Mentre il Paese economicamente è in ginocchio, Meloni Magò che fa? Ha promesso alla Nato 25 miliardi ogni anno per le armi. E in aeternum.
Per portare la spesa militare italiana al 2,5% del Pil. Un incremento che non è una tantum, ma una tassa occulta sulla collettività, pagata con il taglio al welfare, ai servizi (alla Sanità Pubblica, ai trasporti), ai diritti (alla Scuola e all’Università pubbliche).
25 miliardi di euro corrispondono a una volta e mezza il budget per la disoccupazione.
25 miliardi di euro sono due terzi di quanto lo Stato destina alle persone con disabilità.
25 miliardi di euro superano di poco l’intera spesa per l’inclusione sociale.
E che nessuno osi dire che questi soldi potrebbero essere usati meglio: chi contesta è un pacifista da salotto, un ingenuo che non capisce le “esigenze strategiche”, un putiniano o uno di hamas che non comprende il valore della Resistenza.
E parliamo solo di armi senza menzionare i molteplici sprechi di meloni e soci (dal ponte sullo stretto ai lager in Albania).
Siamo alla follia.
Standard & Poor’s in questa corsa delirante al riarmo ci ha avvertito: l’impatto sul deficit sarà devastante. Il moltiplicatore economico è ridicolo: per ogni euro speso in armi, lo Stato ne recupererà solo 40-50 centesimi. Ma poco importa. Il riarmo è la nuova liturgia, il totem che nessuno osa contestare.
E mentre le casse pubbliche si svuotano per finanziare un esercito sempre più grande, resta la domanda scomoda: se si riempiono gli arsenali, prima o poi non verrà voglia di usarli?
E l’altra domanda meno scomoda ma urticante sarà: ma quando ci uniremo in massa, noi comuni mortali, per mandarli tutti a casa.
Quando?
Salvatore Granata