La libertà d’informazione è affare troppo serio per lasciarla ai politici e ai giornalisti italiani. Che infatti la usano per tutt’altri scopi – difendere o attaccare il governo Meloni – tirandosi addosso tre diversi report sul tema senza distinguerli e scordandosi il punto di partenza, che precede di parecchio l’avvento dei Melones: l’informazione fa schifo da decenni. E lo faceva ancor di più ai tempi di Draghi e di Renzi (B. è fuori concorso), quando l’intera Rai e tutti i giornaloni erano turbogovernativi, le conferenze stampa dei premier erano messe cantate modello Corea del Nord che si concludevano con le standing ovation e ciononostante nessuno protestava: anzi, proprio per questo. La premier dice che la Relazione annuale della Commissione europea sullo Stato di diritto è stata travisata e strumentalizzata. Vero: critica alcune schiforme della giustizia del suo governo, ma sul premierato e la libertà d’informazione si limita ad affiancare alle posizioni governative quelle di “portatori di interessi” contrari (associazioni di categoria, osservatori, ong). Raccomanda l’indipendenza della Rai dai partiti, impedita dalla legge Renzi, e una riforma anti-querele temerarie, non certo nate con questo governo. Piuttosto minimalista e deludente, il report è pure viziato da sospetti di ricatto: doveva uscire il 3 luglio, ma fu rinviato perché Ursula stava trattando i voti FdI con Giorgia; poi non li ha avuti e oplà, il prezioso incunabolo è saltato fuori. La stessa puzza di estorsione si avvertì con le procedure d’infrazione aperte tre anni fa contro Ungheria e Polonia per violazioni dello Stato di diritto: poi Varsavia fu perdonata senza cambiare nulla perché obbediva alla Nato e dunque a Ursula sulle armi a Kiev, Orbán invece no perché disobbediva.
La Meloni aggiunge che “la Commissione europea riporta accenti critici di alcuni portatori di interesse, diciamo stakeholder: Domani, Fatto Quotidiano e Repubblica”. E questo è falso. I tre quotidiani sono citati, con i nomi dei giornalisti consultati, da un altro report sulla libertà d’informazione: quello di un consorzio privato, Media Freedom Rapid Response, che la premier confonde o finge di confondere con quello di Bruxelles per degradare le critiche europee come attacchi della stampa ostile. C’è poi un terzo rapporto, quello dell’osservatorio Centre for media pluralism and freedom, che va giù duro sui bavagli Cartabia, Nordio e Costa, la Rai governativa e i conflitti d’interessi di Mediaset, Angelucci e Gedi. Ma Rep è riuscita a parlarne citando i finti martiri di TeleMeloni e censurando proprio il passaggio sul loro editore impuro. C’è una bella differenza anche tra i “portatori d’interessi”: noi del Fatto portiamo solo l’interesse dei lettori a essere informati.
Il Fatto Quotidiano, 31 luglio 2024