; che facesse di noi figli emancipati ed indipendenti, capaci di essere niente di meno che “esseri umani sardi”, fino al punto da divenire padri e madri di una Sardegna nuova, più unita, protesa verso la liberazione da quel non senso e da quel dolore che prova un falco che non può volare.

A innantis!

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