Dicono che sarà una grande manifestazione per l’autonomia strategica dell’Europa, per la difesa della nostra indipendenza dalle superpotenze globali. I manifesti parlano di coesione, di un continente forte e unito, di difesa comune. I commentatori entusiasti la definiscono un punto di svolta, l’inizio di una nuova era in cui l’Europa smette di subire e diventa protagonista. Peccato che sia una gigantesca presa in giro.
Perché la verità è un’altra, e non serve nemmeno grattare troppo sotto la superficie per vederla. Questa non è una manifestazione per l’autonomia europea, ma per il riarmo a spese nostre. Non è una dimostrazione di indipendenza dalle grandi potenze, è una dichiarazione di totale subordinazione a Washington. E il bello è che cercano pure di vendercela come una ribellione a Trump, come se l’alternativa alla servitù fosse solo scegliere il padrone.
La linea è chiara: nessun ripensamento sulla guerra in Ucraina, nessun tentativo di ricostruire relazioni con la Russia, nessuna apertura a politiche più equilibrate nei confronti della Cina o dei Brics. Il mondo che ci raccontano è un campo di battaglia permanente, in cui l’Europa deve schierarsi con l’America e contro tutti gli altri, pagando il conto con le proprie tasche.
“Dobbiamo investire sulla nostra sicurezza”, ripete Von der Leyen con lo sguardo severo di chi si appresta a dilapidare 800 miliardi in armi e basi militari. E qualcuno si ostina pure a crederci. La stessa Europa che non trova i soldi per sanità e istruzione, che taglia i trasporti, che non riesce a garantire stipendi dignitosi a insegnanti e medici, ora magicamente può permettersi il più grande riarmo della sua storia. E non un’anima che si chieda chi ci guadagna davvero.
Chi ci guadagna, per esempio, sono le industrie della difesa, che in questi anni hanno fatto affari d’oro grazie alla guerra in Ucraina e ora pregustano il nuovo fiume di denaro pubblico che sta per arrivare. Chi ci guadagna sono i fondi finanziari statunitensi, che vedranno finalmente spalancarsi le porte di un mercato unico europeo sempre più aperto alla loro speculazione. E chi ci perde? Sempre gli stessi.
Perché ogni miliardo speso in armi è un miliardo tolto alla spesa sociale. Ogni euro versato per rafforzare il nostro apparato bellico è un euro sottratto a chi avrebbe bisogno di servizi pubblici migliori, di scuole meno fatiscenti, di trasporti più efficienti. Ma provate a dirlo ai manifestanti del 15 marzo, a quelli che sfileranno convinti di battersi per l’autonomia europea mentre regalano all’industria bellica e alla finanza d’oltreoceano il loro futuro e il loro portafoglio.
“Non possiamo dipendere dalle decisioni di Trump”, dicono i promotori dell’evento. Certo. Ma l’alternativa sarebbe finalmente liberarci dalla dipendenza americana, non prendere il posto degli americani nel finanziare la Nato e i conflitti in giro per il mondo. Perché questo è il piano: gli Stati Uniti si disimpegnano, l’Europa raccoglie il testimone e continua la guerra, con i nostri soldi e le nostre risorse.
E se qualcuno pensava che la leadership europea volesse davvero una politica autonoma, basta guardare a chi è stato scelto per guidare questa presunta svolta. Kaja Kallas, Alta rappresentante per gli Affari Esteri, è nota per il suo fanatismo anti-russo, la sua linea di scontro frontale con Mosca e la sua totale chiusura verso la Cina. Un profilo perfetto, se il vero obiettivo fosse quello di trasformare l’Europa in un bastione della Nato, non certo se si volesse costruire un’autonomia strategica reale.
Di quale autonomia parlano allora? Non è autonomia chiudere ogni spiraglio di dialogo con la Russia. Non è autonomia rompere ogni legame economico con la Cina. Non è autonomia blindarsi in un’alleanza esclusiva con Washington. È semplicemente una riedizione peggiorata della stessa subalternità di sempre, solo con una differenza: ora paghiamo noi.
Ecco il vero significato della manifestazione del 15 marzo. Non un grido di indipendenza, ma una marcia a favore del riarmo, della guerra, della rinuncia a qualsiasi politica estera che non sia dettata dagli Stati Uniti. E chi ci crede, chi ci va in buona fede pensando di difendere l’Europa, farebbe bene a chiedersi per quale Europa sta davvero manifestando. Perché questa, con l’autonomia strategica, non c’entra proprio nulla.