di Alessandro Mantovani
L’incazzatura è comprensibile. Le immagini dell’inseguimento in cui è rimasto ucciso il 19enne Ramy Elgaml, il 24 novembre scorso a Milano, mostrano chiaramente che i carabinieri hanno esagerato, al di là dell’esatta ricostruzione della dinamica e degli eventuali reati commessi dai militari, su cui decideranno i giudici. Se poi fosse confermato che hanno costretto un testimone a cancellare un altro filmato, realizzato col telefonino, sarebbe tutto ancora più grave. Ma certo non giustifica il tentativo di assaltare più o meno simbolicamente una stazione dei carabinieri, peraltro blindatissima, tirando bombe carta dietro uno striscione che invocava la “vendetta”, come hanno fatto duecento giovani sabato nel quartiere San Lorenzo a Roma. Era già accaduto a Torino. Colpire gli agenti è inaccettabile, oltre che velleitario e pericoloso anche per chi lo fa.
È però molto più inquietante che la tragedia di Ramy susciti pubbliche perplessità solo in Franco Gabrielli, l’ex capo della polizia oggi consulente per la sicurezza a Milano, nell’indifferenza di un’opposizione in parte distratta, in parte intimidita, in parte convinta come la destra che le forze dell’ordine abbiano ragione anche quando sbagliano, un’idea stupida come quella, speculare, che abbiano sempre torto. La destra ha le idee chiarissime, vuole il Far West: inseguimenti folli e pistole sguainate, poco meno della licenza di uccidere per chi indossa la divisa. Tant’è vero che i giornali vicini al governo, in testa La Verità di Maurizio Belpietro, attaccano a testa bassa Gabrielli, reo di aver dichiarato quello che dicono, in privato, molti responsabili delle stesse forze dell’ordine: che quel tipo di inseguimento “non è la modalità corretta”, che “c’è un principio di proporzionalità” da rispettare.
Non ha accusato i carabinieri di aver ucciso il ragazzo, Gabrielli ha detto solo cose di buon senso e in linea con i regolamenti, anzi ha sottolineato che le forze di polizia sono “sane” come dimostra la stessa provenienza dell’Arma del filmato che evidenzia il comportamento discutibile dei militari. Nel video, diffuso dal Tg3 e spiegato bene in un podcast di Luca Bizzarri, si vede la gazzella lanciata anche contromano dietro lo scooter; c’è almeno un primo tentativo di far cadere i due ragazzi, che non erano pericolosi boss mafiosi e nemmeno terroristi pronti a uccidere. Ha senso? No, non ce l’ha. Fuggire all’alt dei carabinieri è un reato ma la pena di morte non è prevista, nemmeno “eventuale”.
È naturalmente diverso il caso del maresciallo Luciano Masini, che avrà un encomio solenne sollecitato da Giorgia Meloni in persona. Il sottufficiale ha sparato, uccidendolo, al 23enne egiziano Muhammad Abdallah Abd Hamid Sitta, un malato psichiatrico che aveva accoltellato quattro persone nel Riminese la notte di Capodanno e avanzava minaccioso brandendo l’arma verso i carabinieri. Il pericolo c’era ed era attuale. Molti addetti ai lavori ricordano, però, che i militari avrebbero potuto sparare alle gambe del 23enne e poi disarmarlo, come aveva fatto a Padova a dicembre un ispettore di polizia, neutralizzando un nigeriano che si era scagliato su due agenti con un’ascia. Per lui nessun encomio. Meloni non l’ha chiesto. Si premia chi uccide.
La Procura ipotizza l’eccesso di legittima difesa per Masini, un atto dovuto. A Meloni però non va bene: pur di ingraziarsi agenti e militari, traditi da un contratto che non recupera neanche l’inflazione, minaccia una riforma per evitare anche le indagini. Non bastano il Ddl Sicurezza che ripropone il carcere per un picchetto di operai, l’avventura coloniale per rinchiudere i migranti in Albania, le piazze blindate, i manganelli facili, le zone rosse e mille altre forzature? È molto pericoloso. Questo è sempre il Paese della mattanza al G8 di Genova del 2001 e degli omicidi di Federico Aldrovandi e Stefano Cucchi. E ogni 2/3 mesi c’è un’indagine per tortura nelle carceri.
Il Fatto Quotidiano, 13 gennaio 2025