La farsa della “democrazia” UE si manifesta contro Georgescu in Romania

Avete presente quei film in cui la mafia controlla il casinò e, alla fine, vince sempre la casa? Bene, ora sostituite la mafia con l’Unione Europea e il casinò con le elezioni romene, e il quadro è completo.

di Alberto Piroddi

Avete presente quei film in cui la mafia controlla il casinò e, alla fine, vince sempre la casa? Bene, ora sostituite la mafia con l’Unione Europea e il casinò con le elezioni romene, e il quadro è completo. Perché quello che sta succedendo a Bucarest, con la farsa dell’esclusione di Călin Georgescu dalle presidenziali, è l’ennesima dimostrazione che in Europa si vota finché vince chi deve vincere. Altrimenti, si annulla, si scomunica, si grida al “pericolo sovranista” e si elimina il candidato sgradito con qualche cavillo.

Il copione è sempre quello. Georgescu, nazionalista e sovranista, vince a sorpresa il primo turno delle presidenziali romene a dicembre. Le regole dicono che si debba andare al ballottaggio? Pazienza, tanto le regole si cambiano in corsa. La Corte Costituzionale – per puro caso, ovviamente, allineata al governo – annulla tutto con la scusa più usata dell’ultimo decennio: la “manina” russa. Una bufala talmente mal confezionata che persino il Frankfurter Allgemeine Zeitung, che di solito è la Gazzetta Ufficiale della russofobia europea, ha dovuto ammettere che si trattava di una balla colossale: “Il ceto dirigente di Bucarest ha agitato lo spauracchio russo per coprire il proprio fallimento e trovare una scusa per annullare elezioni che non gli piacevano”. Tradotto: un golpe in piena regola.

E il bello deve ancora arrivare. Perché la presunta “interferenza russa” nel successo di Georgescu si basava sulla sua popolarità sui social, frutto – udite udite – di una campagna pagata dai suoi stessi avversari, convinti di poterlo battere facilmente al secondo turno. Solo che il piano è fallito: Georgescu ha ottenuto un consenso imprevisto e ha mandato in tilt il sistema. Quindi, nuova strategia: cancellare tutto.

E qui si arriva all’ultimo capitolo di questa tragicommedia: con i sondaggi che lo danno avanti al 41% contro il misero 19% del suo avversario più vicino, la Commissione Elettorale ha deciso di sbatterlo fuori del tutto. Motivo? Nessuno di serio, se non il più antico e collaudato degli articoli costituzionali europei: “Noi dobbiamo vincere”.

Tecnicamente, Georgescu può ancora appellarsi. Ma a chi? Alla stessa Corte Costituzionale che lo ha già azzoppato la prima volta. Come dire: chiedere a un lupo di assolvere un agnello per furto d’erba.

Ora, sgombriamo il campo dalle ipocrisie: Georgescu è di destra, nazionalista, ha posizioni che possono non piacere. E quindi? Dovrebbe essere sufficiente per eliminarlo dalla competizione elettorale? Chi lo avversa dovrebbe batterlo con i voti, non con i tribunali o con dossieraggi da quinta elementare. Soprattutto perché, se applicassimo gli stessi criteri a tutti, metà dei politici europei sparirebbe in un lampo. Prendiamo l’Italia: abbiamo un governo guidato da una post-fascista; la Germania e la Francia hanno partiti di estrema destra che si avvicinano sempre di più al potere; e in Ucraina – quel meraviglioso esempio di “democrazia” che la UE ci impone di venerare – c’è un regime che flirta apertamente con i neonazisti. E allora? Perché proprio Georgescu diventa il male assoluto?

Semplice: perché ha osato mettere in discussione due dogmi sacri. Primo, ha sfidato le élite romene ed europee parlando direttamente ai cittadini, senza chiedere il permesso ai soliti custodi della “democrazia a targhe alterne”. Secondo, ha messo in dubbio la trasformazione della Romania in una gigantesca base NATO, dicendo una cosa che fino a ieri sembrava ovvia: un paese dovrebbe avere una politica estera decisa dai suoi cittadini, non da Washington o Bruxelles.

Ovviamente, la reazione è stata la prevedibile demonizzazione. Ma se pensano di risolvere il problema facendo fuori Georgescu, rischiano di scoprire che l’effetto boomerang è dietro l’angolo. Perché se elimini un candidato troppo popolare, spesso lo rendi ancora più forte. E la rabbia in Romania sta crescendo, con manifestazioni sempre più partecipate. Non a caso, persino negli Stati Uniti qualcuno si sta accorgendo della porcata: J.D. Vance ha avvertito l’Europa di non esagerare con i brogli, Elon Musk ha definito la manovra “folle” e persino qualche giornale mainstream inizia a porsi qualche dubbio.

Ma il segnale più inquietante è un altro: questa volta l’Europa sembra fregarsene persino di cosa ne pensano gli americani. Se fino a ieri Bruxelles si inchinava a Washington su tutto, oggi sembra voler disobbedire solo su un punto: reprimere la democrazia e truccare le elezioni. Per il resto, avanti con la guerra in Ucraina e con l’autodistruzione economica imposta dalle sanzioni.

Georgescu ha ragione quando dice che non è solo una questione romena, ma una cartina di tornasole per tutta l’Unione Europea. Abbiamo già visto in Francia il teatrino delle alleanze artificiali per bloccare i partiti anti-establishment, in Germania la censura preventiva contro AfD e Wagenknecht. Ora siamo arrivati all’esclusione diretta dei candidati sgraditi.

Romania come laboratorio del futuro europeo? È possibile. Il paradosso è che la UE continua a predicare democrazia mentre diventa sempre più autoritaria. La vera domanda è: l’Europa ha ancora un futuro dentro questa Unione Europea? O, per avere un futuro, l’Europa dovrà liberarsi della UE?

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