di Marco Travaglio
Delle frasi di Patuanelli sul finanziamento pubblico ai partiti abbiamo apprezzato più la precisazione che le parole dal sen fuggite davanti a Verderami del Corriere. E non perché non se ne possa parlare: il capo dei senatori 5S non è sospettabile di essere un arraffone, avendo sempre restituito un quarto del suo stipendio al suo Movimento; e fa giustamente notare che, sui quei finanziamenti alle forze politiche (per quelle che li prevedono) non esistono controlli pubblici, dunque sarebbe più razionale tagliare un quarto dei compensi ai parlamentari, darlo direttamente ai partiti e fissare criteri ferrei di controllo sulla loro gestione. Ma nel Paese delle Meraviglie: non in Italia, dove basta aprire quella porta anche con le migliori intenzioni per vedere infilarvisi i peggiori soggetti con le peggiori intenzioni. Lo dice la storia degli ultimi 30 anni, visto che proprio nel 1993 il popolo italiano abolì con un referendum- plebiscito il finanziamento pubblico ai partiti, che se l’erano dato nel 1974 dopo lo scandalo petroli promettendo di non rubare più, ma seguitando a farlo come e più di prima. Ma, appena uscito dalla porta, il finanziamento pubblico rientrò dalla finestra travestito da “rimborsi elettorali”. Che, calcolati a forfait e senza ricevute, coprivano 4-5 volte le spese per le elezioni. E salivano di anno in anno con voti bipartisan, fino a diventare una tassa-monstre di 10 euro l’anno per ogni elettore (contro 1,1 del ‘93). Nel 2009 la Corte dei conti rivelò che in 15 anni i partiti avevano prelevato dalle nostre tasche 2,2 miliardi di euro.
Nel 2013, per frenare l’avanzata dei 5Stelle, il governo Letta passò al finanziamento pubblico indiretto e volontario: chi vuol aiutare un partito gli devolve il 2xmille delle tasse. Così i partiti sono obbligati a curare il rapporto con gli elettori per meritarsene il sostegno. Ma, siccome la credibilità dei politici è rimasta (giustamente) sottozero, dal 2xmille incassano tutti insieme solo 16 milioni l’anno (senza contare i contributi dei privati che, a parte le microdonazioni dei cittadini, sono di solito tangenti mascherate, tantopiù che spesso passano per fondazioni per nulla trasparenti che fungono da schermo per partiti e singoli politici). Di qui l’ideona trasversale, da destra a sinistra, di spartirsi anche i soldi dei contribuenti che non donano il 2xmille, o di raddoppiarlo al 4. Così, siccome l’appetito vien mangiando, si tornerebbe rapidamente ai finanziamenti diretti a pioggia, che aumenterebbero vieppiù il discredito della classe politica tutta, perché sparirebbe anche la “diversità” dei 5Stelle. Tutti tornerebbero a pensare che, quando c’è da incassare soldi pubblici, sono tutti uguali. E non sarebbe una diceria qualunquista, ma la pura e semplice verità.
Il Fatto Quotidiano, 23 luglio 2023