L’annuncio di Conte che “il campo largo non esiste più” rappresenta una cesura netta nel panorama politico italiano, con implicazioni profonde per i futuri equilibri tra le forze progressiste. Da tempo, l’idea di una coalizione ampia per contrastare la destra sembrava fragile, ma le recenti dichiarazioni di Conte gettano luce su una spaccatura che appare ormai insanabile. Al centro di questa frattura si colloca la figura di Matteo Renzi, un politico la cui eredità, soprattutto in ambito economico, ha profondamente diviso il centrosinistra. Il suo ruolo nel Job’s Act e le politiche neoliberali che ha abbracciato negli anni lo rendono, agli occhi di molti, un interlocutore inaccettabile per chi si batte per una società più equa e solidale.
Le critiche a Renzi sono aspre e radicate in scelte politiche precise, che lo hanno allontanato da chi si riconosce nei valori di giustizia sociale e lotta alle disuguaglianze. Il suo avvicinamento a modelli economici fondati sulla precarizzazione del lavoro, il suo sguardo compiaciuto verso l’Arabia Saudita per i bassi costi del lavoro, e il suo coinvolgimento in riforme che hanno demolito importanti tutele per i lavoratori, lo rendono incompatibile con qualsiasi visione che aspiri a essere davvero progressista. La presenza di Renzi in uno schieramento che si definisce “di sinistra” non solo provoca malcontento, ma rende irrealizzabile qualsiasi progetto di reale cambiamento sociale.
Giuseppe Conte, nel suo discorso, esprime chiaramente questa incompatibilità. Non è solo una questione di personali dissapori o divergenze politiche circoscritte, ma una vera e propria distanza siderale su temi fondamentali. Il Movimento 5 Stelle non può permettersi di tradire i propri principi per inseguire alleanze basate esclusivamente sull’opposizione alla destra, senza una visione chiara e condivisa del futuro. La coerenza, per Conte, è la chiave. Non c’è spazio per compromessi che mettano a rischio l’identità del movimento, anche se questo significa rimanere isolati.
L’attacco a Elly Schlein si inserisce in questo contesto. Eletta alla guida del Partito Democratico con la promessa di una svolta, Schlein viene accusata di aver fallito nel tentativo di rompere con il passato. Il suo atteggiamento ambiguo nei confronti di Renzi e la sua reticenza a esprimere posizioni nette contro il neoliberismo fanno di lei, secondo Conte, una figura ormai allineata ai vecchi schemi di potere. Le critiche al suo “non faccio polemiche” non sono solo un attacco alla sua persona, ma riflettono una frustrazione più ampia nei confronti di una sinistra che sembra incapace di prendere posizioni chiare su temi cruciali.
Questa incapacità del PD di scrollarsi di dosso il peso del passato, di tagliare i legami con le politiche neoliberali che hanno caratterizzato l’era Renzi, rischia di costare cara al partito. Molti elettori, che avevano visto nella Schlein una possibilità di rinnovamento, si sentono traditi, delusi dal fatto che la segretaria non sia riuscita a contrastare in modo deciso l’influenza dei renziani all’interno del partito. Per Conte e il Movimento 5 Stelle, questo significa che qualsiasi tentativo di costruire un’alleanza con il PD è destinato a fallire, a meno che non ci sia un netto ripensamento delle sue priorità.
Conte sa che la battaglia per un futuro più giusto e inclusivo non può essere combattuta con chi ha sostenuto, in passato, politiche che hanno favorito le élite a scapito dei più deboli. L’abolizione del Reddito di Cittadinanza, l’appoggio alla destra su questioni cruciali come la presidenza di La Russa al Senato, e le riforme che hanno smantellato le tutele per i lavoratori sono tutti segnali inequivocabili che un’alleanza con il PD, in queste condizioni, sarebbe impossibile.
L’idea di allearsi “contro” qualcuno non basta. Per costruire un fronte progressista che abbia un reale impatto, è necessario individuare obiettivi condivisi e temi fondamentali su cui basare un programma comune. Tuttavia, con Renzi in campo, questi obiettivi sembrano irraggiungibili. La sua vicinanza agli interessi delle élite e la sua storia di tradimenti politici sono inconciliabili con la visione di Conte e del Movimento 5 Stelle, che puntano a una società più giusta, in cui le disuguaglianze vengano combattute con politiche radicali e non attraverso compromessi al ribasso.
Conte sembra aver capito che una parte del PD, nonostante le promesse di cambiamento, rimane ancorata a logiche di potere che impediscono una reale trasformazione sociale. La continuità con il passato, l’incapacità di rompere con le figure e le politiche che hanno portato il partito alla crisi attuale, fanno del PD un alleato sempre meno affidabile per chi aspira a un cambiamento radicale. E questo allontanamento non è solo tattico, ma ideologico. La critica di Conte è rivolta a un sistema che ha tradito le promesse fatte agli elettori, che ha perso di vista le reali esigenze delle classi lavoratrici, preferendo salvaguardare gli interessi di pochi privilegiati.
Questa presa di posizione chiara e netta da parte del Movimento 5 Stelle è anche un segnale per l’elettorato: il Movimento non intende scendere a compromessi sui propri valori fondanti. La coerenza è cruciale in un momento in cui la politica italiana appare sempre più dominata da figure che sembrano disposte a tutto pur di mantenere il potere. La scelta di Conte di non aprire al PD renziano è, dunque, una mossa strategica, volta a riaffermare l’identità del Movimento come forza di opposizione alle logiche di potere che hanno dominato la politica italiana negli ultimi decenni.
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Il discorso di Conte rappresenta un atto di rottura definitivo con una certa idea di politica basata sul compromesso ad ogni costo. Il campo largo, nella sua visione, non è mai esistito perché non può esistere una coalizione tra forze che hanno visioni così diametralmente opposte su temi fondamentali come la giustizia sociale e il welfare. L’elettorato di sinistra, secondo Conte, merita una proposta politica coerente, non un’accozzaglia di partiti uniti solo dall’opposizione alla destra. E in questa visione, Renzi e i renziani non possono avere alcun ruolo.