La Supergiùliola | di Marco Travaglio

di Marco Travaglio Tutti sanno con quale trasporto seguiamo Alessandro Giuli nella sua resistibile ascesa politica (dal Foglio al museo Maxxi al ministero della Cultura), accademica (l’esame di Teoria delle dottrine teologiche, 30 sine laude) e pure tricologica (i favoriti alla Asimov). Ma ci era sfuggita la sua audizione alla Camera, dove ha illustrato da par suo le linee guida della Cultura nell’Era Post-Sangiuliana: un prezioso scampolo di prosa recitata che dobbiamo al collega collezionista Felice Florio di Open ed è già reperto d’epoca. Acchittato con tanto di panciotto, il Giuli avverte gli astanti che sarà “un po’ teoretico”. In senso anafestico, direbbe il conte Lello Mascetti, suo spirito-guida. Infatti parte il tarapia tapioco con scappellamento a destra: “La conoscenza è il proprio tempo appreso con il pensiero. Chi si appresta a immaginare un orientamento per l’azione culturale e nazionale non può che muovere dal prendere le misure di un mondo entrato nella dimensione compiuta della tecnica e delle sue accelerazioni”. Come fosse Antani, appunto. “Di fronte a questo cambiamento di paradigma – la quarta rivoluzione epocale della storia delineante un’ontologia intonata alla rivoluzione permanente dell’infosfera globale – il rischio che si corre è duplice e speculare”. E cum fuochi fatui, peraltro: “L’entusiasmo passivo, che rimuove i pericoli della ipertecnologizzazione, e per converso l’apocalittismo difensivo che rimpiange un’immagine del mondo trascorsa, impugnando un’ideologia della crisi che si percepisce come processo alla tecnica e al futuro intese (sic, ndr) come minaccia”. Non sia mai. Qui il Giuli si fa una domanda: “Siamo dunque precipitati nell’epoca delle passioni tristi?”. E, mentre i deputati superstiti trattengono il fiato, si dà subito una risposta: “No”. Ah, meno male, sennò erano cazzi. “Fare cultura è pensare sempre da capo e riaffermare continuamente la dignità, la centralità dell’uomo… non l’algoritmo… In questa prospettiva è un’illusione ottica pensare a una distinzione di categoria o, peggio, a una contrapposizione tra culture scientifiche e umanistiche. Come in una disputa tra un fronte culturale progressista e uno conservatore. Dialettica errata”. E qual è quella giusta? “Si tratta di pensare Pitagora, Dante, Petrarca, Botticelli, Verdi, insieme con Leonardo da Vinci e Galilei, Torricelli, Volta, Fermi, Meucci e Marconi”: un bel frullato per “rifarsi a questa concezione circolare”. Alla parola “circolare”, torna in mente il vigile urbano di Amici miei, che tentava di multarli e gli altri per abuso di clacson, finché il Mascetti lo neutralizzò con la supercazzola brematurata. Ignaro del fatto che, un giorno, sarebbe diventato ministro. E avrebbe fatto rimpiangere Sangiuliano. Il Fatto Quotidiano, 9 ottobre 2024

di Marco Travaglio

Tutti sanno con quale trasporto seguiamo Alessandro Giuli nella sua resistibile ascesa politica (dal Foglio al museo Maxxi al ministero della Cultura), accademica (l’esame di Teoria delle dottrine teologiche, 30 sine laude) e pure tricologica (i favoriti alla Asimov). Ma ci era sfuggita la sua audizione alla Camera, dove ha illustrato da par suo le linee guida della Cultura nell’Era Post-Sangiuliana: un prezioso scampolo di prosa recitata che dobbiamo al collega collezionista Felice Florio di Open ed è già reperto d’epoca. Acchittato con tanto di panciotto, il Giuli avverte gli astanti che sarà “un po’ teoretico”. In senso anafestico, direbbe il conte Lello Mascetti, suo spirito-guida. Infatti parte il tarapia tapioco con scappellamento a destra: “La conoscenza è il proprio tempo appreso con il pensiero. Chi si appresta a immaginare un orientamento per l’azione culturale e nazionale non può che muovere dal prendere le misure di un mondo entrato nella dimensione compiuta della tecnica e delle sue accelerazioni”. Come fosse Antani, appunto. “Di fronte a questo cambiamento di paradigma – la quarta rivoluzione epocale della storia delineante un’ontologia intonata alla rivoluzione permanente dell’infosfera globale – il rischio che si corre è duplice e speculare”. E cum fuochi fatui, peraltro: “L’entusiasmo passivo, che rimuove i pericoli della ipertecnologizzazione, e per converso l’apocalittismo difensivo che rimpiange un’immagine del mondo trascorsa, impugnando un’ideologia della crisi che si percepisce come processo alla tecnica e al futuro intese (sic, ndr) come minaccia”. Non sia mai.

Qui il Giuli si fa una domanda: “Siamo dunque precipitati nell’epoca delle passioni tristi?”. E, mentre i deputati superstiti trattengono il fiato, si dà subito una risposta: “No”. Ah, meno male, sennò erano cazzi. “Fare cultura è pensare sempre da capo e riaffermare continuamente la dignità, la centralità dell’uomo… non l’algoritmo… In questa prospettiva è un’illusione ottica pensare a una distinzione di categoria o, peggio, a una contrapposizione tra culture scientifiche e umanistiche. Come in una disputa tra un fronte culturale progressista e uno conservatore. Dialettica errata”. E qual è quella giusta? “Si tratta di pensare Pitagora, Dante, Petrarca, Botticelli, Verdi, insieme con Leonardo da Vinci e Galilei, Torricelli, Volta, Fermi, Meucci e Marconi”: un bel frullato per “rifarsi a questa concezione circolare”. Alla parola “circolare”, torna in mente il vigile urbano di Amici miei, che tentava di multarli e gli altri per abuso di clacson, finché il Mascetti lo neutralizzò con la supercazzola brematurata. Ignaro del fatto che, un giorno, sarebbe diventato ministro. E avrebbe fatto rimpiangere Sangiuliano.

Il Fatto Quotidiano, 9 ottobre 2024

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