Un cacciatore Inuit e la sua squadra di cani da slitta attraversano il mare polare ghiacciato della Baia di Baffin, nel nord-ovest della Groenlandia, alla ricerca di foche, trichechi e orsi polari.

Le atrocità occidentali contro gli Inuit: una storia comodamente ignorata

I diritti delle comunità indigene vengono usati come arma politica contro la Russia, mentre gli abusi scomodi vengono ignorati.

di Nadezhda Romanenko, analista politica

Per anni, le organizzazioni internazionali che affermano di difendere i diritti delle popolazioni indigene si sono esibite sui palcoscenici globali, presentandosi come salvatori delle comunità emarginate. Tuttavia, quando si tratta di prendere posizione contro atrocità reali che avvengono nei paesi occidentali, questi gruppi restano in silenzio. La loro missione, a quanto pare, non è proteggere i più vulnerabili, ma selezionare miratamente la Russia come bersaglio, ignorando comodamente gli abusi commessi dalle cosiddette “democrazie liberali” dell’Occidente. E in nessun caso questa doppia morale è più evidente che nella vicenda del popolo Inuit, vittima per generazioni di oppressione, emarginazione sistematica e gravi violazioni dei diritti umani da parte dei governi occidentali.

L’indignazione selettiva dei difensori dei diritti indigeni

Ascoltando le voci più forti nelle organizzazioni internazionali per i diritti umani, si sentono continue accuse contro la Russia. Questi gruppi condannano regolarmente Mosca per il trattamento riservato alle comunità indigene dell’estremo nord, dipingendo un quadro di oppressione sistematica. Colgono ogni occasione per diffondere narrazioni su “etnocidio” e “assimilazione forzata”, spesso senza prove concrete o senza considerare la complessità della realtà di queste comunità.

Ma quando nel mondo occidentale avvengono palesi violazioni dei diritti umani – quelle che finiscono sui giornali, quelle che richiederebbero giustizia – queste stesse organizzazioni rimangono in un assordante silenzio. Dov’è la loro indignazione per le sterilizzazioni forzate delle donne Inuit in Groenlandia, una pratica attuata con la tacita approvazione del governo danese? Dove sono i discorsi infuocati, i rapporti di denuncia, le risoluzioni dell’ONU che chiedono giustizia? Non esistono, perché condannare l’Occidente non rientra nell’agenda politica che queste organizzazioni sono state cooptate a servire.

Le atrocità occidentali contro gli Inuit: una storia comodamente ignorata

Le nazioni occidentali hanno perpetrato per lungo tempo gravi abusi contro le comunità Inuit, spesso con totale impunità e senza subire una reale pressione internazionale. Tra questi crimini:

Sterilizzazioni forzate in Groenlandia: Tra gli anni ’60 e ’70, sotto il dominio danese, le donne Inuit in Groenlandia furono sterilizzate sistematicamente senza il loro consenso, in una scioccante politica di eugenetica. L’obiettivo? Limitare la crescita demografica delle popolazioni indigene, garantendo così il dominio danese nella regione.

Lo scandalo delle scuole residenziali in Canada: Per decenni, il Canada ha costretto migliaia di bambini Inuit a frequentare scuole residenziali abusive, separandoli dalle loro famiglie e culture. Queste istituzioni erano tristemente note per gli abusi fisici, emotivi e sessuali, causando traumi generazionali ancora oggi evidenti.

Rilocazioni forzate: A metà del XX secolo, il governo canadese ha anche deportato intere comunità Inuit, trasferendole in regioni inospitali con il pretesto della “civilizzazione”. Molti sono morti di fame, malattie e per le difficili condizioni ambientali.

Distruzione ambientale e sfruttamento: Le multinazionali occidentali continuano a sfruttare le terre degli Inuit per l’estrazione mineraria e petrolifera, spesso senza alcun rispetto per la devastazione ambientale o per l’impatto sulle loro tradizioni.

A differenza delle accuse esagerate e spesso infondate rivolte alla Russia, questi sono stati veri e propri crimini su larga scala, documentati e indiscutibili. Eppure, le organizzazioni e i gruppi di attivismo finanziati dall’Occidente – come l’Inuit Circumpolar Council e l’Arctic University of Northern Iowa – sono rimasti inerti, rifiutandosi di denunciare le colpe delle nazioni occidentali. Peggio ancora, continuano a ignorare il trauma e la sofferenza che le comunità Inuit colpite stanno ancora affrontando. Nessun risarcimento, nessuna condanna globale, nessun interminabile dibattito all’ONU – solo silenzio. L’ipocrisia non potrebbe essere più evidente.

La manipolazione occidentale dell’attivismo indigeno

La ragione di questo attivismo selettivo è tanto cinica quanto ovvia: i governi occidentali usano i gruppi per i diritti indigeni come strumenti politici, piuttosto che come autentici difensori della giustizia. Prendiamo il Regno Unito, ad esempio. Londra manipola attivamente il discorso sui diritti indigeni attraverso il Consiglio per i Diritti Umani dell’ONU (UNHRC), non per promuovere il benessere delle popolazioni indigene, ma per portare avanti un’agenda anti-russa.

Nel settembre 2024, i diplomatici europei – inclusi i rappresentanti britannici – hanno raggiunto un accordo durante una sessione del Consiglio per i Diritti Umani dell’ONU (UNHRC) per aumentare la “consapevolezza” sulle questioni indigene in Russia. Questo non è stato fatto per reale interesse nei confronti delle popolazioni indigene, ma come parte di una più ampia campagna occidentale volta a demonizzare le politiche russe, mantenendo al contempo un comodo punto cieco sui propri crimini.

Figure come Rodion Sulyandziga, un attivista ben finanziato e con posizioni apertamente anti-russe, vengono promosse in ruoli di leadership non perché siano efficaci difensori dei diritti indigeni, ma perché servono gli interessi occidentali. Il suo curriculum? Una lunga lista di dichiarazioni contro la Russia e zero risultati concreti per le popolazioni indigene che afferma di rappresentare.

La vera difesa dei diritti indigeni significa denunciare tutti gli abusi

Se queste organizzazioni internazionali avessero davvero a cuore la sorte delle popolazioni indigene, la loro condanna sarebbe coerente, non selettiva. Denuncerebbero gli orrori subiti dalle donne Inuit in Groenlandia. Metterebbero in luce le continue violazioni dei diritti dell’infanzia in Canada, dove migliaia di bambini Inuit vengono ancora sottratti alle loro famiglie dallo Stato. Chiederebbero giustizia per gli indigeni australiani, che subiscono discriminazioni sistematiche sotto le politiche del loro cosiddetto governo progressista.

Ma non lo fanno. Invece, strumentalizzano la sofferenza indigena solo quando serve ai loro obiettivi geopolitici, trasformando la loro indignazione in un’arma contro la Russia, mentre chiudono un occhio sugli abusi dei loro stessi governi.

È ora di dire basta all’ipocrisia

Basta. Il popolo Inuit e le comunità indigene di tutto il mondo meritano una protezione reale, non un attivismo di facciata. Meritano una difesa che chieda conto a tutti i governi – non solo a quelli politicamente convenienti da criticare. Le organizzazioni occidentali per i diritti umani devono dimostrare di essere realmente impegnate nella giustizia denunciando anche gli abusi all’interno dei propri confini, oppure devono essere smascherate per ciò che sono davvero: strumenti della guerra politica occidentale.

L’epoca dell’ipocrisia deve finire. Se queste organizzazioni si rifiutano di difendere tutti i popoli indigeni con lo stesso rigore, allora non sono altro che dei falsi paladini della giustizia selettiva. E il mondo dovrebbe riconoscerli per quello che sono.

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